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Italia. Economia: LUCIANO GALLINO CON I SOLDI DEGLI ALTRI Ed. EINAUDI 2010

LUCIANO GALLINO

CON I SOLDI DEGLI ALTRI

Ed. EINAUDI 2010

(LIBERA SINTESI DEL TESTO DA PARTE DELL’IRES CGIL ABRUZZO)

a cura di Mario Boyer

INDICE

A – RAPPORTO OIL SULL’ECONOMIA MONDIALE:

POVERTA’ E DISUGUAGLIANZE                                               pag. 3

B – LA FINANZA MONDIALE E’ DE-REGOLATA                                 pag. 5

C – CONCENTRAZIONE DEL RISPARMIO E INVESTITORI MONDIALI    pag. 7

D – FONDI ISTITUZIONALI-FONDI COMUNI- FONDI SPECULATIVI      pag. 9

E – STRATEGIE DEGLI INVESTITORI ISTITUZIONALI                                pag. 10

F – FONDI PENSIONE/SINDACATI/LAVORATORI                              pag. 12

G – CREAZIONE DI DENARO PER MEZZO DEL CREDITO:

L’ECONOMIA DEL DEBITO                                                      pag. 12

H – I DERIVATI                                                                          pag. 14

“La libertà di una democrazia non è salda se il popolo tollera la crescita di un potere privato al punto che esso diventa più forte dello stesso stato democratico……….

La libertà di una democrazia non è salda se il suo sistema economico non fornisce occupazione e non produce e distribuisce beni in modo tale da sostenere un livello di vita accettabile”.

Franklin Delano Roosevelt – 1938

A – RAPPORTO OIL SULL’ECONOMIA MONDIALE:

POVERTA’ E DISUGUAGLIANZE

Tra il settembre 2008 e i primi mesi del 2009 sono fallite o sono state salvate dallo Stato decine di istituzioni finanziarie di peso mondiale. Il maggior numero di crac si è registrato negli USA, Regno Unito, Germania, Francia, Belgio, Svizzera.

Le borse mondiali perdevano quasi la metà del proprio valore bruciando capitali per trilioni di euro mentre l’economia reale già da tempo conosceva fallimenti assai gravi. Alla fonte di questi fallimenti si ritrovano quegli sviluppi di crescita giudicati unanimemente come “successi del sistema”.

L’OIL, Organismo dell’ONU preposto al lavoro nel mondo, nel suo ultimo Rapporto sullo stato dell’economia mondiale nel primo decennio del XXI secolo, stima che su una popolazione di 6,5 miliardi di persone, circa 3 miliardi abbiano un lavoro.

Tuttavia di esse circa 1,5 miliardi lavorano nell’economia informale (ovvero sono lavoratori in proprio o coadiuvanti in aziende familiari privi per lo più di sicurezze e di diritti).

Relativamente al reddito ricavato dal lavoro, 1,3 miliardi di lavoratori non supera 2 dollari di reddito al giorno.

Relativamente alle condizioni di salute e sicurezza del lavoro, l’OIL stima che ogni anno muoiono nel mondo 2,2 milioni di persone per cause correlate al lavoro.

Gli incidenti sul lavoro annui non mortali ammontano a 270 milioni.

Sono160 milioni le persone che si ammalano ogni anno a causa del lavoro.

1,75 milioni di persone all’anno muore per esposizione a sostanze nocive o a radiazioni.

La cifra delle morti correlate al lavoro è in aumento.

Circa l’Europa occidentale, agenzie internazionali per l’ambiente e riviste mediche specialistiche stimano che entro il 2035 i decessi provocati dall’amianto (vietato nel 1998) potrebbero arrivare a 500.000.

Circa le condizioni di vita della popolazione mondiale, l’OIL stima che 1 miliardo di persone vive in slums, favelas, tugurios, bidonvilles, baraccopoli (quartieri di baracche di lamiera e cartone nelle periferie), privi di acqua, elettricità, fognature.

Sono 2,6 miliardi le persone che vivono in abitazioni prive di servizi igienico-sanitari di base.

Circa i consumi di acqua e la nutrizione:

Quasi 1,1 miliardo di persone consuma 5 litri di acqua al giorno. (Il consumo procapite giornaliero in Europa supera mediamente 300 litri, negli Usa 500 litri).

Soffrono la fame nel mondo 1 miliardo di persone.

Tra il 2007 e il 2008 il loro numero è aumentato di alcune centinaia di milioni. Per causa di malattie collegate alla fame muoiono ogni anno 25 milioni di  bambini.

