Cultura & Società

GARIBALDI Atto Unico Di Mario Fratti C 2007

Atto unico “GARIBALDI”, di Mario Fratti, che egli stesso ha recitato il 17 marzo scorso a New York nelle celebrazioni ufficiali del 150° anniversario dell’Unità d’Italia (nella foto, Mario Fratti). L’Autore, per tutto l’anno 2011 – 150° dell’Unità, mette il suo testo nella libera disponibilità, senza pagamento di diritti, di chiunque voglia rappresentarlo, in Italia e all’estero.

GARIBALDI

Atto Unico

Di Mario Fratti

C 2007

L’isola di Caprera.

Ambiente rustico.

E.J.: (accarezzando la camicia rossa di GARIBALDI che lei ora sta indossando; sorridendo): Grazie…

GARIBALDI: Stai bene in rosso…È un colore che ti dona.

E.J.: Anche a te. E adesso so immaginarti anche senza…

GARIBALDI: (sorridendo) Senza?

E.J.: Com’eri poco fa…quando vivevamo la passione di quel colore.

GARIBALDI: Il colore che preferisco.

E.J.: …l’ora più bella della mia vita.

GARIBALDI: Anche per me.

E.J.: L’hai detto cento volte, probabilmente.

GARIBALDI: Meno…ma ora, in questo momento è vero.

E.J.: Non era vero, le altre volte, con le altre tue amanti?

GARIBALDI: Donne. È sempre vero quando si è insieme, quando si ama.

E.J.: Mi ami?

GARIBALDI: Certamente. Solo se si ama si può… amare.

E.J.: È vero. Non amo mio marito. (vaga) Quindi…

GARIBALDI: È sempre differente.

E.J.: Tu, tu sei “differente”…(breve pausa)Anche con le altre?

GARIBALDI: Momenti unici, sempre.

E.J.: Anche i nostri, oggi?

GARIBALDI: Anche oggi. Anche con te.È sempre unico il momento in cui si scopre una nuova verità, una nuova battaglia, una donna…

E.J.: Sono una battaglia, per te?

GARIBALDI: Ansia, timore, vittoria.

E.J. Parli di noi o della battaglia? Sono una vittoria, per te?

GARIBALDI: Con Anita, dopo una cruenta, difficile battaglia, celebravamo la vittoria. Nel nostro abbraccio. I due elementi si fondevano. Si compimentavano. Battaglia, vittoria, amore.

E.J.: È stato il tuo grande amore, Anita?

GARIBALDI: Abbiamo combattuto insieme, abbiamo sofferto insieme.

E.J.: Anch’io sono pronta a…

GARIBALDI: A tutto, lo so, l’hai dimostrato oggi. Anita lasciò il marito per me. Tu  lo hai accennato…Un sacrificio che  non posso accettare.

E.J.: Perchè no? Ti sentiresti colpevole?

GARIBALDI: Certo. Rifletti un pò…Sono qui nelll’isola, anziano e malandato con occhiali pince-nez, ferite fisiche e psicologiche.

E.J.: Ti amo così come sei. Perfetto.

GARIBALDI: Vieni da me, mi sorridi, mi conquisti…Mi sento fortunato, oggi. Per un giorno…

E.J.: Ti sentisti colpevole, quando Anita lasciò il marito?

GARIBALDI: No…eravamo giovani…una grande passione…

E.J.: Differente dalla  nostra?

GARIBALDI: Differente. Sono più maturo oggi…più controllato, più saggio.

E.J.: Saggio…sereno…mi son sentita protetta, amata.

GARIBALDI: (piacevolmente sorpreso) “Protetta ed amata”. Me lo disse anche Anita. Stesse parole.

E.J.: È il sogno di noi donne. Quando te lo disse?

GARIBALDI: Dopo la fuga dalla prigione…

E.J.: Prigione dove? L’aiutasti tu, in quella fuga?

GARIBALDI: (evitando perchè non l’aiutò in quell’episodio) Tempi difficili…Fu catturata dal colonnello Albuquerque. Aspettavamo il nostro primo figlio, Menotti-

E.J.: Nel 1840. L’ho letto, lo so.

GARIBALDI: Una gioia inaspettata…Non pensavo di  essere così felice ed orgoglioso, come padre.

E.J.: Son pronta anch’io a darti un figlio.

GARIBALDI (ignorando) Ci sposammo poi nel 1842…altri figli, altre gioie…Rosita nel ’43, Teresita nel ’44, Ricciotti nel ’47.

