Gabrielli Editore propone un Libro di Paolo Dall’Oglio, Prefazione di Paolo Rumiz, Recensione di Laura Tussi

Gabrielli Editore propone un Libro di Paolo Dall’Oglio, Prefazione di Paolo Rumiz, Recensione di Laura Tussi

La sete di Ismaele. Siria, diario monastico islamo-cristiano

Come in un intenso sommario descrittivo, in un diario narrativo, Padre Paolo Dall’Oglio consegna nell’opera “La sete di Ismaele” le personali riflessioni sull’attualità e sull’esperienza direttamente vissuta dalla comunità del monastero di Mar Musa in Siria.
La sete di Ismaele.

Siria, diario monastico islamo-cristiano

Libro di Paolo Dall’Oglio,
Prefazione di Paolo Rumiz,
Recensione di Laura Tussi,
Editore Gabrielli
Come in un intenso sommario descrittivo, in un diario narrativo, Padre Paolo Dall’Oglio consegna nell’opera “La sete di Ismaele” le personali riflessioni sull’attualità e sull’esperienza direttamente vissuta dalla comunità del monastero di Mar Musa in Siria. “La sete di Ismaele”, il figlio primogenito di Abramo, concepito con Agar, la serva di Sara, è proprio la necessità degli esclusi della terra, di quanti gridano e piangono per essere riconosciuti. Padre Paolo Dall’Oglio ha fondato nel 1991 in Siria a Deir Mar Musa un monastero restaurato con la tenacia e la perseveranza di uomo giusto e di persona sorretta dalla propria vocazione. Nel monastero vive una comunità monastica autonoma, maschile e femminile, dedita all’accoglienza e al dialogo tra religioni: è una realtà attiva nell’ambito del panorama mediorientale, che cerca di dimostrare e praticare una possibilità di convivenza e interazione tra cristiani e musulmani. L’autore con l’opera “La sete di Ismaele” vuole proporre una soluzione pacifica e nonviolenta ai problemi posti dalle sommosse popolari scoppiate in Siria, indicando il percorso di una transizione politica verso un’architettura policentrica e istituzionale democratica, fondata sul consenso, sulla condivisione delle differenti sensibilità religiose e delle diverse componenti sociali che coesistono in Siria. Nonostante le reazioni del regime di Assad, Padre Dall’Oglio non ha ottemperato alle ordinanze di espulsione e ha continuato a risiedere in Siria, praticando il personale percorso di impegno sociale, nella pratica spirituale, a favore del dialogo interreligioso e della pace. Il libro racchiude, nel messaggio implicito, l’invito a riconoscere la diversità religiosa, accogliendo il grido degli esclusi, la “sete” degli ultimi, per aprire a orizzonti sconfinati di pace e speranza. La comunità monastica di Deir Mar Musa è formata da monache e da monaci che vivono vita comune nell’ospitalità offerta a tutti, formando un’ampia comunione esistenziale in chiesa, a tavola, nel lavoro. La relazione tra donna e uomo permette di apprendere e imparare la grammatica e la sintassi primigenie di ogni dialogo autentico in una propositiva e innovativa collaborazione e convivenza tra differenti generi e religioni, che costituisce l’annuncio consolante di una rinnovata umanità, costruita sull’umiltà, il realismo, la conoscenza di sè, l’ascesi affettiva, l’apertura all’obbedienza, nella direzione spirituale e non nella sottomissione sessista, come in una grande famiglia, dove proprio la castità consacrata consente di superare le barriere caratteriali, gli steccati familiari, favorendo invece l’apertura universale, la vocazione plurima al dialogo e ad ibridi aneliti di pace nelle interazioni tra diversità, nella speranza di poter riconciliare le identità tradizionali con la ribellione islamica alla globalizzazione capitalista proterva e spersonalizzante, ricordando che i giudei, cristiani e musulmani, figli di Abramo, cercano l’unione personale con il divino, approdando ad un grande unificante silenzio d’amore e di pace nella trasparenza, nella comunione, nella libertà di culto, di opinione e di espressione. La vita cultuale votata all’incontro, all’accoglienza e al dialogo tra diversità è sottesa tra ciò che costituisce il corpo della pratica cristiana e musulmana e la particolarità delle inculturazioni che riattualizzano il significato e il portato valoriale dell’ universale evangelico e del messaggio coranico. Tra il suono di antiche litanie che provengono da un arcipelago di grotte eremitiche, nel monastero si avverte la bellezza della preghiera cristiana formulata in lingua araba, dove poter cercare l’illuminazione spirituale, nelle periferie, negli avamposti, nelle trincee di mondi considerati a rischio e nel profondo di regioni lontane e nazioni marchiate come guerrafondaie e bellicose dalla geopolitica banalizzante dell’Occidente: così, allontanandosi dal baricentro, dal punto di riferimento del culto Romano, si avverte la presenza di un messaggio cristiano limpido e cristallino, sempre più vicino alla fonte originaria dell’Oriente e sempre meno disturbato da tentazioni di egemonia e di potere, oltre i conflitti tra civiltà, per aprirsi ad osmosi dialogiche e visioni maieutiche cultuali, in prospettive plurali di pace, oltre i bizantinismi fideistici occidentali. Quali cenobiti più conviviali degli antichi anacoreti delle valli siriane, in sentieri che si inerpicano a collegare le grotte e le celle degli eremiti e dei monaci, i fratelli e le sorelle del monastero si incontrano e si separano come in una metafora di un sentimento umano verso le ascesi più coraggiose dell’amore divino e del prossimo in prospettive messianiche di pace.

Laura Tussi




Recensione de “Il Pensiero delle Differenze” e “Educazione e Pace” di Laura Tussi

A cura di Alfonso Navarra e Olivier Turquet

Recensione de “Il Pensiero delle Differenze” e “Educazione e Pace” di Laura Tussi

La scuola deve formare all’incontro, all’accoglienza reciproca, al dialogo costruttivo, per risolvere i conflitti, a livello individuale e collettivo, per promuovere una predisposizione al rispetto di tutti i diritti per tutti.

