Cultura & Società

Italia. Teatro: VIVA VERDI, ovvero, “fratelli di tagli”

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Ap – Teatro

VIVA VERDI, ovvero, “fratelli di tagli”

di Sabatino Ciocca

E così, nell’attesa di una primavera che tarda ad arrivare, permane il tempo di un inverno che ci porta spettacoli ed eventi, raggelanti, in nome e per conto del centocinquantesimo dell’Unità d’Italia. Tra omaggi e offerte speciali, ecco approdare a teatro l’urlo fiacco di un Viva Verdi. Come fu che Pinocchio non volle diventare un ragazzo per bene. Drammaturgo e regista, il direttore del CURT, Centro Universitario di Ricerca Teatrale, promotore, con l’Università d’Annunzio e la Fondazione Pescarabruzzo, del patriottico progetto.

“Tutto accade nella città di Acchiappa-citrulli, luogo collodiano ai confini della realtà,» si legge ad inizio delle note di regia, città dove, aggiungo io, i padrini della parrocchia prendono in affitto i padri della patria, con i soldi delle Fondazioni bancarie, per finanziare la Ricerca di progetti culturali dell’area umanistica dell’Ateneo d’Abruzzo “nel campo dello spettacolo, in cui la rappresentazione (di Pinocchio) costituisce un ideale momento di qualificazione”, come si legge nelle note del libretto di sala, a firma dei presidi delle facoltà di Lettere di Chieti e di Lingue di Pescara, in quest’incontro a Teatro, a metà vallata dell’area metropolitana Acchiappa-citrulli, dalle cui nebbie mattutine si materializza “la rappresentazione qualificante” del modello di cultura teatrale dell’Ateneo a cui D’Annunzio presta nome, faccia e fianco.

In scena è dunque questo Viva Verdi (verrebbe da gridare Viva Gelmini, se non fosse che questo nome neanche principia con la S o la B del nome dell’attuale capo del governo). Il nostro povero Pinocchio è in cerca del padre (i padrini li ha già trovati) nella città di Acchiappa-citrulli, “città d’inganni, ruberie, illusioni perdute, gran teatro dove spesso è difficile capire quali sono gli attori e quali i personaggi. In questa città di confine, consuma il suo ultimo esilio Garibaldi”; cito ancora dalle note di regia.

Senonché, a guardar la rappresentazione, (quella si, uscita da un saggetto di carnevale di fine ottocento, in un teatrino borbonico, per intrattenere i liberali post-unitari dell’ultima ora), ci si chiede se il sottotesto al sottotitolo di questo Viva Verdi di ricorrenza, non sia: “Come fu che Pinocchio passò dall’albero della libertà a quello della cuccagna, impiccato dal gatto e dalla volpe”; ovvero, “Come fu che il gatto e la volpe riuscirono a moltiplicare gli zecchini d’oro sotterrandoli nel Campus dei miracoli”.

In scena, intanto, il nostro Pinocchio si muove su un palco “vuoto di riferimenti scenografici naturalistici”, cito ancora dalle note di regia. In verità, lo spazio è governato dallo squallore più assoluto che, in questa città di Acchiappa-citrulli, viene contrabbandato per “necessità di far posto alla mente come spazio”, c’illumina ancora il regista, nelle note bellamente stampate su carta pergamenata, che vorrebbe essere segno di finezza, ma che, per l’uso improprio, più adatto alle lettere di raccomandazioni di monsignori e deputati, diventa pacchianeria al pari dei rubinetti d’oro massiccio nei bagni di servizio dei palazzi degli sceicchi.. Trentatrè i citrulli in sala, come gli anni di Cristo in terra; con la differenza che Egli morì crocifisso, gli spettatori di noia.

A rovinarmi questo finale, ecco entrare in platea il trentaquattresimo spettatore, una donnicciuola, il passo affrettato. Disperato, contatto il Comune di Gerusalemme, ufficio anagrafe: Chiedo la cortesia di posporre di un anno la data del decesso di  Nostro Signore, si, Yehoshùa, nato a Nazaret, si, da Miryàm e da Yòseph. Mi rispondono che non è possibile. Pare che il registro delle morti  sia andato smarrito in un trasloco, ma che sono in causa con la “Garibaldi Trasporti Internazionali”, una ditta appaltatrice napoletana. A togliermi dall’impiccio, è la stessa signora  che, così com’era entrata, se n’esce dal teatro, il passo ancor più affrettato. Il finale è salvo.

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