Lo stato precario di tre quarti della popolazione mondiale è correlato alle immense disuguaglianze di reddito e di ricchezza a livello internazionale e nazionale.

I venti uomini più ricchi del mondo posseggono una ricchezza pari a quella del miliardo di persone più povere.

Un lavoratore dell’occidente capitalistico dovrebbe lavorare tra i 400 e i 1.000 anni per arrivare a guadagnare in un anno quanto i top manager delle grandi imprese industriali e finanziarie

Nel 1960 gli sarebbero bastati, per così dire, solo 40 anni.

Simili dati attestano che quanto alla capacità di provvedere alla sussistenza umana, l’economia capitalistica del mondo ha fatto registrare negli ultimi venti anni una serie di fallimenti.

Varie le obiezioni opposte a questa affermazione.

Si fa rilevare che l’economia mondiale ha continuato a crescere a un tasso medio del 4%, o che in 150 Stati su 200 sono aumentati i tassi di occupazione, il reddito, la speranza di vita, l’istruzione.

Tuttavia va osservato che queste obiezioni si ritorcono contro se stesse se si considerano i presupposti su cui si fondano.

Anzitutto il termine “medio” occulta le differenze, le ingiustizie, la privazione di libertà che ricadono sulla parte bassa della gerarchia sociale mondiale, differenze e ingiustizie che riguardano più di due terzi della popolazione mondiale.

E’ ben maggiore, rispetto a quanti migliorano la propria condizione, la quota di coloro la cui vita rimane misera, brutale e tragicamente breve. Per milioni di uomini del pianeta la vita è peggiorata rispetto alle precedenti generazioni.

Nel complesso dei paesi emergenti, milioni di persone annualmente passano dal lavoro non retribuito in moneta (impresa/famiglia) al lavoro monetizzato in forma di salari o di incassi in proprio.

Nella sola Cina si stima che per due decenni e oltre 15 milioni di contadini all’anno, mediamente, hanno lasciato le campagne per andare a lavorare in città.

Il Pil appare così accresciuto dell’intero prodotto delle nuove unità lavorative. Ciò invece non corrisponde alla realtà.

Così come sono sovrastimati i PIL, così sono fortemente sottostimati la povertà e le disuguaglianze.

In effetti molte variabili economico/sociali a livello mondiale stanno peggiorando:

–         aumentano fortemente le disuguaglianze nazionali e internazionali;

–         aumenta il numero degli affamati.

–         i lavoratori poveri che percepiscono salari pari al 50% o meno del salario medio per un lavoro a tempo pieno, stanno aumentando in tutti i paesi avanzati. Nella ricca Germania hanno superato il 20% dei salariati;

–         la quota di persone che vivono in slums nelle metropoli dell’America Latina, dell’Asia, dell’Africa, negli anni ’70 era dell’1-2% del totale degli abitanti; negli anni 2000 ha superato il 20%.

–         distruzione di foreste (legname industria) e pascoli (agrocarburanti);

–         inquinamento di mari ed atmosfera, milioni di chilometri quadrati ricoperti di plastica, fiumi inquinati che dalla Cina arrivano in California.

Se tali elementi venissero inclusi nel conto si renderebbe evidente che in realtà l’incremento mondiale del Pil sarebbe pari a zero, o addirittura negativo.

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B – LA FINANZA MONDIALE E’ DE-REGOLATA

I fallimenti sono riconducibili principalmente a diversi fattori tra loro correlati. Il più importante è la de-regolazione dei movimenti di capitali, dei mercati finanziari, delle attività bancarie avvenuta a livello mondiale (de-regolamentazione partita dagli USA nel 1974 e adottata dall’Europa negli anni ’80).

La crisi finanziaria esplosa a fine 2008 ha mostrato le conseguenze della de-regolazione.

Ci sono state altre crisi gravi legate alla sregolatezza della finanza nell’ottocento, nei primi del novecento, negli anni ’20.

Il ciclo attuale della finanza de-regolata ha la caratteristica che una massa enorme di risparmio, pari al Pil del mondo, viene gestita senza alcun controllo.

Investono, di mestiere, denaro di proprietà altrui i Fondi pensione, i Fondi di investimento, le Compagnie di assicurazione, numerosi tipi di Fondi speculativi.

Il peso degli Investitori istituzionali in venti anni è diventato formidabile.

Il sistema finanziario mondiale si è trasformato da strumento dell’economia reale a suo padrone.