E.J.: Vero padre di famiglia. Le sei stato fedele?

GARIBALDI: Certamente. Meritava tutto il mio amore. Accettò le mie scelte. Battaglie e fughe…Genova, con i legionari, sul brigantino Bifronte…Nizza, Livorno-

E.J. Sempre con te?

GARIBALDI: Sempre con me. (continuando)…Firenze, Genova, Rieti…e poi di nuovo a Nizza. Sempre in fuga, sempre ricercati.

E.J.: Dopo i figli, una madre è probabilmente stanca…Avevate la stessa passione, gli stessi desideri?

GARIBALDI: Certo. Per lei e per l’Italia…Stesse idee, stessa passione, stessa dedizione. Dovevamo liberare Roma.

Era al mio fianco anche nella battaglia a Sant’Angelo in Vado e monte Tassona, nelle paludi di Comacchio…

E.J.: Trovavi il tempo per amarla? Per darle quello che una donna desidera?

GARIBALDI: Sempre.

E.J.: Anche fra i morti, i tanti feriti, tanto sangue?

GARIBALDI: Accanto ai feriti, ai martiri per la mostra patria, aumentava, si accendeva di più il desiderio di vivere intensamente, di procreare.

E.J.: Procreare?

GARIBALDI: Biologia. Si ama perché si desidera. Arrivano poi i figli.

E.J.: (volendo la conferma) Il tuo unico grande amore?

GARIBALDI: Una donna incredibile…Dodici giorni dopo il parto, la nascita di Menotti, si trovò circondata dagli imperiali, a Mortasa…Dovette fuggire seminuda, a cavallo, col neonato in braccio…Per quattro giorni la cercai dappertutto…Pensavo di averla perduta per sempre. Poi, finalmente…

E.J.: Che era successo?

GARIBALDI: Era nei boschi, dove si nutriva di radici e frutti, per allattare il nostro Menotti.

E.J. Pensi che l’hai amata più delle altre donne perché avete sofferto tanto, insieme?

GARIBALDI: Perché abbiamo lottato insieme per una causa giusta, una patria finalmente unita. L’Italia.

E.J.: Non solo per l’Italia.

GARIBALDI: Che vuoi dire?

E.J.: All’inizio vi battevate per l’Uruguay, contro l’Argentina.

GARIBALDI: Ci preparavamo per le battaglie in Italia, dopo, in attesa del momento opportuno. Era al mio fianco anche nella battaglia di San Antonio del Salto, quando, con meno di 200 uomini, sconfiggemmo millecinquecento oribisti…Infermiera meravigliosa, quando necessario, a curare ed incoraggiare i feriti.

E poi, nelle due battaglie navali ad Imbituba e Barra. Incoraggiava tutti dando l’esempio. A Barra, da sola, sotto il fuoco nemico ci portava le munizioni…pericolose traghettate per rifornirci.

E.J.: Da sola?

GARIBALDI: Era isolata, in una barchetta…Dodici miracolosi viaggi. Salvò la battaglia…Spesso fu lei ad incoraggiarci ed a risolvere, in momenti cruciali. Anche alla battaglia di Santa Vittoria. Cinquecento contro duemila imperiali. Lei, sempre in prima fila. Un coraggio leonino.

E.J.: Due leoni, tu e lei.

GARIBALDI: Ce lo dissero un paio di volte. Ci paragonavano ad una coppia di leoni.

E.J.: Leoni contro le pecore nere. Ho letto che hai sempre odiato i clericali. Eravate religiosi, tu ed Anita?

GARIBALDI: C’è sempre fede nei cuori di chi ama. Odio i preti solo perché ostacolano l’unità d’Italia…E perché sono responsabili per la morte di Anita.

E.J.: In che senso?

GARIBALDI: Privazioni continue…Nel ’49 difendevamo la Repubblica Romana contro i napoletani ed i francesi che volevano ridare Roma al Papa. Luglio, mese caldissimo…

Stremata di forze, ci lasciò.

E.J.: Morì?

GARIBALDI: Non amo quel verbo. Ci lasciò.

E.J.: Nel ’49.

GARIBALDI: Sai tutto di noi. Adesso, parlami di te.

E.J.: Oh, ti prego…mi sento a disagio parlarne. Molti viaggi, come giornalista…Vita facile, tutto facile nella mia vita, ma anch’io amo l’Italia ed ammiro quel che hai fatto, avete fatto…

(dopo una breve pausa) Dopo Anita, altri grandi amori?