IL MIGRANTE CHE E’ IN OGNUNO DI NOI

Recensione de “Il pensiero delle differenze” di Laura Tussi

All’interno di una concezione nonviolenta, che mira all’educazione alla pace, Laura Tussi, docente e giornalista, donna fragile dalle idee forti, per come mi trovo a scoprirla nel rapporto professionale e nell’amicizia che vado coltivando e sviluppando con lei, svolge la tematica del “pensiero delle differenze“, il titolo del suo libro edito da Aracne (2011).

Secondo l’autrice, l’amata, ma anche criticata, istituzione scolastica deve formare all’incontro, all’accoglienza reciproca, al dialogo costruttivo, per risolvere i conflitti, a livello individuale e collettivo, per promuovere una predisposizione al rispetto di tutti i diritti per tutti: il sogno manifesto della vita di Laura, ben oltre la sfera dell’insegnamento.

Il pensiero delle differenze è, in tale orizzonte pedagogico, ma anche sociale, un “sentire umanitario” che ha la forza di riconoscere il nomade e il migrante che è in ognuno di noi.

Questo al fine di “superare intolleranze e discriminazioni a favore di una cultura del conoscere volta al bene comune“, recita la quarta pagina della copertina del libro che mi onoro di recensire consigliandone la lettura agli addetti ai lavori nella scuola; e a tutte le persone di buona volontà nonviolenta.

La Tussi sottolinea l’importanza del dialogo tra le differenze soggettive, psicologiche, identitarie nel tessuto sociale e comunitario.

Condividendo Herman Hesse di Narciso e Boccadoro afferma che: “la nostra meta non è trasformarci l’un l’altro, ma di conoscerci l’un l’altro e di imparare a vedere e rispettare nell’altro ciò che egli è: il nostro opposto ed il nostro completamento“.

Per Laura Tussi l’intercultura è nonviolenta in quanto la nonviolenza è l’arte dell’ascolto, del dialogo, del compromesso.

La nonviolenza ha anche rapporti con il femminismo perchè riconoscere la soggettività della donna implica considerarne anche la differenza come valore.

La rilevazione della differenza sessuale come positività attribuisce diritto di cittadinanza culturale a tutte le altre differenze (etnica, culturale appunto, ma anche di età, di stato sociale e altro).

L’Autrice ritiene che il difficile problema della contemporaneità consista nell’assemblare il particolare e l’universale, il locale e il globale, evitando, al contempo, che l’universalità si trasformi in omologazione totalitaria; ma anche che la difesa della particolarità non degeneri in localismo, con il culto esasperato delle radici, in quella ossessione identitaria, causa di violente divisioni, di conflitti e di discriminazioni.

L’identitarismo esagerato fissa l’identità degli altri in stereotipi ai quali si attribuiscono caratteri di fissità e negatività, considerando in modo dispregiativo l’immigrato e il diverso.

La paura della differenza produce attribuzioni di identità svalutative e negative, creando insormontabili barriere mentali e simboliche, muri limiti e confini che legittimano e razionalizzano giudizi di inferiorità e pratiche di intolleranza, razzismo, sopraffazione  e violazione dei diritti imprescindibili della persona.

Il genere umano, nella visione della Tussi, possiede risorse e capacità creative inesauribili: è perciò del tutto concreta l’utopia  della creazione di una cittadinanza planetaria, cosmopolita, internazionale attraverso l’educazione della trasmissione del passato, nel recupero della memoria storica e, al contempo, l’apertura della mente per accogliere il nuovo, il cambiamento, la diversità. Questo ponte che oltrepassa i confini del tempo e dello spazio è il centro della innovativa missione del pensiero delle differenze con la sua capacità di progettualità interculturale, da far vivere nel concreto dell’esperienza pedagogica.

Nessun popolo, secondo la Tussi, può arrogarsi il diritto di una priorità cronologica e superiorità qualitativa, perchè ogni civiltà si costituisce su un terreno interculturale, ossia come la risultante di interazioni transculturali: ogni cultura si è sempre formata grazie alla complessiva intermediazione con altri saperi, linguaggi, valori, fedi e culture diversi e differenti da sé.

La convivenza costruttiva all’interno dei singoli Stati democratici dovrebbe perciò essere promossa nella prospettiva della ricerca della pace universale, come processo che raccoglie lo sviluppo economico, la giustizia sociale, la difesa dell’ambiente, la democrazia, il rispetto della diversità e della dignità di ogni uomo.

L’importante riflessione di Laura Tussi sull’educazione alla pace, che si appoggia all’intercultura in quanto coinvolgente le differenze, combina creativamente e coerentemente teoria e pratica: è collegata al progetto “Per non dimenticare“, da lei coordinato, ed organizzato dall’Istituto Comprensivo Prati di Desio.

Questo progetto si pone il traguardo di unire le forze democratiche in merito alle tematiche collegate al ricordo, al recupero della memoria storica e alla tutela dei diritti umani.

E’ particolarmente interessante in esso la raccolta di videotestimonianze, interviste e documentazione inerenti la memoria dei campi di concentramento e di sterminio nazifascisti.

Questo aspetto tipico della sua sperimentazione pedagogica a me appare particolarmente significativo ed è quello da cui personalmente mi aspetto i risultati pratici e le scoperte teoriche più belle ed utili.

Alfonso Navarra

La memoria e la diversità

Il libro “Educazione e Pace” Mimesis 2011, parla di diversità e memoria, collegandoli opportunamente al tema dell’educazione alla pace.

E’ un libro che parte da un’esperienza, un’esperienza animata da ideali: l’importanza della memoria e la valorizzazione della diversità culturale, etnica, sociale.

Due temi che configgono con la realtà di oggi dove si pretende di dimenticare e uniformare, dove il pensiero unico cerca di appiattire tutte le differenze.

Tra gli originari dell’America si suole dire che la Memoria sia ciò che consente la vita e che un uomo che ha dimenticato è un uomo morto. Semplici proverbi di una civiltà contadina, diranno i progressisti della Mac Donald’s? Verità sommerse, dimenticate dall’ homus consumatoris.

Nei giorni in cui scrivo queste poche righe un pazzo delirante ha sconvolto la civilissima Norvegia con le sue farneticazioni: ma queste non sono forse la punta dell’iceberg di una cultura uniformante che chiede sempre agli altri di comprendere la propria diversità, dimenticandosi di comprendere quella altrui?

