Cultura & Società

Abruzzo. La presenza del residuato bellico Nostra intervista a Giovanni Lafirenze

La presenza del residuato bellico

Nostra intervista a Giovanni Lafirenze

Di Walter De Berardinis

Abbiamo incontrato Giovanni Lafirenze, fondatore ed ideatore del sito web www.biografiadiunabomba.it , dopo gli ultimi ritrovamenti a Roseto degli Abruzzi e nel cimitero di Giulianova di bombe inesplose. Lo abbiamo intervistato per farci spiegare come mai, dopo 65 anni dagli ultimi fatti della 2° guerra mondiale, continuano a riaffiorare ordigni bellici.

Recentemente è stata fatta brillare un bomba ritrovata nel nostro cimitero di Giulianova. Ma siamo sempre in emergenza ogni volta che si aprono cantieri che prevedono uno scavo?

Certo! Come ben sai, l’Abruzzo, nel corso della seconda guerra mondiale subì numerose incursioni aeree angloamericane (vedi anche la triste cronologia da te curata sulla tua città e inserita nel mio sito web www.biografiadiunabomba.it). A quei tempi i bombardieri, ma non solo, lasciavano precipitare ordigni da 100, 250, 500, 1000 libre del tipo esplodente. Queste missioni aeree, erano considerate tattiche (quasi sempre diurne), se colpivano obbiettivi ben precisi come: Stazioni, ponti ferroviari e stradali, vie di comunicazione in genere, mulini, caserme, aziende commerciali o industriali, strutture portuali, ecc.. O al contrario strategiche (notturne), quando colpivano a tappeto l’area urbana senza considerare con precisione il luogo d’impatto delle bombe. In quest’ultimo caso i bombardieri della prima ondata sganciavano bombe illuminanti e incendiarie ( con semplice aggiunta di alluminio o cariche di Fosforo o di Termite), per rendere visibile il punto di mira consentendo ai bombardieri delle ondate successive minori margini di errore.

Quindi i massicci bombardamenti hanno portato anche una maggiore percentuale di bombe inesplose?

Queste munizioni aeree montavano spolette meccaniche che dovevano esplodere subito dopo il contatto (suolo strutture edifici), o chimiche se la detonazione era prevista dopo qualche ora o in alcuni casi anche nei giorni seguenti. Ma a causa di più motivazioni (difetti meccanici delle spolette, quote di sgancio errate, ecc.) una considerevole percentuale di queste bombe (circa il 3%) restava inesplosa e sepolta da qualche metro di terra. Ma bisogna considerare anche i bombardamenti aerei della Luftwaffe (famosa l’incursione su Lanciano del 20/04/1944). Ancora peggio la guerra di terra patita in Abruzzo, che lasciava interrati residuati bellici di ogni tipo, dimensione, peso e calibro. Non solo, consideriamo anche che i militari tedeschi in ritirata minavano paesi, campi agricoli, scali e sotterravano munizioni ingombranti per rendere più agevole ogni spostamento di truppe, compreso le munizioni seppellite dalle numerose formazioni partigiane del luogo.

Quindi i nostri territori e in particolar modo l’Abruzzo è disseminato di bombe e altri ordigni?

Perciò non è possibile stupirsi per i numerosissimi rinvenimenti del passato e per quelli del futuro. A mio parere ogni località abruzzese è in grado di restituire questi testimoni dal profumo mortale dell’ultima guerra: “mine Teller, Shrapnel, Stock, Lpz, Farfalle, Topf, Riegelmine, ecc…, bombe a mano, proietti, nastri caricatori e cartucce in genere, sicuramente bombe d’aereo di fabbricazione americana della serie AN-M (100, 250,500,1000 lb e AN-M GP munita anche di spoletta di coda);   Bombe d’aereo tedesche, riconoscibili dalle spolette sul corpo dell’ordigno del tipo SC da 50 250 Kgr e qualche bomba d’aereo inglese GP o MC ”.

Esistono gruppi di studi su questo fenomeno?

Non sono a conoscenza se oggi esistono gruppi di studio addetti a questo scopo, forse l’ex Icram continua a monitorare i depositi di munizioni affondati in mare. Per quanto riguarda le foto del mio sito web: www.biografiadiunabomba.it è connessa al portale web del 340th Bomb Group: http://57thbombwing.com/340th_History/487th_History/missions/340thMissions_index.htm

Desidero concludere queste intervista (repetita iuvant), con il solito tormentone: la sola presenza del residuato bellico produce una situazione di pericolo incalcolabile e incontrollabile, perciò non si toccano, non si spostano, ma si allertano subito le Forze dell’ordine di zona.
Chi è Giovanni Lafirenze?

nasce a Bari il 5 Settembre del 1959. Compiuti i sedici anni parte come volontario alla Scuola Allievi Sottufficiali di Viterbo. In seguito è trasferito alla Scuola Telecomunicazioni di Chiavari, dove consegue la specializzazione di “Operatore Ponti Radio”. Conquistato il suo primo “successo”, viene distaccato presso la Caserma Cadorna di Bolzano. Nel 1983 decide di offrire una poderosa svolta al suo tracciato professionale. A malincuore, si separa dalla propria divisa. Si distacca da quelle  mostrine da Geniere che ha sempre ammirato e si lascia coinvolgere da un nuovo mestiere. Il cercatore di bombe. A permetterglielo è la BO.CA.MI. di Milano, una ditta specializzata al recupero bellico, sia in terra sia in mare. Giovanni è entusiasta del nuovo lavoro ed i colleghi lo sono altrettanto di lui. Passa anni in giro per l’Italia a rintracciare bombe e la BO.CA.MI.  gratifica il suo serio impegno professionale mandandolo ad un corso B.C.M. dove consegue il brevetto da “rastrellatore da mine”, N. 178. La BO.CA.MI.  ha i suoi miti, e Lafirenze già ama il nutrito trascorso dei colleghi più anziani, che gli hanno ormai consegnato a piene mani le proprie esperienze. Il tempo è passato e Giovanni non ha mai obliato gli insegnamenti ricevuti, anzi nel tempo hanno sempre rappresentano il presente, dei suoi colleghi più giovani. Nel 2002 Giovanni Lafirenze consegue il brevetto d’assistente tecnico B.C.M. n. 165, ma non dimentica mai il suo passato da rastrellatore. Ormai la BO.CA.MI. non esiste più e Giovanni nel frattempo presta la sua opera presso altre ditte, specializzate anch’esse nel recupero ordigni bellici. Conosce altri colleghi, ma la sua vita non cambia. Almeno fino al 13 Novembre del 2004 quando alle ore 10:30 subisce un grave incidente, che lo costringe lontano dai cantieri per quasi un anno. In quei tragici mesi, decide di scrivere un libro “La Mia Bonifica”, che a suo giudizio deve rappresentare un messaggio d’amore al suo ambiente e, uno strumento-vetrina che permetta ai lettori di addentrarsi un lavoro mai considerato da nessuno. Lafirenze in parte è in errore, infatti anche accompagnato da enormi difficoltà a distanza di 12 mesi riprende a confrontarsi con la guerra sepolta e le sue bombe. Intanto “La Mia Bonifica”, ottiene discreti successi. L’autore è chiamato in diverse circostanze a sostenere conferenze su questo “nuovo” tema.

Walter De Berardinis

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