GARIBALDI: No. Impossibile trovare una sua gemella.

E.J.: Ma sicuramente, più tardi…

GARIBALDI: (confessando) Anni dopo, c’è stata una donna che ho amato moltissimo e dalla quale ho imparato…

E.J.: A letto?

GARIBALDI: No. La nostra è stata una relazione platonica…Gran rispetto, grande amicizia…

E.J.: Giovane e vedovo. C’era in te, sicuramente, il desiderio di…(gesto vago)

GARIBALDI: (ammettendo)Avevamo in programma una romantica passeggiata nei boschi della Sardegna…C’era amicizia ed attrazione…

E.J.: Come la nostra?

GARIBALDI: (ignorando) Sfortunatamente…

E.J.: Sfortunatamente?

GARIBALDI: Si ruppe una gamba. Fu bloccata a Roma.

E.J.: Perché non l’hai raggiunta se la desideravi tanto?

GARIBALDI: C’era una condanna a morte sulla mia testa. I preti non mi avevano perdonato il tentativo di liberare Roma, togliendola al loro dominio.

E.J.: Chi è questo secondo, grande amore?

GARIBALDI: Speranza von Schwartz, donna colta e generosa. Ho imparato molto da lei.

E.J.: Che cosa?

GARIBALDI: L’arte della diplomazia, intuizioni politiche, coraggio anche in difficili situazioni…Avevamo una pericolosa collaborazione. Recapitava messaggi clandestini per la nostra causa…Fu anche catturata e chiusa in una squallida prigione, lei, sofisticata gentildonna inglese.

E.J.: Per colpa tua?

GARIBALDI: L’accusarono di collaborare con noi. Era vero. Non si scoraggiò mai. Mi mandava lettere bellissime. L’avvertii di evitare dettagli. Tutte le lettere venivano censurate dalla polizia pontificia.

E.J.: Donna interessante…

GARIBALDI: Incredibilmente generosa…Aiutò in tutti i modi Anita.

E.J.: (sorpresa) Anita?

GARIBALDI: Sì, la figlia di Battistina.

E.J.: Chi è Battistina?

GARIBALDI: Una giovane che viveva nell’isola…mi aiutava in tutto, cucina, altro…

E.J.: Ed era la madre di Anita, figlia tua.

GARIBALDI: Figlia mia. Poi Battistina andò via e Speranza si  prese cura di Anita. Scuola, educazione, tutto.

E.J.: Volevi bene a questa Battistina?

GARIBALDI ( a disagio) Era brava, inamorata, nella stessa casa…diligente ed attiva. Soli in casa…cose che succedono…

E.J.: Altri figli? Altre donne?

GARIBALDI: Ti prego, mia cara. Abbiamo passato una notte bellissima, non roviniamola con domande delicate.

E.J.: Noi donne siamo curiose. Perché voi uomini avete bisogno di tante donne?

GARIBALDI: Tante…Chi te l’ha detto?

E.J.: Esperienza. Chi vive sa ed impara.

GARIBALDI: Capita, nella vita che ci siano ammiratrici…Ti credono un eroe, un dio, vogliono…amarti.

E.J.: E tu?

GARIBALDI: Sono umano e vulnerabile. Come tanti. A volte…

E.J.: A volte?

GARIBALDI: Il caso tuo…Sei molto più giovane di me…curiosa…amorevole…sei venuta a trovarmi…

E.J.: Solo a visitarti, per un’ intervista. E sei stato tu a…(gesto vago)

GARIBALDI: Io?

E.J.: La prima carezza, tu…

GARIBALDI: Si vede una bella mano, affusolata e poeticamente pallida, si ha voglia di baciarla…Sei pentita di…?

E.J.: Oh no, è stato meraviglioso…Nonostante la presenza di…

GARIBALDI: Di chi?

E.J.: Quella donna che ci spia.

GARIBALDI: Francesca. È bravissima, mi tiene tutto in ordine, perfetta donna di casa.

E.J.: Un’altra Battistina?

GARIBALDI: Più o meno…

E.J.: Altri figli?

GARIBALDI: (a disagio) Sì…Clelia.

E.J.: È vostra figlia?

GARIBALDI: Sì.

E.J.: E non è gelosa di me, di tutte le donne che vengono a trovarti?

