Cultura & Società

Con i fianchi cinti, per attraversare il mare Guardando oltre, senza troppi filtri psicologici ed ideologici di Maurilio Assenza*

Con i fianchi cinti, per attraversare il mare

Guardando oltre, senza troppi filtri psicologici ed ideologici

di Maurilio Assenza*

Ci attendono mesi difficili. A prima vista i problemi sembrano economici e politici, in realtà gli ultimi decenni sono stati anni in cui è avvenuta una devastazione più profonda rispetto agli aspetti più visibili della crisi economica e politica, anni in cui c’è stata una vera e propria regressione antropologica dalla quale si uscirà solo in tempi lunghi e con molta fatica. Cerchiamo, per questo, di dirci qualcosa su come pensiamo di attraversare questo tempo attingendo a ciò che abbiamo ricevuto per grazia e non per merito. Non possiamo fare previsioni, preferiamo condividere qualche convinzione (che diventa impegno perseverante e concreto) tra amici che hanno a cuore l’uomo. Celebriamo anche così il Dio dal volto amico che ci ha raggiunto, non in un santuario lontano, ma nella nostra vita di ogni giorno, offrendoci non un facile riparo ma un pane per il cammino. Ci riferiamo a quello che abbiamo imparato nei tempi in cui cuore e mente erano più trasparenti, cercando di mettere via il superfluo che abbiamo accumulato quando è prevalsa la nostra presunzione o una facile e pericolosa ricchezza (materiale, culturale, psicologica). Per camminare più spediti e più lucidi con l’energia che viene da Lui, e solo da Lui.

Incominciamo a ridirci con più convinzione anche questo – come sia importante ‘ripartire da Dio’- ; diciamoci anzitutto questo, dopo troppo tempo passato a fare nostre analisi e a costruire nostre mappe fino a smarrire il sentiero che solo Lui può aprire anche nel deserto. Abbiamo peraltro imparato anche, quando siamo stati aperti alla grazia, a scorgere il ‘luogo’ che Dio predilige per farsi vicino a noi, abbiamo colto come sia importante per lui il legno di una mangiatoia e di una croce rispetto ad un tempio ove risuonano monete o a un salotto ove dotti disputano all’infinito. Vogliamo allora, come primo impegno, restare vicini alla vita concreta, materiale, corporea dei poveri. Il nostro tentativo di “guardare oltre” si misura per questo ogni giorno – attraverso una disciplina del tempo – con l’attenzione agli anziani che nella casa di riposo nessuno cerca, ai giovani che mancano di guide sicure e autentiche, all’Abruzzo tradito e abbandonato dopo il terremoto (e dopo i primi interventi utili solo per la propaganda governativa), agli immigrati che continuano a fuggire dalla miseria, al mondo dei poveri di cui ormai ci arrivano solo tenui voci. Ci teniamo a questa collocazione: salva da tanti filtri psicologici e ideologici che impediscono un rapporto concreto con la vita. Ci ricordiamo che la realtà è molto amara, certo con venature di dolcezza, che però vanno scoperte. E abbiamo al fondo solo due scelte: o fuggire questa realtà amara o portarla su di noi. Fino a poco tempo fa c’erano tante possibilità con cui aggirare la scelta.

Si prendeva posizione discutendo o inserendosi in una forza politica, si celebravano svolte e si sperava in cambiamenti. Oggi l’aridità e l’asprezza di questo nostro tempo non permettono illusioni, mettono a nudo la nostra poca fede e la nostra viltà e, per restare fedeli, ci dicono che occorrono convinzione, coraggio, forza. Andando quest’estate all’Aquila non c’era più l’apparato della solidarietà. C’erano i problemi. C’era la gente che iniziava a svegliarsi, a capire come sia stata presa in giro. Non c’erano più migliaia di volontari, non c’era la Protezione civile (già l’anno scorso era chiaro peraltro come fosse poco ‘civile’ quando si trattava di discutere con la gente: non si presentava al dibattito!). Ma c’era chi era rimasto e rimane accanto con mente lucida e cuore generoso. Con la concretezza dei fatti e della presenza. Testimonianza questa che ci invita a cingere le pieghe dell’eccessivo peso dato ad una psicologia e una sociologia capaci di dirci bisogni e disagi generando però spesso solo ansie e analisi, senza riuscire dire la forza e la dell’amore che si espone anche in perdita e che comunque osa… per amore e solo per amore! Decidendo, non analizzando. Collocandosi, non disquisendo. Partecipando, andando, prendendo posizione.