Le cose funzionano così:

–    i capitali degli Investitori istituzionali sono formati e alimentati dal risparmio di centinaia di milioni di lavoratori dipendenti di tutto il mondo, nonché di molti lavoratori autonomi;

–    i sottoscrittori dei vari fondi si aspettano che il valore della loro pensione possibilmente aumenti e che i risparmi investiti rendano un po’ di più dei depositi bancari;

–    i gestori dei fondi rispondono a queste attese indirizzando l’investimento delle risorse attive disponibili verso investimenti che massimizzano il rendimento del capitale, in generale verso obbligazioni  (es. titoli di stato) e azioni.

Percorrendo questa strada gli Investitori istituzionali, banche incluse, sono diventati proprietari di maggioranza dell’industria e dei servizi delle prime economie del mondo.

Più della metà del capitale azionario delle prime 100 imprese quotate in borsa in Francia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti, sta nel portafoglio di investitori istituzionali.

I Fondi istituzionali, salvo un limitato gruppo virtuoso, operano in modo economicamente e socialmente irresponsabile.

Si affrettano ad acquistare titoli se i prezzi di alimentari di base, grano-riso-mais-soia, aumentano. In questo modo contribuiranno ad accrescere il numero degli affamati. I gestori si ritengono responsabili solo verso i proprietari di quote del fondo.

Peter Drucker nel ’76 stimava che un migliaio dei principali Fondi pensione possedesse il controllo delle prime 1000 corporation industriali d’America. Inoltre controllavano le prime 50 maggiori società nel campo delle banche, assicurazioni, trasporti, distribuzione, comunicazione.

Oggi, più ancora di ieri, i Fondi investono in strumenti finanziari, azioni-obbligazioni-prodotti derivati.

Proliferano molti sottotipi di Fondi:

–         Fondi di copertura “hedge found” (detti anche fondi speculativi);

–         Fondi sovrani;

–         Fondazioni;

–         Banche d’affari;

–         Società di brokeraggio (intermediazione finanziaria).

La maggior parte di questi sono in realtà filiazioni dirette e indirette di grandi banche.

Diceva Drucker che le Corporation erano possedute collettivamente, tramite i Fondi pensione, dai salariati di fascia bassa e media (i dipendenti dei produttori americani). Di qui la conclusione che se il socialismo è definito come la proprietà dei mezzi di produzione da parte dei salariati, allora gli Usa sono il primo paese veramente socialista.

In realtà, è vero che i salariati sono collettivamente proprietari, ma, considerando il loro ruolo di azionisti, il loro potere è pari a zero, sia perché la loro quota azionaria è risibile, sia perché all’assemblea degli azionisti votano i Gestori dei Fondi, non i possessori di quote dei fondi stessi. Ed è possibile che i Gestori dei Fondi non posseggano neanche una quota.

Essi però hanno il potere di acquistare e vendere quote utilizzando i soldi degli altri, miliardi di euro al giorno riferiti a titoli di società quotate o non quotate.

In questo modo i Gestori dei Fondi sono in grado di esercitare un enorme potere sui manager delle società di cui posseggono una quota di titoli che a loro volta sono impegnati ad assicurare al capitale investito tassi di redditività pari o superiori al 15%.

Sotto questo aspetto, i gestori dei Fondi e i manager delle grandi società sono tra i principali esponenti di una nuova classe capitalistica transnazionale.

Una terza figura della nuova classe capitalistica è formata dai padroni super ricchi che dirigono personalmente grandi corporation. Una quarta figura è quella dei super ricchi non attivi nelle imprese.

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C – CONCENTRAZIONE DEL RISPARMIO E INVESTITORI MONDIALI

La grandezza di riferimento per misurare le operazioni economiche degli investitori istituzionali è il “trilione”, che corrisponde al valore di mille miliardi.

A fine 2007 il PIL del mondo ha superato 54 trilioni di dollari americani, mentre la capitalizzazione di tutte le borse a quella data superava 60 trilioni.

A giugno 2008:

–          il valore dei “derivati trattati nelle borse” toccavano gli 80 trilioni;

–          il totale dei derivati circolanti al di fuori delle borse (al banco), sfiorava i 684 trilioni;

–          i derivati in circolazione, sia tradizionali (futures) che in forma di contratti di assicurazione contro il rischio di insolvenza o di mancata riscossione di un credito alla scadenza (credit default swaps) ammontavano a 765 trilioni di dollari, pari a 14 volte il Pil del mondo. Soltanto 80 trilioni di questi erano scambiati tramite borse. I gestori si ritengono responsabili solo verso i proprietari di quote del fondo.

Warren Buffet (finanziere) definisce i derivati “gli equivalenti finanziari delle armi di distruzione di massa”.