GARIBALDI: È umana…forse gelosa…ma paziente e saggia. Spera in…

E.J.: In che cosa?

GARIBALDI: Un futuro, con me.

E.J.: Matrimonio?

Garibaldi: Forse. È umano sperare…Ma ci sono problemi; sono ancora sposato; non hanno ancora annullato il matrimonio del 1860.

E.J.: La marchesina diciottenne. Giuseppina Raimondi.

GARIBALDI: Sai tutto. Anche nome ed età. Fu la più grave delusione della mia vita.

E.J.: Tu, 53…Lei, 18. Non c’era la saggia Speranza a consigliarti?

GARIBALDI: Errore gravissimo, lo so. Non avrei dovuto…Ma lei sembrava follemente innamorata. Per noi uomini è difficile resistere a quella tentazione…Il grande amore, il sogno impossibile.

E.J.: E quando scopristi che era incinta-

GARIBALDI: Troppo tardi. Dumas mi avvertì all’ultimo momento. Non potevo fermare la cerimonia.

E.J.: Incinta di un altro. Luigi Caroli, il grande seduttore-

GARIBALDI: (irato, deciso) Basta così. Sei venuta qui per ricordarmi una sconfitta?

E.J.: Meglio affrontare tutte le verità. Quel che lei ti fece. Quel che tu soffristi-

GARIBALDI: (interrompendo) Nella vita bisogna parlare solo di cose positive, di momenti gloriosi. Nel 1860, pochi mesi dopo quell’infelice matrimonio ho riunito mille camicie rosse e siamo sbarcati a Marsala. Un trionfo! È quel che conta nella vita, quando si ama la patria. Sconfiggemmo tremila soldati borbonici.È lì che mi nominarono dittatore della Sicilia. Accettai, a nome del re Vittorio Emanuele II. Ero ormai convinto che solo la monarchia poteva in quel  momento unire l’Italia. Il sogno mazziniano della repubblica stave perdendo terreno.

Poi, conquista di Palermo, marcia verso Napoli, dove fummo raggiunti ed aiutati dalle truppe sarde. Il nostro sogno si stava realizzando. Vedi? Questi sono i momenti che dobbiamo ricordare. Amore per l’Italia.

E.J.: (molto femminile) Mi hai chiamata”Italia”, mentre…al momento della tua gioia, dentro di me…

GARIBALDI: Mi è successo altre volte. Per me l’amore per una donna e l’amore per l’Italia sono una fusione magica, meravigliosa.

E.J.: Altre volte…con chi? Con la tua prima amante, Emma Roberts, nel 1856?

GARIBALDI (irritato, perdendo la pazienza) Quando parti? Ti faccio preparare la barca?

E.J.: (timida e civettuola) Oh, eroe dei miei sogni…ancora due giorni, ti prego.(un silenzio) Almeno uno. Non ho finito l’intervista.

(incoraggiata dal suo silenzio) La tua ferita ad Aspromonte, come successe? In  che combattimento?

GARIBALDI: Un equivoco…Il generale Cialdini mandò il colonnello Pallavicino con l’esercito regolare per fermare la nostra avanzata in Calabria. Spararono contro di noi, contro i nostri volontari…Ma  fu una breve scaramuccia. Ordinai ai miei di non rispondere al fuoco dei soldati regolari, italiani come noi, nostri fratelli.

È lì che fui ferito.

E.J.: Gravemente?

GARIBALDI: No. mi curarono bene a Varignano. Prigioniero ma trattato con rispetto. Dopo poche settimane potei tornare a cavalcare.

E.J.: Ci fu molta speranza nel movimento “carbonaro”, nella “Giovane Italia”, quando elessero Pio IX nel 1846. Fosti contento pure tu?

GARIBALDI: Per pochi giorni. Si spera sempre nella saggezza di un Papa che dice di amare l’Italia. Quale Italia? Quella senza Roma e senza Venezia?

E.J.: Quali sono I tuoi rapport con Mazzini?

GARIBALDI: Lo stimo. Anche se fece un grave errore col complotto di Mantova e la fallita rivoluzione di Milano nel 1853. Glielo dicemmo che era un complotto prematuro. E gli costò la stima e la protezione di Cavour il quale, da quel momento, lo peseguitò.

E.J.: Qual è la tua relazione con Cavour?

GARIBALDI: Ha dato Nizza, l’italianissima Nizza, la città in cui sono nato, ai francesi. Lo odio.