Pregare e operare per la giustizia

Fuggire o portare su di sé il peso della realtà: questo è il bivio attuale per chi vuole continuare ad essere umano. Non si può tuttavia portare un peso così grande da soli: occorre ritrovarsi con altri che resistono. Al fondo, dobbiamo dirci anche che non si può restare veramente fedeli se non ci si colloca davanti a Dio: invocando ed anche gridando, interpellando ma anche ascoltando la sua voce che continua ad essere mormorio di vento leggero. L’agnosticismo è molto comodo e di moda, la fede certo diventa difficile oltre che fuori moda ma, proprio per questo, ha più possibilità – quando è aderante alla vita di ogni giorno e di tutti – di essere viva e di portare al cuore della vita, di essere rapporto e di svelare come può viversi nella verità un rapporto. Impariamo allora in questi tempi difficili come sia importante e necessaria una fede viva che si autentica pregando. Pregando senza sosta. Pregando senza chiedere grazie particolari ma solo la venuta del Regno. Ricollocando i nostri desideri nella giusta misura: il pane che ci serve è quello quotidiano, il resto va dato; il perdono diventa indispensabile, e dobbiamo essere pronti e generosi nell’offrirlo; il rischio della tentazione non va sottovalutato, ma la liberazione vera ci viene donata, non bastano le nostre forze. Al tempo stesso non si può pregare con verità se non si opera per la giustizia.

Non possiamo invocare il Regno senza spogliarci dei troppi beni e dei troppi orpelli, soprattutto senza deporre uno stupido e arrogante narcisismo ed una colpevole idiozia che trascina noi e l’ambiente circostante nella deriva. Non possiamo pregare per i poveri o per la salute senza assolvere i nostri doveri professionali e civici attraverso cui passa la costruzione di un mondo più giusto. Ci vuole per questo la cintura di una fede autentica, come la sentivamo risuonare quest’estate sempre in terra d’Abruzzo, a Paganica, dalle Clarisse che sono rimaste malgrado il crollo del convento e la perdita della madre: «Dio esiste, Lui esiste. Tante volte, purtroppo, viviamo come se Dio non esistesse. Decidiamo, preghiamo, scegliamo, progettiamo come se Dio non esistesse. Ma Dio è la realtà più concreta, più di noi.  Francesco ha capito questo attraverso quella realtà profonda che sono i poveri, gli ultimi, i più piccoli. Francesco afferrato da Cristo, Chiara afferrata dallo stesso amore, hanno detto non c’è altra persona più grande ed altra vita più grande se non consegnare tutto per Lui.

Allora, nell’esperienza del terremoto, dove puoi perdere tutto e fai esperienza di tutto, ciò che rimane è l’amore e quella è la realtà che nessuno può togliere o può perdere. Quella notte Dio era in mezzo alle macerie, Dio era in coloro che si sono fatti strumento dell’aiuto e Dio soffriva in coloro che non si sono potuti salvare. Qualche mese fa sono state trovate due pissidi. Queste ostie rimaste per più di un anno sotto le macerie fanno pensare che veramente Gesù ha vissuto fino in fondo questo dramma… Davvero noi siamo sempre insieme a Dio, il quale è infinito ma anche si è fatto così piccolo da consegnarsi, donarsi  a noi nel pane. Noi siamo davvero, come Lui ci chiama, la pupilla del suo occhio, gli immensamente amati ai quali Dio stesso consegna un ruolo con grande fiducia: aiutami a costruire il mio regno».

Impiantando piccoli semi

Diventa, allora, questo nostro tempo così difficile un tempo di verità, un tempo che ci chiede di camminare senza inciampare in vesti troppo sontuose, ma con sobrietà cingere i fianchi affidandoci a ciò che veramente conta: l’amore, che è vero quando è concreto; la fede, che è vera quando è forte, radicale, aderente alla vita. Amore e fede permettono di non cercate risultati ma di seminare senza disperare. Scrive il card. Martini: «Leggendo il vangelo, I’educatore noterà che Gesù Figlio di Dio, paragona l’uomo al terreno, a un seme, a una pianta, a un capitale da amministrare: cioè a realtà dinamiche, in evoluzione, con la possibilità concreta e quotidiana di crescere, al trenta, al sessanta, o al cento per uno. Gesù ha sempre manifestato fiducia nell’uomo. È convinto che in coloro che compiono il bene, sperano e sopportano, lo sappiano o no, opera sempre anche lo Spirito di Dio, l’Onnipotente, il Salvatore, il Santificatore dell’uomo». Occorre anche la cintura della speranza contro il rischio che le vesti dell’amarezza ci paralizzino. Occorre continuare a seminare, da una parte chiarendo a noi e a tutti che solo sulla roccia la vita cresce salda, dall’altra che solo impiantando il seme nei tempi lunghi della cura educativa esso può fiorire. Continuiamo per questo a puntare sulla qualità, e non sulla quantità.

