Cultura & Società

Chieti. La morte di Gabriellino D’Annunzio

Chieti, 25 Luglio ’10, Domenica – S. Giacomo – Anno XXXI n. 285 – www.abruzzopress.infoabruzzopress@yahoo.it – Tr. n. 1/81


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A sessantacinque anni dalla morte, notizie inedite

Sulla tormentata vita di Gabriellino d’Annunzio

di Carlo Di Felice

L’ultimo libro del dannunzista Franco Di Tizio, dal titolo La tormentata vita di Gabriellino d’Annunzio nel carteggio inedito con il padre, un volume di 544 pagine con numerose illustrazioni inedite, edito da Mario Ianieri, sarà presentato alle ore 18,30 di venerdì 30 luglio all’Ex Aurum di Pescara, nell’ambito delle celebrazioni dannunziane. Tra i relatori figurano Giordano Bruno Guerri, Presidente del Vittoriale, ed i professori Umberto Russo e Andrea Lombardinilo, entrambi docenti della Facoltà di Lettere dell’Università  di Chieti. Le letture saranno dell’attrice Franca Minnucci.

Gabriellino d’Annunzio, figlio prediletto di Gabriele, nacque il 10 aprile 1886. Secondogenito di tre figli, fu affidato ad una balia di Olevano Romano. La madre, dopo la separazione dal marito, lo portò con sé a Parigi, dove studiò al Liceo Sailly. Ebbe con lei molti screzi e lui, era il 1900, bisognoso d’affetto, prese il treno e tornò a Firenze dal padre, che in quel tempo conviveva con Eleonora Duse. Il Poeta lo mandò a studiare al Cicognini di Prato, dove nel 1904 conseguì la licenza liceale. Pur iscrivendosi alla Facoltà di Lettere di Firenze, per far contento il genitore, preferì frequentare la scuola di recitazione di Luigi Rasi, per dedicarsi alla carriera teatrale.

Con lo pseudonimo di Gabriele Steno, il 27 marzo 1905 debuttò alla “prima” della Fiaccola sotto il moggio, al Teatro Manzoni di Milano. Con esito migliore recitò, nella parte di Ippolito, alla “prima” di Fedra il 10 aprile 1909 al Teatro Lirico di Milano. Nel 1914 si fidanzò con la coetanea Maria Melato, un’unione che durò meno di un anno, vale a dire sino a quando abbandonò la compagnia Talli, di cui anche la Melato faceva parte. Gabriellino combatté nella grande guerra come ufficiale di Artiglieria, meritando una croce di guerra ed una medaglia d’argento. Nella primavera del 1918 si legò a Maria Teresa Brizi, nata a Roma il 17 luglio 1896, allora ventiduenne, di dieci anni più giovane di lui, la quale, sposata il 26 aprile 1914 con Silvio Canevari, si firmava Maria Canevari. Fra il settembre 1918 e il giugno 1919 fu agli ordini del padre, che nell’ottobre 1918 assunse il comando della Squadra Aerea San Marco. Si congedò dall’esercito nell’agosto 1919. Gabriellino, dopo aver notato che il teatro ben poco s’addiceva al suo talento, decise di dedicarsi al cinema, e così, poco prima che il padre partisse per la spedizione di Fiume, iniziò a girare, a Venezia e dintorni, un film tratto da La Nave per la Casa cinematografica Ambrosio. Nel frattempo, svolgeva funzioni di segretario del padre. Nel 1924 fu uno dei direttori di scena per il film Quo vadis?. Il padre non lo abbandonò mai, considerandolo il figlio prediletto. Gli fece recitare le sue opere, lo ebbe vicino quando andava e veniva dal fronte, gli cedette il denaro da dare ai sacerdoti per beneficenza, gli consegnò le lettere segrete per Mussolini e gli affidò missioni delicate presso le case cinematografiche.