Questi i principali Investitori istituzionali operanti nel mercato finanziario mondiale:

–          Fondi pensione. Nel 2007 erano 30.000; capitali gestiti 17,5 trilioni di dollari;

–          Fondi comuni di investimento (aperti). Nel 2007 erano 66.000; capitali gestiti 26,2 trilioni di dollari. E’ forte la concentrazione territoriale. Il 50% del capitale totale (12 trilioni) sta nel portafoglio dei fondi statunitensi. Il 10% del capitale totale fa capo a Fondi in Lussemburgo. Il 7,5% a Fondi francesi. Il 14,6% a Fondi australiani. I fondi italiani sono 900 con un capitale complessivo di 420 miliardi;

–          Compagnie di assicurazione. In solo 9 paesi del mondo sono attivi contratti previdenziali (pensioni-vitalizi) per 3,4 trilioni di dollari;

–          Banche d’affari (di investimento);

–          Fondazioni. Le prime cinque Università americane, cioè Harward-Yale-Stanford-Princeton-Texas hanno un capitale di dotazione che supera 100 miliardi di dollari.

Fino all’80% del volume dei titoli scambiati giornalmente sulle borse mondiali è da attribuire agli investitori istituzionali.

Il capitale totale controllato dagli Investitori istituzionali potrebbe risultare molto maggiore a quanto indicato se fosse possibile conoscere le quantità di derivati che hanno in portafoglio.

Altri “Fondi” operanti nel mercato finanziario:

–          Fondi di copertura del rischio (hedge funds), che hanno una vocazione smaccatamente speculativa e richiedono quote di ingresso dell’ordine di milioni di euro. Nel 2007 si stima che superavano i 12.000 nel mondo, di cui 9.000 negli USA e 2.000 in U.E.;

–          Private equity funds che acquistano imprese non quotate in borsa per ristrutturarle e rivenderle in borsa;

–          Fondi sovrani, costituiti dai governi a fini sia previdenziali che speculativi. Nel 2007 capitale stimato in 2-3 trilioni di dollari.

Da tempo, dal 1974, è venuta a cadere in tutti i paesi Ocse la distinzione tra banche commerciali, o di deposito, e banche d’affari (negli USA imposta nel 1933 con la legge Glass-Steagall abrogata nel 1999). Ciò ha consentito alle banche di deposito numerose attività finanziarie di segno speculativo, simili a quelle delle banche d’affari.

La maggioranza degli Investitori istituzionali, al di là della classificazione nominale in cui sono inquadrati, hanno strategie di investimento sempre più intrecciate e interdipendenti. Ad esempio, i Fondi pensione dei pubblici dipendenti acquistano quote crescenti di fondi di investimento, di hedge funds e di private equity funds; i private equity comprano quote di fondi comuni, e questi ultimi a loro volta investono nei primi come nei secondi.

Migliaia di fondi di ogni tipo sono stati costituiti e vengono controllati da banche. Nel 2002 il 70% dei Fondi comuni esistenti in Francia, il 64% in Germania, l’81% in Italia, il 93% in Spagna. Inoltre le Banche investono anche in partecipazioni azionarie di imprese quotate.

Le Banche offrono ai fondi di ogni genere enormi quantità di derivati complessi trattati al di fuori delle borse. Sono anche nati fondi il cui capitale è costituito unicamente da altri fondi (fondi di fondi).

Infine, banche, compagnie d’assicurazione e Fondi comuni gestiscono sia fondi pensioni che polizze pensionistiche individuali per decine di milioni di persone.

Di conseguenza, nel capitalismo finanziario di mercato l’attività degli investitori istituzionali appare indissociabile dall’attività delle banche.

Da dove proviene originariamente la massa di capitale controllato formalmente dagli investitori istituzionali?

Le fonti sono principalmente due:

a)     centinaia di milioni di piccoli risparmiatori che vogliono costituirsi una pensione o una rendita per la vecchiaia. Per lo più sono lavoratori dipendenti che versano al fondo pensione di settore o d’impresa (all’undicesimo posto la General Motors). I lavoratori autonomi sono invece in maggioranza nei contratti previdenziali sottoscritti con compagnie d’assicurazione e banche. Complessivamente si può stimare che nel portafoglio degli investitori istituzionali il capitale di proprietà di piccoli risparmiatori costituisca l’80% del capitale affidato a tali enti;

b)     circa un milione di individui molto ricchi che conferiscono capitali ai Fondi speculativi o ai Fondi che trafficano in società non quotate. Si aggiungono imprese, banche, amministrazioni territoriali, con quote di ingresso non inferiori a 1 milione di dollari.

La partecipazione a Fondi speculativi attrae perché, sebbene presenti rischi elevati, traguarda a rendimenti superiori al 20% annuo del capitale investito.