Il decennio che si apre per le Chiese italiane sul tema dell’educazione ci impegna anzitutto a dire la verità, a dirci la verità della vita, a dirci che la vita diventa crescita solo se la rendiamo cammino, se aiutiamo a viverla come un cammino. Diversamente dall’idea, oggi di moda e imperante nella scuola, che valgono competenze e successo, ma anche diversamente da un’educazione cristiana che punta sull’immaginario collettivo e priva i giovani della radicalità evangelica. Mi sembra molto attuale la consegna fatta dal cardinale Martini alla fine del suo mandato episcopale, quando coglieva uno smarrimento dei giovani dovuto alla carenza di proposte autentiche e coraggiose. La riprendo anche in positivo, indicativa di ciò che va focalizzato. «Mi sembra di intravedere – scrive Martini  – in molti ragazzi e giovani uno smarrimento verso il futuro, come se nessuno avesse mai detto loro che la loro vita non è un caso o un rischio, ma una vocazione». Diventa un nodo educativo fondamentale: per questo occorre che l’educazione aiuti nelle varie età della vita a ritrovare se stessi costruendo spazi di racconto, di vita interiore, di relazione. Ed aiutando con la proposta di cammini di conversione, supportati da una relazione educativa delicata ma anche esigente! Il card. Martini parla di purificazioni senza le quali non sono possibili né gioia né pienezza né forza: «Per disporre alla gioia è necessaria una purificazione che non va senza fatiche.

La purificazione degli affetti significa introdurre ad una gioia sconosciuta a chi immagina i rapporti tra l’uomo e la donna come una via per ridurre l’altro a strumento per la propria gratificazione e rassicurazione: allora gli affetti degenerano a passione, possessività, sensualità. Lo spirito di servizio e la disponibilità al sacrificio introducono alla gioia che si rallegra nel vedere gli altri contenti, le iniziative che funzionare bene, le comunità ordinate e vivaci. È una gioia sconosciuta a chi impigrisce nell’inconcludenza. La purificazione dalla paura del futuro è urgente per introdurre alla gioia della definitività. Una vita si compie quando si definisce in dedizione: la scelta definitiva deve essere desiderata come la via della pace, come l’ingresso nell’età adulta e nelle sue responsabilità». Per attraversare il mare allora sono necessarie le cinture dell’amore, della fede e della speranza. E abbiamo il dovere di consegnarle alle nuove generazioni perché la fede, l’amore, la speranza sono sempre ‘per’, sono sempre capaci di generare cammini di popolo in cui si ha cura di tutti e di ognuno e in cui ci si preoccupa di trasmettere senso e forza ai giovani. Mentre la demagogia sembra compiere il suo corso e diventare deriva (forse potrebbe anche risvegliare reazioni), noi ci sentiamo comunque spinti dal Signore a percorrere con Lui strade di liberazione e, per questo, «a irrobustire le mani fiacche, a rendere salde le ginocchia vacillanti», per offrire agli smarriti di cuore una strada: una strada appianata, una via veramente santa…

Tratto da Horeb n. 57, quadrimestrale della Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (Messina), Settembre-Dicembre 2010

* Maurilio Assenza (maurilioassenza@virgilio.it) è docente di Storia e Filosofia nel Liceo scientifico “Galileo Galilei” di Modica. Direttore della Caritas diocesana di Noto, è anche presidente della Fondazione Madre Teresa di Calcutta e membro del Consiglio direttivo della Fondazione San Corrado. E’ responsabile della Casa don Puglisi di Modica, in cui si accolgono mamme e bambini attraverso un ambiente educativo e percorsi di autonomia nel segno della relazione. Ha curato gli Atti del secondo Sinodo diocesano di Noto e pubblicato “Come un roveto ardente” (edizioni Piemme), “Ricollocarci nel Vangelo” (edizioni Qiqajon) e – insieme ad altri – “Lo sguardo dal basso” (EdiArgo) e “Ai piedi della loro crescita” (edizioni il Pozzo di Giacobbe).

(Nota biografica dell’Autore a cura di Goffredo Palmerini)

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