E quanto dovremo ancora aspettare affinché si comprenda profondamente che la diversità è ricchezza e che da sempre l’umanità è andata avanti grazie alla diversità e al conseguente rinnovamento prodotto da tutte le diversità della storia?

Questi temi Laura Tussi sviluppa in questo libro, raccontando la sua esperienza e sintetizzando al meglio l’esperienza degli altri in quella convergenza della diversità che è sempre l’obiettivo dell’educazione alla pace e alla nonviolenza.

Olivier Turquet

http://www.youtube.com/lauratussi




Laura Tussi presenta l’anteprima del libro “Un racconto di vita partigiana. Il ventennio fascista e la vicenda del Partigiano Emilio Bacio Capuzzo” del compagno Fabrizio Cracolici

“La verità non sta in un solo sogno, ma in molti sogni”
(Pier Paolo Pasolini)

Costituzione del Circolo tematico “Pier Paolo Pasolini
sui diritti civili e l’eguaglianza

Partecipazione di Giulio Cavalli – consigliere regionale antimafia

Video di saluto di Moni Ovadia

Laura Tussi presenta l’anteprima del libro
“Un racconto di vita partigiana. Il ventennio fascista e la vicenda del Partigiano Emilio Bacio Capuzzo”

del compagno Fabrizio Cracolici
Giovedì  22 settembre 2011 ore 20 a Canegrate (MI),
presso il ristorante pizzeria “La Lucciola” Via Monte Santo 2
Prevista pizzata alle ore 21 previa prenotazione al 392/1943729



Milano. La Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari (Arezzo), fondata nel 1998 da Duccio Demetrio e Saverio Tutino, promuove e pubblica le recensioni di Laura Tussi

La Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari (Arezzo), fondata nel 1998 da Duccio Demetrio e Saverio Tutino, promuove e pubblica le recensioni di Laura Tussi ai libri che trattano della biografia di noti cantautori italiani, da Francesco Guccini a Fabrizio De André, a cura di Brunetto Salvarani e Odoardo Semellini.   http://www.lua.it/index.php?option=com_content&task=view&id=2086&Itemid=41 http://www.lua.it/index.php?option=com_content&task=view&id=1270&Itemid=109 http://www.lua.it/index.php?option=com_content&task=view&id=1054&Itemid=41

L’UNIVERSITA’” DELL’AUTOBIOGRAFIA PER IL RECUPERO DELLA MEMORIA STORICA POPOLARE E DELL’IDENTITA’ CULTURALE: LE STORIE DI VITA E LE RELAZIONI D’ASCOLTO.

Il valore soggettivo ed individuale contro la massificazione ed uniformazione delle coscienze

di Laura Tussi

Memoria e  modernità

Gli esseri umani non hanno sempre ricordato con le stesse modalità. Attualmente la cultura dominante concettualizza la memoria in determinati parametri, per cui la modernità contrasta la memoria attraverso il mutamento, il cambiamento, l’epoca del sempre nuovo, instaurando contradditori rapporti tra la cultura moderna europea e il concetto di memoria storica.

Nel 1860 Baudelaire sosteneva che “le città cambiano più velocemente del cuore di un uomo”, perché nella modernità tutto è mutevole, proteiforme, si trasforma più velocemente della capacità di adattamento dell’individuo stesso. Il mutamento è la norma: gli oggetti con cui in passato si condivideva la quotidianità, attualmente risultano desueti. La modernità implica l’oblio lacerante, la rottura costante e diseducativa con le tradizioni, con il passato, la storia; in quanto epoca del mutamento perpetuo, provoca ricorrenti fratture nella memoria sociale, ma implica, al contempo, un forte richiamo alla responsabilità del singolo nei confronti del passato storico a livello individuale, collettivo, nazionale, globale, affinchè in Italia e in Europa non si tratti esclusivamente di monete e di politiche economiche, ma delle persone e delle comunità, delle loro storie, culture e stili di vita, per gli obiettivi comuni di sviluppo delle conoscenze e delle azioni che possano promuovere condizioni esistenziali migliori, dal momento che è in gioco la nostra memoria collettiva, allo scopo di unificare una comunità, un popolo, il cui passato, recuperabile attraverso la memoria storica, risulta operazione necessaria, soprattutto nell’era della globalizzazione in cui occorre anche il rispetto e la valorizzazione delle diversità, delle differenze soggettive, culturali, interetniche, come elementi vitali e imprescindibili dell’insieme.

Da questo punto di vista l’Europa, di cui siamo parte, è una terra di memorie, storie, linguaggi, luoghi che devono essere valorizzati, tutelati e messi in condizione di rapportarsi, integrarsi vicendevolmente, senza perdere i caratteri oggettivi, perché nel grande fiume della storia confluiscano in un insieme, in una complessità più ampia, sollecitando le inflessioni relative ai problemi dell’identità locale e nazionale, perché è proprio l’ingresso nella modernità che obbliga ad una verifica critica delle nostre storie individuali e collettive e delle nostre tradizioni, al fine di creare una mentalità nuova che risulterà tanto più “moderna” e proiettata verso il futuro, quanto più riconoscerà che anche il passato rientra nella contemporaneità e attualità del presente.

La complessità ontologica del sé in una prospettiva autobiografica.

Risulta possibile recuperare il passato se si riconosce e riattualizza una memoria collettiva, comune, del senso della storia a partire dal singolo individuo che ha il compito di comprendere, realizzare, ricomporre a ritroso, storicamente, la propria identità, coincidente con la memoria stessa,  tramite l’approccio pedagogico autobiografico.

L’autobiografia permette al disegno, alla trama della storia personale di riemergere nella sua unicità per una maggiore consapevolezza e comprensione di sé, emancipando il soggetto da ogni rischio di manipolazione, di “revisionismo storico” della propria esistenza nel passato. In epoca moderna l’individuo vive il disagio, la difficoltà di sperimentare la complessità dell’esistere, perché la soggettività non è univoca ma composta da “noi plurimi” che confliggono al nostro interno, in termini psicanalitici.