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D – FONDI ISTITUZIONALI / FONDI COMUNI D’INVESTIMENTO / FONDI SPECULATIVI

Lo sviluppo dei Fondi istituzionali è stato estremamente rapido. Nel ‘92 gestivano circa 15 trilioni di dollari, a fine 2001 gestivano 40 trilioni. Poi, in cinque anni sono cresciuti di altri 13 trilioni di dollari.

Relativamente ai Fondi comuni d’investimento, oltre la metà di essi, e cioè 33.600 su 66.350, ha sede legale in quattro soli paesi: Lussemburgo, Usa, Francia, Corea del Sud. In ciascuno di essi il loro numero supera gli 8000. In altri sei paesi il numero dei Fondi varia da 2000 a 3000. Nei restanti paesi il numero ammonta a poche centinaia.

In Italia i Fondi comuni di investimento sono 900.

I 66.350 Fondi di investimento sono sovrastati dalle maggiori Banche e Compagnie di assicurazione a livello mondiale.

Nel 2006 i primi dieci Enti finanziari del mondo detenevano più della metà del capitale della totalità di questi fondi, ossia 13 trilioni di dollari su 26. Cinque di questi enti erano Banche, o lo sono state: UBS (Svizzera), Barclays (Regno Unito), State Steet (Usa), Credit Suisse (Svizzera), Deutsche Bank (Germania). Due di questi Enti erano Compagnie: Allianz (Germania), Axa (Francia).

Circa il capitale relativo al mercato delle pensioni (Fondi pensione e Fondi autonomi previdenziali di Compagnie e Banche), su un totale di 26 trilioni di dollari oltre il 61% è concentrato negli Usa; l’11% nel Regno Unito.

Le relative quote di capitale di questi Fondi corrispondono al 120% di Pil negli Usa e in Canada; al 130% nel Regno Unito, Olanda, Danimarca.

Quanto ai Fondi speculativi, i maggiori di essi sono concentrati negli Usa e nel Regno Unito. Tra i primi 50 al mondo non figurano fondi che non siano anglosassoni.

Il primo di essi, il J. P. Morgan Asset Management ha un capitale di 44,7 miliardi di dollari. Il Barclays Global Investors con sede a Londra occupa il nono posto con un capitale di 26 miliardi di dollari.

I Fondi speculativi muovono capitali molto superiori a quelli che hanno in portafoglio poiché ottengono prestiti molto alti, in un rapporto che può arrivare a 8/10 : 1.

Il trilione di dollari dei primi 50 fondi speculativi del mondo possono muovere 20-25 trilioni di dollari, e forse più. Il rischio è altissimo. Se la punta su cui gravano decine di miliardi di debito è formata da solo un miliardo di dollari di attivi, basta che qualcuno chieda indietro solo mezzo miliardo per far crollare la piramide nella polvere. Lo si è visto nella crisi del 2008.

Se il totale del capitale azionario detenuto dagli Investitori istituzionali è circa la metà del capitale azionario totale del mondo, un rapporto analogo si può osservare nei diversi paesi.

Nel 2006 i soli investitori istituzionali statunitensi detenevano oltre il 60% di tutte le azioni emesse in Usa. A questa quota va aggiunta quella degli investitori esteri.

Gli Investitori istituzionali sono dunque i veri padroni delle imprese quotate in quasi tutti i settori dell’economia reale dei principali paesi sviluppati.

I Direttori e i Manager degli investitori istituzionali costituiscono una ristretta frazione di alcune decine di migliaia di persone molto ricche e potenti. Se ad essi sommiamo i direttori e i manager delle principali banche e compagnie mondiali che hanno istituito i fondi e li controllano, si arriva a una cifra tra 60.000 e 120.000. Se poi si considerano anche i manager dei fondi minori, la stima arriva a 5/600.000 persone. Esse muovono da una parte all’altra del mondo decine di trilioni di dollari e di euro, senza in realtà rispondere in concreto a nessun portatore di interesse, a partire dai piccoli risparmiatori.

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E – STRATEGIE DEGLI INVESTITORI ISTITUZIONALI

Gli Investitori istituzionali operano nel rispetto dei seguenti indirizzi:

a)     assicurare al capitale loro affidato il rendimento più elevato;

b)     accrescere il peso nei portafogli dei titoli derivati;

c)      modificare i servizi offerti ai risparmiatori in funzioni delle variabili demografiche, fiscali,  economiche, di regolazione del mercato che vengono a verificarsi;

d)     aumentare il volume dei capitali loro affidati in gestione attraendo nuovi sottoscrittori;

e)     favorire in funzione dei propri obbiettivi, acquisizioni, fusioni e ristrutturazione di imprese industriali e finanziarie.

