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Italia. Il degrado urbano, tra criminalità è inciviltà

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Ap – Ambiente

Il degrado urbano, tra criminalità è inciviltà

di David Ferrante

Immondizia, buche nel manto stradale, aree abbandonate, clochard, eccetera sono tematiche che hanno sempre maggiore spazio sui mezzi d’informazione. Quotidianamente sugli organi di stampa vengono denunciate situazioni di degrado. Problematiche, queste, che incidono anche sulla sicurezza urbana.

Edifici e aree fatiscenti, graffitismo, abbandono di rifiuti, deiezioni canine non raccolte, l’eccessiva rumorosità, insomma la banale maleducazione, insieme a comportamenti tra il lecito e l’illecito come il palese meretricio e il consumo di stupefacenti e alcolici in pubblico, hanno effetti sull’insicurezza urbana non molto dissimili al crimine vero e proprio.

Frequentando gli spazi pubblici ci si aspetta che questi abbiano delle determinate caratteristiche che ci permettano di fruirne serenamente e di sentirci accolti e non rifiutati. Allo stesso modo ci si aspetta che il comportamento delle persone segua un “galateo” irrinunciabile per una civile convivenza. Se una persona ubriaca ci infastidisce ci crea una forma di malessere allo stesso modo una strada che attraversiamo piena di rifiuti ed edifici abbandonati.

Il disagio e il senso d’insicurezza prodotto dal degrado portano all’abbandono del luogo che è lasciato, quindi, a sé stesso e in balìa di persone poco “perbene”. Inoltre, la percezione della mancanza di regole e controllo può portare nuova criminalità.

Chiamate a contrastare il fenomeno sono prevalentemente le polizie locali interessate da molti atti normativi, si pensi al Decreto del Ministro dell’Interno del 5 agosto 2008 che, fornendo una definizione di incolumità pubblica – “l’integrità fisica della popolazione” – e di sicurezza urbana – “un bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa, nell’ambito delle comunità locali, del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale” -, attribuisce maggiori poteri al sindaco in materia, come sancito dalla Legge 24 luglio 2008, n. 125, e di conseguenza alla Polizia municipale in quanto suo braccio operativo. Il sindaco, per garantire la sicurezza urbana, continua il Decreto, deve prevenire e contrastare fenomeni quali le “situazioni urbane di degrado”, “lo spaccio di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, l’accattonaggio con impiego di minori e disabili e i fenomeni di violenza legati anche all’abuso di alcool”, i “comportamenti quali il danneggiamento al patrimonio pubblico e privato”, “l’incuria, il degrado e l’occupazione abusiva di immobili”, atti di “abusivismo commerciale e di illecita occupazione di suolo pubblico”, ecc. Tutto ciò, cioè, che turba l’utilizzo e la fruizione degli spazi pubblici e che determinano lo scadimento della qualità urbana.

Certo è che la meritevole e storica attività della Polizia municipale molto ha fatto e fa per rendere decorose le nostre città ma questa può attivarsi verso i pochi “devianti” ma non contrastare la maleducazione generalizzata: a quella dovrebbe provvedere ognuno per sé stesso. Se c’è spazzatura per strada non è colpa del vigile ma di colui che l’ha gettata, se ci sono prostitute lungo i viali, macchine sui marciapiedi, ragazzi scostumati rumorosi e aggressivi, eccetera non è certo colpa del controllore ma di coloro che vanno con le prostitute, di coloro che parcheggiano sui marciapiedi, di coloro che hanno permesso tutto ai loro viziati figli, …

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