La modernità disorienta l’individuo che non vive esclusivamente un’unica cerchia di vita relazionale, ma sperimenta la varietà degli approcci sociali, per cui appartiene ad una pluralità di ambiti comunitari e di contesti collettivi. Dunque la modernità comprende molteplici e plurime identità relazionali, per cui risulta più difficoltoso recuperare il senso della personale biografia, in quanto l’”io” sperimenta molteplici vite, nella pratica relazionale in varie dimensioni sociali del contesto quotidiano, prive comunque dell’autentico senso di appartenenza e condivisione che permeava la società preindustriale, precapitalistica, impostata su modelli di vita quotidiana più semplici, meno complessi degli attuali..

Nel concetto moderno e specifico di “adultità” (neologismo attuale), il divenire, la metamorfosi, il cambiamento, la transizione, coesistono nell’ermeneutica autobiografica, metodo interpretativo olistico che richiama il luogo della complessità, legata ai temi della narrazione, del gioco di trame e processi narrativi di linguaggi interiori che tendono all’incompiutezza. Il metodo autobiografico rientra nell’ambito della complessità, per cui il racconto di sé, introspettivo e retrospettivo, si rivela autopoietico, autogenerativo, tendente all’infinito relazionare e rimembrare degli eventi. L’educazione alla multipla complessità del sé genera e comporta un percorso formativo atto ad affrontare la sopravvivenza all’incertezza e all’ansia di dominare il presente, per abitare gli interrogativi dell’identità multipla, poliedrica allo scopo di imparare ad interagire, conversando, attraverso il mutare, il variare dei punti di vista, delle prospettive cognitive, al fine di educarsi, educando. Un concetto nell’accezione formativa, problematicista: La complessità dell’IO, dell’ente, realtà ontologica, olistica, interna ed esterna al sé. Il rapporto d’ascolto autobiografico ammette l’avvicinamento estetico, tramite il contatto, non estetizzante, l’interrelazione reciproca, per non dimenticare di vivere e sperimentare la nozione di complessità, attraverso il pensiero cognitivo autobiografico, che tende anche alla sospensione del giudizio, all’epochè.

Un luogo interiore dell’anima, per rieducarsi alla memoria.

L’autobiografia, ermeneutica dell’esistente, ha trovato un luogo ideale, utopico, al contempo reale, un “non luogo” della mente, dell’anima, anche topos specifico, micropedagogico…dalla mente autopoietica, al microcosmo di una realtà rurale, idillica, sospesa nell’eternità di un passato storico importante. Un piccolo borgo medievale, inerpicato sul dolce pendio collinare toscano: Anghiari, ancora intatta nella sua autentica antichità. Qui il fulcro della “Libera Università dell’Autobiografia”, realtà collegata all’Archivio diaristico nazionale della memoria storica popolare di Pieve Santo Stefano, da cui si diparte l’intento pedagogico, la volontà di studio e impegno di volontariato culturale militante che coinvolge vari comuni italiani, paesi piccoli e grandi, nell’intento formativo, di applicazione rieducativa al senso del tempo storico, personale e collettivo, di indagine e discussione relative al significato ermeneutico, interpretativo, della narrazione di sé, delle storie di vita degli individui, del popolo nella sua complessità. Questo implica un concetto di autoformazione, di autoriflessività e occasione di apprendere e conoscere, durante il corso della vita e dell’esperienza, in relazione ai fatti quotidiani, ai continua apicali, alla nascita, alla morte, come alle vicende esistenziali, grandiose o povere che ciascuno di noi vive.

Le due anime dell’autobiografia

La Libera Università dell’autobiografia di Anghiari, polivalente realtà associativa, è contraddistinta dall’intrinseca dualità e, al contempo, univoca e comune volontà d’intenti. Un’anima autobiografica, intesa come autentica e implicita possibilità di tornare sul proprio passato, in uno spazio/tempo interiore, spesso privo di riferimenti con l’alterità, per il venir meno di significativi e autentici rapporti relazionali affettivi, amicali. Soprattutto nelle grandi realtà urbane, metropolitane è scomparso il senso della comunità, vissuta attraverso le scansioni liturgiche del calendario agricolo/pastorale, regolato dagli eventi naturali, dal susseguirsi delle stagioni e suffragato dalla tradizione del sacro.

L’autobiografia rappresenta la possibilità di comunicare con le varie identità, a livello individuale, e recuperare, riappropriandosene, la storia di sé, per vivere meglio le diversità intersoggettive, con se stessi, per gli altri.

La seconda anima del volontariato di animazione autobiografica, comprende l’atto simbolico ma effettivo del donare e riconsegnare al presente, per affrontare il futuro con rinnovata consapevolezza, le tracce, i segni dei tempi, di una memoria storica collettiva quasi scomparsa: la vita della comunità, formata di tante singole storie di vita, riesumate tramite la “pedagogia della memoria”, per ricostruire e recuperare un’identità a livello individuale, locale, nazionale, globale dalla complessità ontologica dell’esistente, nella consapevolezza di un più esteso concetto di educazione e cultura militante.

Dal contesto sociale attuale risulta l’esigenza di raccontare ad altri e a se stessi il ricordo, rammentando, rimembrando e rievocando, il relazionarsi degli eventi passati, per sanare le ferite di un diffuso e dilagante disagio esistenziale, a tutti i livelli sociali, riguardante diversi ambiti e canali comunicativi: “non una depressione comune, un male oscuro misterioso”, ma il “male di vivere”. Di conseguenza ricordare e raccontare per riattualizzare e recuperare la sofferenza del vissuto, attraverso la naturale catarsi della com-memorazione, acquisendo una maggiore consapevolezza di sè, attingendo dal passato,  per la progettualità e decisionalità del futuro.

Tramite i progetti di ricerca attraverso l’animazione autobiografica, si concretizza e attualizza il nobile intento di dare voce al popolo e alle singole persone, coinvolgendo studiosi e pedagogisti di vari atenei italiani a confronto con “realtà normali e comuni”, in una rinnovata ed autentica prospettiva di educazione militante.

Il comune denominatore dei progetti di indagine e ricerca, tramite la “cultura della memoria”, diffusi sul territorio italiano, è la memoria stessa. Come sosteneva il filosofo “la memoria è l’uomo”, il cardine intorno a cui ruota il metodo di animazione autobiografico.

