Teramo e Provincia

POGGIO UMBRICCHIO FA RIVIVERE LU SANDANDONIO Sabato 15 gennaio a Poggio Umbricchio

POGGIO UMBRICCHIO FA RIVIVERE LU SANDANDONIO

Sabato 15 gennaio a Poggio Umbricchio

La tradizione del Sant’Antonio è uno dei maggiori tesori della cultura popolare abruzzese che merita di essere salvaguardata e conosciuta. Per questo sabato 15 gennaio, Poggio Umbricchio, un piccolo e caratteristico borgo nel comune di Crognaleto, consentirà a chiunque voglia farvi visita, di entrare in contatto con una delle tradizioni che affonda le sue radici nel teatro popolare del medioevo e che continua a mantenerne molte caratteristiche. La tradizione di cantare lu sandandonio, soprattutto negli ultimi anni si è andata perdendo, ma la comunità poggiana, grazie all’iniziativa di un gruppo di giovani che ha trovato l’appoggio del parroco del paese, don Filippo Lanci, ha deciso di tornare ad omaggiare il santo. E così domani a partire dalle ore 17.00 tra le stradine arroccate del borgo si vedranno diavoli che tormenteranno l’umile vita di un giovane dedito alla vita monastica, Sant’Antonio, e cantori che busseranno alle porte delle famiglie del borgo. Non dimenticando, così, le proprie credenze e radici popolari.

L’usanza di venerare il santo protettore degli animali, infatti, è tipica soprattutto delle comunità agresti, in occasione della festa di sant’Antonio che cade il 17 gennaio, che erano solite girare di casa in casa con canti e questue. In Abruzzo esistono due tipologie di canti dedicate al santo, quelli di carità legate al cibo e quelli che narrano la vita del santo abate, quindi di genere biografico. Meno diffusi, ma forse quelli che rimangono più impressi nella mente, sono i canti di genere buffo, che raccontano di una serie di battibecchi tra il santo e il demonio. L’esistenza di tutti questi stornelli sono legati all’immaginario popolare secondo cui ogni comunità rende il santo più riconoscibile a se stesso, anche se quasi sempre viene legato al forte bisogno di protezione per il bestiame.

LA STORIA.  Sant’Antonio abate  visse in Egitto e a cavallo tra il III e il IV sec. Il culto del santo viene diffuso in occidente proprio grazie ai monaci, alcuni di loro erano antoniani demoniaci ospedalieri ed usavano curare un tipo di herpes, che si dice bruci come il fuoco, con il grasso del maiale, ecco perché ancora oggi l’herpes zoster è ancora molto conosciuto come il fuoco di sant’Antonio.

La storia e la tradizione del culto del santo abate è molto confusa perché è andata subendo nel tempo molte contaminazioni, sia agiografiche che iconografiche.

Come fonte più attendibile e antica riguardante la vita di Antonio è da considerare lo scritto del patriarca Atanasio di Alessandria ma dalla sua testimonianza oggi ne siamo lontanissimi.

Molte immagini, che ritraggono il santo e che si sono ispirate a leggende e scritti agiografici più che alla deposizione di Atanasio, hanno finito per confondere e mescolare elementi che in realtà appartengo anche a sant’Antonio di Padova. Infatti il simbolo del fuoco originariamente appartiene a quest’ultimo che poi è stato attribuito all’abate che rappresenta la forza della tentazione. La tradizione popolare ha giustificato tutto ciò attribuendo al fuoco il simbolo delle fiamme dell’inferno.

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