I Consigli di gestione (board of dirrectors) sono l’organo di governo dei fondi e si riuniscono in media quattro/otto volte l’anno.

Spesso, per statuto, i Consigli di gestione devono rapportarsi ad altri Consigli con poteri di controllo e vigilanza delle loro scelte (ad esempio il Consiglio della banca che ha creato il fondo). Così avviene in Italia per i Fondi di investimento UniCredit gestiti da Pioneer Investments, per i Fondi Intesa SanPaolo gestiti da Rurizon Capital, per i Fondi del Monte dei Paschi gestiti da Sistema Ducato.

Fra le strategie adottate dagli Investitori istituzionali negli ultimi decenni, oltre all’allocazione di capitali in investimenti rischiosi, c’è il trasferimento calcolato del rischio dal proprio Ente ai sottoscrittori di quote.

Ciò avviene per mezzo di strumenti finanziari complessi che essi costruiscono e che si scambiano tra di loro e che alla fine sono venduti ai singoli risparmiatori come titoli o quote di un fondo.

Tra questi strumenti si collocano le obbligazioni sintetiche che hanno come “sottostante” uno o più contratti anti-insolvenza.

Le obbligazioni sintetiche sono titoli inventati nel 1997.

Nel caso dei Fondi pensione, il rischio è stato trasferito ai futuri pensionati mediante il passaggio dai piani pensionistici “a beneficio definito”, ai piani “a contributo definito”.

Tra il 1997 e il 2006, nei sette paesi dove maggiore è lo sviluppo dei Fondi pensione (Usa, Canada, Australia, Giappone, Svizzera, Regno Unito, Olanda,), la quota attribuita ai piani “a contributo definito” è salita dal 34% al 42%.

Nel Regno é passata dal 4% al 33%.

Gli Investitori istituzionali, come qualsiasi banca, devono fare attenzione a un doppio bilancio: quello dei capitali gestiti e il bilancio dei capitali propri.

Il reddito dei capitali propri deriva soprattutto dalla fattura dei servizi di gestione e dalle commissioni che i sottoscrittori pagano all’ingresso e all’uscita da un fondo. A queste possono aggiungersi le commissioni legate all’incremento di valore di un’impresa (per i fondi speculativi pari al 2% della plusvalenza realizzata).

Gli Investitori istituzionali sono i principali sostenitori di politiche di privatizzazione dei servizi pubblici (acqua-trasporti-energia-rifiuti-sanità-scuola-ecc.) perseguendo l’obbiettivo della continua dilatazione della domanda dei loro servizi da parte della cittadinanza. Il maggior campo di impegno di questi investitori finora si è rivolto alla popolazione anziana e alla costruzione del cosiddetto pilastro privato del sistema pensionistico italiano.

Al presente, sono ascrivibili agli Investitori istituzionali quattro quinti del totale degli scambi giornalieri sulle borse mondiali.

Gli Investitori istituzionali, praticando le strategie richiamate, hanno triplicato dagli anni ’90 i capitali in portafoglio, da 16 a 53 trilioni di dollari. E tuttavia, l’esito delle strategie richiamate porterà come risultato che la maggioranza dei Fondi pagheranno al momento dovuto pensioni inferiori a quelle che i sottoscrittori si aspettavano.

Si consideri che negli anni ’90-’92, i Fondi pensione americani hanno avuto perdite per 1,25 trilioni di dollari. Non sono calcolabili le perdite del biennio 2007-2008. Stesso bilancio critico per i Fondi comuni di investimento.

Conclusivamente si impongono due costatazioni:

a)     le strategie di investimento degli Investitori istituzionali, data la massa di capitali che muovono, esercitano un influenza molto forte sull’economia mondiale;

b)     le strategie di investimento non sono decise dai proprietari ultimi di gran parte del capitale, cioè i lavoratori che hanno investito i loro risparmi, ma da un ristretto numero di manager.

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F – FONDI PENSIONE/SINDACATI/LAVORATORI

Alla fine degli anni ’90 i lavoratori dipendenti hanno nei Fondi pensione un patrimonio che ammonta a un terzo del capitale azionario e obbligazionario delle imprese.

Si tratta di vedere se il ruolo di proprietari del capitale dei lavoratori dipendenti azionisti possa venire usato, o meno, dai lavoratori e dalle loro organizzazioni sindacali per elevare i salari legati alla produttività; migliorare le condizioni di lavoro; stabilizzare l’occupazione; allargare l’ambito dell’addestramento professionale.