La scientificità del metodo autobiografico. Le ragioni del metodo autobiografico

Attraverso il racconto di sé la persona ri-corda (dal latino recordo: riportare al cuore, alla mente) gli eventi collegati al passato che si rivelano durante il colloquio autobiografico con il ricercatore/mèntore, tramite il recupero di una memoria non del tutto spontanea, ma indotta e indirizzata su obiettivi particolari: indagare la realtà soggettiva, il “pluriverso” individuale. Tale riferimento costituisce la discriminante tra l’attività spontanea e l’ambito specifico, micropedagogico, che consente di attuare la ricerca scientifica, a livello analitico.

Dunque il metodo autobiografico è essenzialmente scientifico non perché basato su dati statistici o focalizzato su una realtà oggettiva, ma riguardante l’individuo nella sua ontologica complessità poliedrica, soggettiva (si indaga il soggetto), attraverso una tipologia ermeneutica qualitativa (la ricerca dei dati sulle storie di vita) e non quantitativa: differente dalla ricerca sociologica, dall’antropologia o dall’ambito etnoantropologico.

Il recupero del passato storico individuale e collettivo come tutela della libertà soggettiva

La memoria è in sostanza il cardine del metodo. L’obiettivo fondamentale, il focus educativo sotteso alle implicite e consequenziali dinamiche metabletiche dell’autonarrazione, consiste nel recuperare, riattualizzare e far riaffiorare nelle menti memorie di eventi piccoli  o grandi, antichi o recenti, degli anziani testimoni e depositari autentici di un passato preindustriale, che lentamente va estinguendosi. A causa di precisi fattori economico/sociali, le realtà esistenziali e territoriali dei paesi, nel cui ambito si spende il volontariato autobiografico, risultano disgregate, anche per imponenti fenomeni di migrazione ed emerginazione, privi di reciproca integrazione, in seguito alle trasformazioni apportate dall’ingente processo di industrializzazione, per la diffusione di un esasperato, edonistico consumismo di massa, e il verificarsi graduale dell’eclissi del sacro.

L’hinterland metropolitano risulta una realtà amorfa, fortemente individualistica, nell’accezione più narcisistica, edonistica ed egoistica del termine, a livello di rapporti sociali, interrelazionali, nel cui contesto non rimane quasi traccia di un preesistente passato rurale, arcaico, ricollegabile a comuni matrici culturali, all’identificazione in comuni radici originarie, caratterizzate da tempi e ambiti di socialità comunitaria, scanditi dal lavoro quotidiano agricolo e dalle ciclicità stagionali e liturgiche del calendario contadino.

La transizione immediata, il passaggio repentino, brusco da una società di stampo prettamente rurale, ad un contesto altamente industrializzato, accompagnato da ingenti processi e fenomeni di sperequazione e speculazione edilizia, a livello di assetto urbanistico, ha sconvolto paesaggisticamente il territorio. Queste trasformazioni repentine hanno causato gravi ripercussioni sui vissuti individuali delle popolazioni, nei contesti sociali attuali, provocando un dilagante e diffuso disagio esistenziale. L’individuo perde, smarrisce nel caos di messaggi comunicativi vacui, effimeri, in una prospettiva estetizzante ed edonistica dell’essere, la personale identità, non più abituato a recuperare la memoria soggettiva, in ambiti d’ascolto familiari, amicali, tramite un percorso introspettivo e retrospettivo autobiografico relativo al senso della storia individuale e collettiva. Tale dinamica relazionale risulta difficilmente realizzabile in una società complessa come l’attuale, deprivata del senso e significato di dedizione disinteressata all’altro, al diverso, e mossa solo da interessi speculativi nei confronti dell’individuo, priva di ambiti di relazione e di ascolto sociali, sostituiti dai mezzi tecnologici e di comunicazione di massa.

Il valore pedagogico del proposito autobiografico è sotteso alla rieducazione della collettività al ricordo, in una prospettiva riabilitativa, terapeutica di cura di sé attuabile dal soggetto in formazione, attraverso il filo interrelazionale, invisibile, impercettibile della memoria, per attingere al passato di comuni radici originarie, riappropriandosi dell’esperienza e consapevolezza individuale, al fine di comprendere e recuperare una matrice comune, un valore condivisibile, la salvaguardia dell’ambiente, il territorio, il creato, la madre terra fertile, l’antico mondo  rurale, contadino, i cui momenti esistenziali, continua apicali, venivano regolati naturalmente dall’ambiente incontaminato, in sintonia con la creazione, dalla iteratività ciclica delle stagioni. In questo tempo, sospeso nell’eterna ciclicità della natura, si praticava la vita sociale, spartendo la quotidianità del presente nella comunità, in cui il soggetto riscopriva l’esigenza profonda e il terapeutico conforto del racconto di sé all’alterità.

Dunque la Libera Università di Anghiari coinvolge importanti studiosi di vari atenei italiani, accomunati dal nobile intento di approfondire le tematiche relative alla “cultura della memoria”, vale a dire il recupero delle storie di vita del popolo, della gente, delle singole persone, soprattutto anziane, uniche depositarie di un passato precapitalistico che inesorabilmente cade nell’oblio della modernità, in una rinnovata prospettiva di pedagogia sociale, di attività di animazione socioculturale e di educazione militante in diversi ambiti e contesti territoriali, attraverso un metodo di indagine scientifico basato sul racconto autobiografico del soggetto. Nei quartieri di ogni città dovrebbero esistere musei-laboratori della memoria storica per accogliere e archiviare le storie della gente che è passata. Solo riappropriandoci come popolo di una ormai confusa identità culturale ottenebrata e degradata dal consumismo esasperato, da stravolgimenti economico/sociali, apportati dagli ingenti fenomeni di capitalizzazione industriale delle risorse collettive, nel miraggio di una prospettiva di “villaggio globale” dettata e imposta dai massmedia, solo diventando attori del proprio sé, protagonisti consapevoli della personale storia di vita e di formazione, risulterà possibile recuperare i valori dell’altruismo, della solidarietà, dell’accoglienza, del confronto e arricchimento culturale interetnico, di interscambio e accettazione, non falsamente e ipocritamente tollerante, dell’altro da sé, del diverso, dell’immigrato, dello straniero portatore di cambiamento, di novità, nella certa e riconquistata consapevolezza, data dalla riflessione sul personale passato storico e soggettivo, individuale e collettivo, volta a rispondere alle domande esistenziali ultime, cardine dell’uomo: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo.