Paolo Alatri, l’unico dannunzista ad occuparsi di Gabriellino, nella sua biografia dannunziana, scrisse che il giovane sposò Maria Canevari poiché non poteva fare a meno di lei; precisò poi che, per il figlio del Poeta, «le uniche risorse finanziarie, finché non ebbe un impiego presso la Società degli Autori, consistevano nella vendita privata degli autografi del padre, o di copie, perfettamente imitate, di quegli autografi. La madre odiava la nuora; e quando Gabriellino si ammalò di una misteriosa malattia di probabile origine luetica, che gli dava disturbi alla vista e al cervello e che doveva portarlo alla tomba, la accusò di averlo avvelenato. La denuncia fu fatta a d’Annunzio, il quale neppure si mosse per andare a trovare il figlio malato, ma in una lettera a Mussolini del 18 dicembre 1926 lo disse “intossicato da una perfida e impudentissima femmina”. Ma quando Gabriellino uscì dalla clinica, relativamente rimesso in salute, fu fulminato dalla notizia che sua moglie, minata dalla tubercolosi, era morta in carcere, dimenticata e abbandonata da tutti. Cercò di avere delle spiegazioni dal padre, che però non volle riceverlo e ad una nuova richiesta lo fece arrestare davanti al Vittoriale». Furono, dunque, queste le conclusioni alle quali giunse l’Alatri, il quale aveva anche precisato che Maria Canevari, giovanissima e bellissima ragazza, era stata «l’amante di Bontempelli, di Cardarelli, di Trilussa, di Savinio, mentre col marito non vi furono più che rapporti “fraterni”. Abulico e deluso, Gabriellino non poteva tuttavia fare a meno di lei». Nicola d’Amico [«Magazine», n. 12, Aprile 1988] scrisse un articolo dal titolo Esclusivo: lettere inedite di d’Annunzio ai suoi figli, seguito

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ABRUZZOpress N. 285 del 25 luglio ’10                                                                                                                                 Pag 2

dal sottotitolo Caro Padre Crudele, ed aggiunse, a caratteri cubitali, prima di iniziare l’articolo, questa dichiarazione: «Fece arrestare il primogenito Mario, a Gabriellino negò perfino le scarpe usate, sfruttò Renata come infermiera». D’Amico ebbe poi a precisare: «Gabriellino s’innamorerà, riamato, di grandi attrici. Vivrà spesso vendendo manoscritti del padre veri e falsi. Conoscerà la miseria». Quest’affermazione era, però, molto riduttiva, rispetto a ciò che Paolo Alatri aveva scritto nella sua biografia dannunziana, pubblicata dalla UTET nel 1983. «Gabriellino trascinò poi la sua misera esistenza fino alla morte, avvenuta il 18 dicembre 1945». Fortunatamente lo stesso Alatri l’anno dopo ebbe a correggersi, nel libro D’Annunzio negli anni del tramonto, dando, in pratica, una versione più mite dei fatti, sebbene, nel 1988, nella Introduzione alla ristampa della Vita di Gabriele d’Annunzio di Guglielmo Gatti, riassumendo ciò che aveva già scritto nel 1984, dava per certo che d’Annunzio aveva visto l’ultima volta il figlio nel 1926 e che da allora in poi si era rifiutato categoricamente di rivederlo. Queste notizie non corrispondono minimamente alla verità e questo volume di Franco Di Tizio ci dimostra come il rapporto tra padre e figlio sia stato ampiamente travisato nel passato. Essi, infatti, si sono riconciliati e Gabriellino fu ricevuto al Vittoriale negli anni 1929, 1933 e 1934. Attraverso la ricca documentazione inedita, Franco Di Tizio manifesta, inoltre, quanto sia stata travagliata la vita di Gabriellino che, ignorando i consigli paterni, volle intraprendere la carriera teatrale e quella cinematografica, dalle quali, però, ricevette soltanto amarezze e delusioni.

C. D. F.

New York:                                                              Londra:                                                                    Milano:

Lino Manocchia, Linoman98@aol.com        Emiliana Marcuccilli, emilianamarcuccilli@libero.it Alessandra Nigro alessandra.nigro@gmail.com

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