Nel 1978 apparve un libro dal titolo battagliero: “Il Nord risorgerà: pensioni, politica e potere”. Tra gli autori Jeremy Rifkin. Il libro sosteneva che i Fondi pensione offrivano ai sindacati l’opportunità di influire sulle scelte di investimento di tali Fondi indirizzandoli verso la creazione di posti di lavoro.

I sindacati, sollecitati dal libro, furono attivi nel promuovere Fondi pensioni e Fondi aziendali, ricavandone qualche successo apprezzabile.

Se questi successi sono accertabili storicamente, lo stesso non può dirsi in merito al miglioramento delle condizioni di lavoro.

In ogni caso, il bilancio complessivo ad oggi è critico su entrambi i piani, occupazione e condizioni di lavoro.

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G – CREAZIONE DI DENARO PER MEZZO DEL CREDITO: L’ECONOMIA DEL DEBITO

Nel decennio 1990-2000 è avvenuta a livello mondiale la creazione irresponsabile di una colossale quantità di denaro per mezzo del debito pubblico. Ciò è tra le cause principali che hanno scatenato la crisi economica mondiale in atto.

Il processo in questione ha moltiplicato il denaro disponibile a breve termine in misura eccessiva.

Il denaro così creato è stato usato per fare altro denaro, non per investimenti produttivi.

Protagonisti di queste azioni irresponsabili sono stati molti attori finanziari, compresi gli Investitori istituzionali.

Hanno operato al riguardo tre sistemi finanziari le cui attività sono state fortemente intrecciate:

a)     banche commerciali (di deposito) in accordo con le banche centrali;

b)     banche di investimento e fondi speculativi. Per questi attori finanziari il rapporto tra indebitamento e capitali propri è circa 30 : 1 (Lehman Brothers e Merryl Linch);

c)      sistema finanziario ombra. Cioè un insieme di “Fondi-contenitori” che muovono centinaia di trilioni di dollari, di cui non si sa cosa realmente contengono, quanti sono, di chi sono i titoli che vi circolano.

E’ un sistema ignoto anche alle autorità di vigilanza e controllo delle banche.

Qualche considerazione sui concetti: denaro e creazione di denaro.

Per il senso comune, il denaro sono le banconote.

Le banconote che circolano per gli scambi sono una piccola quantità (il 3% del totale), mentre grandi quantità sono riposte nei caveau delle banche.

Nell’età dell’elettronica il denaro ha perso la sua connotazione di materialità. L’informatica consente di trasferire istantaneamente somme immense da un capo all’altro del mondo utilizzando appositi software. Si stima che il 40% dei movimenti di capitale nel mondo avvenga per mezzo di computer.

I critici del capitalismo finanziario riprendono la distinzione operata da Marx tra denaro “reale” (o “vero”), e denaro “virtuale” (o “fittizio”).

Per questi critici, il denaro reale sarebbe quello che viene speso per acquistare merci; il denaro virtuale sarebbe quello ricavato in più rivendendo a 100 quello che si è pagato 90 (plusvalenza).

Questa distinzione è un errore, perché se il denaro proviene dalla cessione di un bene o di un servizio reale è denaro reale, vero.

Se invece il denaro proviene dalla plusvalenza di un pacchetto di azioni, esso va definito virtuale, ma non sembra corretto definirlo “fittizio”.

Infatti, sotto l’aspetto definitorio, il denaro è una promessa di valore (prima ancora di essere un mezzo di pagamento).

Il denaro ricavato dalla ri-vendita di titoli (plusvalenza) è una promessa di valore altrettanto reale del denaro di qualsiasi altra origine.Quale che sia la sua origine, il denaro sempre promette, e assicura sempre al suo possessore un dominio su cose reali.

Il denaro, almeno in apparenza, è una delle promesse più controllate e tutelate (banche centrali). L’inflazione costituisce causa di erosione della promessa denaro.

Per il funzionamento del sistema economico è necessaria la creazione ininterrotta di denaro. Quando l’economia cresce deve aumentare la massa monetaria disponibile per fare fronte al maggior volume di scambi.

Contrariamente a una credenza diffusa, la maggior parte del denaro non viene creata dallo Stato.

Ciò avviene da lungo tempo. Una Banca Centrale oggi si limita a svolgere due funzioni:

a)     creare una minima frazione della massa totale del denaro disponibile (banconote e monete);

b)     facilitare la creazione di denaro da parte delle banche del Paese sia consentendo loro di acquistare sul mercato titoli del Tesoro, e dunque di accrescere così le loro riserve di denaro, sia riducendo d’autorità la quota minima di depositi di denaro che le banche sono obbligate a tenere in riserva, indisponibili cioè alla circolazione.