Un impegno culturale di memoria autobiografica che esercita uno straordinario valore educativo, creativo, ricreativo e culturale nella sua concreta pratica di formazione permanente, riuscendo ad ottenere il fondamentale obiettivo di recuperare e di tutelare le specificità delle varie e differenti esperienze soggettive e la loro unicità. Un metodo che sa creare un argine diffuso e condiviso contro la violenta pervasività del pensiero unico veicolato dai massmedia e dall’uniformazione delle coscienze che la cultura consumistica ha l’esigenza e la pretesa di ottenere. Contro una pedagogia ed una didattica di stato che ha in odio ogni specificità individuale e che ritiene il principio costituzionale della libertà d’insegnamento un pregiudizio frutto di esigenze corporative:  Contro l’ipocrisia e la falsa coscienza di una rappresentazione virtuale dell’esistenza, dove saltimbanchi, buffoni ed imbonitori uniformano la cultura popolare nel nulla televisivo. Contro l’eliminazione di ogni differenza, contro una visione monopolistica dove ogni cosa ne vale un’altra, contro un insipiente e fallimentare appiattimento della prospettiva storica su un presente ricorrente in modo ossessivo come unico luogo di concretezza del mercato, contro una prospettiva che valorizza solo ciò che ha un valore immediato ed economico…

Laura Tussi, Istituto Comprensivo, Via Prati- Desio (Monza e Brianza)




Nova Milanese. MONI OVADIA presenta Laura Tussi a Nova Milanese, in Stagione Teatrale.

MONI OVADIA presenta Laura Tussi a Nova Milanese, in Stagione Teatrale.

Moni Ovadia, alla fine dello spettacolo dal titolo “Il Registro dei Peccati”, presso l’Auditorium di Nova Milanese, all’interno della Stagione Teatrale, ha ringraziato Emergency, Associazione Internazionale di medici volontari, fondata da Gino Strada, che offre cure mediche e chirurgiche gratuite a tutte le vittime della guerra, delle mine antiuomo e della povertà, senza distinzione di opinione politica, di sesso, di razza, di condizione sociale ed economica e di appartenenza culturale, politica e religiosa. Moni Ovadia ha ribadito al pubblico che Emergency rappresenta l’Italia che splende nel mondo, “perché Emergency ci da l’onore di essere Italiani e abbiamo ancora il diritto di sentirci onorati di essere Italiani”.

Moni Ovadia, in seguito, ha presentato al pubblico “Laura Tussi studiosa e ricercatrice militante e appassionata che da anni con perseveranza, abnegazione, coraggio compie un lavoro certosino, in una grande opera di creazione e ricostruzione della memoria”. Moni Ovadia ha detto ancora “Laura Tussi non smette mai di studiare ed è animata dallo spirito ebraico della ricerca inesausta, senza fine. Laura Tussi tesse la memoria per ricomporre l’infranto, per progettare un futuro fondato sulla libertà, la giustizia, il rispetto dei diritti di tutti gli esseri umani, l’uguaglianza e i grandi principi della Costituzione e della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.”

http://www.youtube.com/lauratussi#p/u/1/uORrUNGH6lg

http://www.youtube.com/lauratussi#p/u/0/smm80_NDtaA

Moni Ovadia, alla fine dello spettacolo dal titolo “Il Registro dei Peccati”, presso l’Auditorium di Nova Milanese, all’interno della Stagione Teatrale, ha ringraziato Emergency, Associazione Internazionale di medici volontari, fondata da Gino Strada, che offre cure mediche e chirurgiche gratuite a tutte le vittime della guerra, delle mine antiuomo e della povertà, senza distinzione di opinione politica, di sesso, di razza, di condizione sociale ed economica e di appartenenza culturale, politica e religiosa. Moni Ovadia ha ribadito al pubblico che Emergency rappresenta l’Italia che splende nel mondo, “perché Emergency ci da l’onore di essere Italiani e abbiamo ancora il diritto di sentirci onorati di essere Italiani”.

Moni Ovadia, in seguito, ha presentato al pubblico “Laura Tussi studiosa e ricercatrice militante e appassionata che da anni con perseveranza, abnegazione, coraggio compie un lavoro certosino, in una grande opera di creazione e ricostruzione della memoria”. Moni Ovadia ha detto ancora “Laura Tussi non smette mai di studiare ed è animata dallo spirito ebraico della ricerca inesausta, senza fine. Laura Tussi tesse la memoria per ricomporre l’infranto, per progettare un futuro fondato sulla libertà, la giustizia, il rispetto dei diritti di tutti gli esseri umani, l’uguaglianza e i grandi principi della Costituzione e della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.”

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Milano. Laura Tussi: La Rivista IdeaBiografica per la Pace…

Andrea Di Cesare, Direttore della Rivista IdeaBiografica, ha raccolto e pubblicato, nel tempo, molti dei miei scritti, che trattano di vari argomenti: dalla memoria storica e collettiva racchiusa nei musei e negli ecomusei ai luoghi della storia nella terra di Brianza, a cui sono legata dalle origini materne; dai percorsi di storia della psicanalisi che indagano il pensiero di Freud, Jung, Adler fino ai nuovi approcci psicologici; dai motivi culturali sul tema della differenza di genere e del neofemminismo al concetto di diversità come paradigma dell’umano; dalla scoperta del sè tramite la pedagogia autobiografica all’analisi interiore.
Ciao e a presto,
Laura Tussi
La rivista IdeaBiografica è provvista di un motore di ricerca aggiornato.
http://www.peacelink.it/pace/a/34248.html
http://www.ideabiografica.com/nuovosito/musei-ed-ecomusei-i-luoghi-della-memoria
http://www.ideabiografica.com/memoria.htm
http://www.ideabiografica.com/nuovosito/psicologia-psicoanalisi-clinica-riabilitazione
LA PSICANALISI COME SOVVERSIONE DEL SAPERE