E.J.: Ed I francesi? Dopo tutto hai collaborato con loro nel 1859, contro gli austriaci.

GARIBALDI:  Non permisero alle nostre truppe di indossare le camicie rosse. Ricordavano loro la lotta per la difesa di Roma, la battaglia che quasi vincemmo. Ci constrinsero ad indossare goffe divise militari. Mi sembrava di soffocare senza la mia camicia rossa.

E.J.: Che ne pensi degli  inglesi?

GARIBALDI: Ci han sempre accolti e trattati con rispetto. Hanno aiutato la nostra causa contro la Francia e l’Austria. Nel 1864 ho incontrato a Londra il Primo Ministro Henry Palmerston e gli ho dato un messaggio per la Regina Vittoria.

E.J.: Che messaggio?

GARIBALDI: “Regina, voi che siete buona, ordinate la fine di quello sterminio. Creta sta diventando un cimitero.”La pregavo di aiutare i Cretesi che venivano massacrati dai Turchi. L’Inghilterra è l’unico paese con flotta ed agguerrito esercito. L’unica che dovrebbe intervenire.

E.J.: Mandarono aiuti?

GARIBALDI: No, purtroppo. Io mandai 500 volontari guidati da mio figlio. Li bloccarono.

E.J.: Che ne pensi degli americani?

GARiBALDI: Brava gente.

E.J. Ti aiutarono?

GARIBALDI: Meucci mi assunse nella sua fabbrica per candele. Lavorai per lui. Solo chi lavora mangia, in quel paese. La chiamano “etica protestante”.

E.J.: Tu, sei religioso?

GARIBALDI: Si può essere veramente religiosi solo quando si vede che la Chiesa non è al servizio dei ricchi e dei potenti.

(cantando)”Va fuori, o straniero”! Chi lavora contro l’unità d’Italia, è un nemico, uno straniero. Fuori!

E.J.: È vero che all’inizio della guerra civile  in America, nel 1861, il presidente Abraham Lincoln ti invitò ad essere uno dei suoi generali?

GARIBALDI: È vero.

E.J.: Perché non andasti?

GARIBALDI: Posi una condizione che non era pronto ad accettare in quel momento. Doveva abolire la schiavitù.

E.J.: (indicando) Vedo quella bandiera nera col volcano al centro. Che bandiera è?

GARIBALDI: La bandiera che mi commuove di più, al ricordo. La usammo in Uruguay, durante la Guerra contro il  dittatore argentino Juan Manuel De Rosas. Il nero rappresenta l’Italia in lutto. Il volcano simboleggia il potere della rivoluzione. Un volcano che libererà l’Italia. (declamando) Da Trapani all’Isonzo, da Taranto a Nizza.

E.J.: Ancora speranze per Nizza?

GARIBALDI: Spero ancora, spero sempre. Sarò sempre alla testa delle mie amate truppe.

E.J.: (timidamente)Come mai in tutte le guerre muoiono sempre i soldati e mai i generali?

GARIBALDI:(sorpreso) Strana domanda…(cercando) È dovere dei condottieri non morire.

E.J.: Che vuoi dire?

GARIBALDI: Un generale è anche un simbolo.

E.J. Che simbolo?

GARIBALDI: Padre, condottiero, protettore. Deve mantenere quell’aura. Deve sembrare invincibile per chi sta sfidando la morte.

E.J.: E lui, non la sfida?

GARIBALDI: Certo, in molti casi, in molti momenti. Ma solo se e assolutamente necessario. Per evitare una possibile sconfitta.

E.J.: Perché non scrivi le belle cose che dici e che vivi così intensamente?

GARIBALDI: Sto scrivendo ora “Il governo dei preti”, un romanzo che li descrive. Più tardi, forse, scriverò la storia dei “Mille”.

(Lei si avvicina e vorrebbe accarezzarlo; lui indica con gli occhi un angolo della stanza)

Attenta…

E.J.: (guardando nell’angolo indicato da GARIBALDI) Vedo, vedo…

Sembra uno spettro…

È ancora là che ci spia…

GARIBALDI: Ignorala…

A me, fa tenerezza…

Un cane fedele che mi ama e vuol proteggermi…

Tenera madre…

E.J.: Madre? È più giovane di te. E non è bella.

GARIBALDI: Non mi abbandonerà mai…

Forse…

E.J.: Forse?

GARIBALDI: …La sposo…lo merita….

Si fissano.

Immobilità.

Oscurità.

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