Gli accordi interbancari di Basilea stabiliscono che le riserve delle Banche non possano scendere al di sotto dell’8%.

In concreto, la maggior parte del denaro che circola in economia, oltre il 90%, viene creata da banche private.

Si consideri inoltre che molte Banche centrali nazionali sono autonome sotto il profilo giuridico, ma il loro capitale è detenuto da banche private, compresa tra tali banche la Banca d’Italia.

Le banche creano denaro concedendo crediti. Concedendo un prestito a qualcuno creano denaro “dal nulla”.

Infatti non appena il beneficiario di un  prestito ricevuto da una Banca “A” versa la somma riscossa a una Banca “B”, gli attivi di quest’ultima aumentano realmente di altrettanto. Poiché il procedimento può essere ripetuto a cascata di banca in banca, accade che un prestito iniziale di 1000 euro immetta nell’economia diverse migliaia di euro, in teoria fino a 10.000 euro.

Tutto denaro “creato dal nulla”. Per così dire.

Per quanto necessario al funzionamento dell’economia, il processo di creazione del denaro è fisiologicamente incline alla degenerazione. Se si eccede con la creazione di denaro in forma di credito, in misura speculare si sviluppa il debito, l’intera economia diventa vulnerabile e rischia il tracollo.

Negli ultimi due decenni, dal 1980 al 2000, si è creato un forte squilibrio tra Pil e tasso di creazione del denaro. Mentre l’economia Usa cresceva del 3-4% l’anno, il tasso di creazione del denaro è cresciuto del 14%. Mentre l’economia U.E. cresceva del 2-3% all’anno, il tasso di creazione del denaro è cresciuto del 10%.

Questa eccedenza è stata prodotta dalle grandi banche private, con la complicità delle autorità di sorveglianza, che hanno immesso nell’economia americana, solo nel periodo 2001-2006 due trilioni di dollari.

A questo si è aggiunto un altro trilione e mezzo tra il 2008-2009 per salvare dal disastro numerose banche americane.

…………….……………………….

H – I DERIVATI

Lo strumento principale utilizzato dalle istituzioni finanziarie per creare denaro, negli ultimi decenni è consistito nel perfezionare un tipo di titoli che esiste da almeno due secoli: i derivati.

Sono stati creati così i “futures”, una particolare specie di contratti a termine. In origine simili contratti garantivano la protezione del reddito da eventi futuri incerti (contratti agricoltori/mercanti).

Dagli ultimi decenni del ‘900 il sistema bancario ha moltiplicato senza misura le entità materiali e immateriali che possono fungere da “riferimento sottostante” a un “contratto derivato”. Qualunque titolo azionario può fungere da sottostante. Ma esistono “sottostanti” di altra natura: materie prime, prodotti alimentari, noli marittimi, corse dei cavalli, tassi di interesse.

I derivati sono divenuti una sorta di denaro, soggetto solo in minima parte a forme di regolazione. Infatti a quattro quinti dei derivati non si applica la registrazione di borsa essendo considerati contratti tra privati.

Le banche hanno inventato i “derivati del credito”. Per loro mezzo si compra o si vende protezione dal rischio che un debitore si dimostri insolvente.

La forma più comune di derivati del credito sono i credit default swaps (detti CDS). Negli Usa a marzo del 2008 i CDS erano 16,4 trilioni di dollari.

Il loro prezzo di mercato però, il cosiddetto “valore equo”, era fortemente passivo: meno 474 miliardi. A comprare protezione erano in prevalenza banche (59% del mercato), fondi speculativi, compagnie d’assicurazione. Al tempo stesso questi stessi soggetti vendevano protezione.

Ciascuna di queste obbligazioni chiamate Cdo (collateralized debt obligatios) viene composta di solito raggruppando in un unico titolo “Abs” (Asset baked securities) circa un centinaio di altri titoli garantiti da un attivo. A loro volta gli attivi cui è appoggiato ciascun Abs sono costituiti da migliaia di debiti individuali, ipoteche, auto, tasse universitarie, acquisto in leasing di uffici.

Introdotte in Usa nel 1987 e in U.E. nel 1999, le Cdo hanno avuto una diffusione vertiginosa.

Determinati Cdo possono essere composti da decine di altre Cdo  o tranches di esse, ciascuna delle quali presenta un livello di rischio definito e una rendita corrispondente.

Questi titoli vengono chiamati “Cdo al quadrato”.

Più alto è il rischio, più alto è il rendimento.

2011

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