di Laura Tussi

La psicanalisi è apparsa nel 1900 con Freud, e per questo ora si è creata la distanza necessaria per considerarla in una prospettiva storica. Il movimento psicanalitico non è unitario, tuttavia presenta uno stile cognitivo analogo a tutti i protagonisti: la capacità di dubitare delle certezze, di abbandonare la sicurezza del noto per l’ignoto, di tentare l’impossibile. Questo atteggiamento non riguarda solo l’oggetto della conoscenza, ma soprattutto il rapporto del ricercatore con se stesso. La psicanalisi intacca ogni residua certezza. E’ la riprova della debolezza e, al contempo, della forza della razionalità occidentale, testimoniando il fallimento del sapere scientifico, nella sua pretesa di conoscere, possedere e dominare la realtà, rendendo modificabile quello che prima sembrava dominato dal caos, con la scoperta delle sue leggi regolative. Freud non intende fare della psicanalisi una Weltanshauung, ma produrre un punto prospettico dal quale nessun sapere possa prescindere. È stato necessario mutare il rapporto che il medico intrattiene con la malattia. Oggetto d’indagine della psicanalisi classica è l’organo sofferente – o la funzione distorta – e la sua finalità ultima consiste nell’intelligibilità del sintomo, inteso come connessione necessaria e costante tra causa organica ed effetto patologico. Questo nesso, catalogato come sindrome, viene inserito nell’archivio complessivo della tassonomia, ramo delle scienze biologiche, preposto alla classificazione e alla nomenclatura degli organismi viventi e fossili, dove trova significato e valore. Freud tenta di inserirsi nella psichiatria istituzionale, ma non vi riesce, anche perché rimane troppo coinvolto dal fascino dell’altro. La psichiatria si difende, frapponendo fra sé e l’altro la barriera del sapere, della tecnica, facendosi puro strumento che indaga l’altro senza riconoscerlo, considerandolo cosa tra le cose. Invece, il medico che si dispone all’ascolto si rende passivo, si lascia invadere dal discorso del malato che parla. Nel momento in cui non è più la parte malata che pone un problema, ma il soggetto che – attraverso di essa – si manifesta, la psicanalisi si stacca dalla medicina, scienza del corpo, per farsi scienza dell’uomo. Nel vuoto, rimangono pratiche non riconosciute dalla scienza ufficiale, come il mesmerismo e l’ipnosi, in cui permane un insieme di pensieri e affetti, in una confusione tra il corporeo e lo psichico.

Il centro della ricerca di Freud fu l’inconscio, trasgredendo ai divieti disciplinari delle conoscenze istituzionali, organizzando un nuovo campo di saperi. Nella sua impresa conserva, della medicina, i privilegi attribuiti alla patologia, come possibilità di cogliere in forma evidente il funzionamento normale, e alla terapia, intesa come campo sperimentale dal quale trarre gli interrogativi e nel quale verificare le ipotesi esplicative. Freud cercherà, per quanto possibile, di non scindere la teoria dalla prassi, la metapsicologia dalla clinica. La psicanalisi nasce come terapia dell’isteria, e – dal rapporto con le isteriche – Freud deriva la convinzione su cui si fonda tutta la sua ricerca: tutto l’agire umano, anche il meno intenzionale, è dotato di senso. Il senso non riguarda l’atto in sé, ma un significato nascosto che va ricercato con opportune strategie. Ogni manifestazione umana può essere letta come discorso manifesto che rimanda ad un discorso latente che ne detiene il senso. Ma non si tratta solo di scoprire una verità latente, ma di costruire un senso storico attraverso il lavoro analitico di composizione e ricomposizione dell’ evidente. La psicanalisi, secondo Freud, è un lavoro nel corso del quale emerge l’esperienza dell’inconscio. L’inconscio non è una cosa, non è una zona dell’apparato psichico, ma un’esperienza concreta ed una necessità logica. Solo ammettendo l’esperienza dell’inconscio possiamo capire brandelli di esperienza che altrimenti rimarrebbero privi di soggettività e di significato. Solo l’inconscio ci permette di riordinare, di razionalizzare l’irrazionale e di perseguire una ricomposizione del mondo. L’inconscio in sé rimane inconoscibile, e solo attraverso i suoi derivati (sogno, sintomo, lapsus, motto di spirito, gioco) possiamo risalire alle sorgenti valoriali e a quel desiderio che anima la nostra vita. La psicanalisi, quindi, risulta una scienza delle tracce, resa possibile dal principio del determinismo inconscio, che collega tutti i nostri atti in una ferrea catena associativa. L’inconscio non è il latente o il remoto, ma attualità ed efficacia. La psicanalisi si propone un compito infinito, ed i risultati che consegue possono essere trasmessi in vari modi, attraverso un’esperienza di analisi, in cui l’allievo analista apprendere un “saper fare” facendo, secondo le modalità di apprendistato di un’arte. Questa possibilità, interagendo, produce il doppio binario della storia della psicanalisi. Contemporaneamente storia di un’istituzione, movimento psicanalitico, e di una scienza seppur a statuto particolare.

La psicanalisi contribuisce a formare un’antropologia, quindi occorrerà stabilire le condizioni di possibilità, i limiti di competenza, le esigenze metodologiche, comportate dall’estensione di un sapere scientifico.

Per presentare in modo univoco la psicanalisi, Freud, nella voce composta nel 1922 per il Dizionario di sessuologia, ne articola la definizione in questi distinti livelli: psicanalisi è il nome di un procedimento per l’indagine di processi psichici a cui altrimenti sarebbe impossibile accedere; un metodo terapeutico basato su tale indagine per il trattamento dei disturbi nevrotici; una serie di conoscenze psicologiche così acquisite, che si assommano convergendo in una nuova disciplina scientifica. Pur essendo molto generica, e quindi insufficiente, questa definizione mette in luce come la psicanalisi vada intesa in riferimento costante alla sua pratica. La nuova disciplina scientifica si delinea infatti dal confronto dinamico delle ipotesi teoriche con la terapia, che ne costituisce il campo sperimentale.

Un altro cardine epistemologico mette in luce come la psicanalisi sia destinata a trarre le sue domande dall’attività diagnostica e terapeutica, e a cercare nella cura la convalida delle sue ipotesi teoriche. Dal rapporto terapeutico perverrà il costante interrogarsi sul senso e sul valore della scoperta freudiana, che delimita una nuova ragione del sapere, organizza una nuova disciplina scientifica: un aspetto, quindi, di rottura nei confronti della tradizione scientifica precedente. Mentre i metodi e i concetti utilizzati non sono radicalmente nuovi. I metodi possiamo ritrovarli nella magia, nella confessione religiosa e, più specificamente, nella psichiatria e – i concetti – nel mito, nella tradizione filosofica, nella produzione artistica e, per certi aspetti, nella psicologia fisiologica.

Nuovo è il punto di vista unitario, l’inconscio, dal quale Freud organizza questi assunti in un metodo e in un insieme teorico coerenti. Nel 1918 – in occasione dell’istituzione a Budapest della prima cattedra di psicologia – Freud si dimostra consapevole che la psicanalisi offre un codice di lettura delle produzioni culturali e dimostra anche con Psicologia delle masse e analisi dell’io –  nel 1921 – che, conoscenze apprese nella terapia del sintomo individuale, possono estendersi alle indagini delle formazioni sociali.

La psicanalisi, infatti, non diviene un discorso onnipotente, ma provoca e suscita domande, fa dubitare di elementari certezze, attribuisce consapevolezza alla complessità del rapporto comunicativo dell’uomo con se stesso e col mondo, scorge le ombre dell’ignoto, dove il pensiero classico vedeva uno stacco netto. Persino l’osservazione scientifica, considerata obiettiva e neutrale, è attraversata da dinamiche affettive all’insaputa dello scienziato. Occorre che la conoscenza riconosca le zone d’ombra, le commistioni, le mescolanze che la ragione intrattiene con l’irrazionale. Per far questo, il soggetto conoscente deve porsi dentro e fuori dal suo campo d’indagine e, solo con questo obiettivo, la psicanalisi raggiunge lo scopo da Freud assegnatole.

L’ingresso della psicanalisi nel mondo della cultura produce un cambiamento del rapporto tra l’esplicito e l’implicito, che sovverte il sistema di equilibri dell’antropologia classica, studiando i tipi e gli aspetti umani, soprattutto dal punto di vista morfologico, fisiologico, psicologico. Vengono meno l’immagine di mondo e la figura di uomo costruiti intorno alla solidità del cogito cartesiano, nella certezza prima e indubitabile che l’individuo, in quanto soggetto pensante, ha della propria esistenza. Freud comprende la funzione epistemologica, fondata sullo studio critico dei limiti della scienza, della psicanalisi nei confronti della storia del pensiero scientifico. Risulta possibile formulare un discorso clinico sul nostro sapere, proprio considerando come oggetto anche il soggetto conoscente, analizzando la storia della scienza, non come teoria delle cose, ma come relazione dell’uomo col mondo.

I modelli teorici che organizzano visioni del mondo mutano il nostro modo di pensare, di pensarci. La psicanalisi è riuscita a configurare la cultura classica come una formazione difensiva, di fronte al terrore del nulla, della morte, per cui la scienza però – nel suo procedere – ha minato il sistema di certezze, provocando vere e proprie ferite al fantasma ideale che l’uomo si era costruito di se stesso, ossia ferite narcisistiche. Funzione consolatoria e autogratificante è pensare l’uomo al centro dell’universo, ed il mondo a misura dell’uomo. La prima ferita narcisistica per l’umanità risulta la scoperta copernicana che, decentrando la terra, priva l’uomo della sua collocazione sovrana nell’universo. Le teorie di Darwin inseriscono l’uomo nelle generazioni del regno animale, decentrandolo da una collocazione privilegiata nell’universo. La terza ferita narcisistica mette in crisi l’ultima presunzione dell’uomo, dimostrando che l’Io si inganna costantemente, ritenendo che psichico sia identico a cosciente.

Freud, con Nietzsche e Marx, è descritto da Ricoeur come “maestro del sospetto”. E, come loro, noi dubitiamo che la coscienza sia così come appare a se stessa. In realtà accadono molte più cose nella mente di quanto l’Io ne controlli e ne conosca. Fin da Aristotele, la psicologia era tutta compresa nei sistemi filosofici ed il suo sapere, per lo più di senso comune, era considerato inventariato e concluso, perfezionabile semmai con l’introspezione, ossia, con una riflessione interiore intenzionale e cosciente. La filosofia classica riconosce la presenza dell’inconscio, ma lo colloca al di là del suo sapere. Alla fine del ‘700, le critiche radicali dell’empirismo inglese dissolvono il concetto di Io sostanziale, metafisico, sostenendo che è semplicemente fenomenico. Questo travolge la psicologia stessa che, per secoli, aveva riconosciuto nell’unità della coscienza il suo soggetto. Kant negherà alla psicologia il grado di scienza, e Comte la esclude categoricamente dall’ordine delle scienze. Sorge così, nei laboratori delle università di lingua tedesca, la psicologia scientifica, che cerca di costruire un oggetto indescrivibile nell’ambito delle scienze della natura, partendo da unità elementari, le soglie sensoriali, e si propone di ricompattare la coscienza unitaria negata dalla critica filosofica. Freud, invece, fa degli scarti, dei margini del discorso, delle cadute di intenzionalità, del non detto, l’oggetto di indagine privilegiato, utilizzando gli strumenti della scienza precedente che, nel corso del lavoro, si modificano diventando per certi aspetti omogenei all’oggetto. Nell’esplorazione dell’inconscio, si scopre un radicamento nel corpo e nelle pulsioni, che ne svela il coinvolgimento con la sessualità. La scoperta fu talmente perturbante da stupire lo stesso Freud. Per la medicina tradizionale, la sessualità coincideva con il processo riproduttivo esclusivamente finalizzato alla generazione. Ogni comportamento erotico non finalizzato veniva considerato anormale, e perciò si produssero una molteplicità di presunte patologie e di perversioni sessuali. Freud, invece, separa l’energia sessuale dal meccanismo riproduttivo, e riconosce la presenza della sessualità nello scambio di parole e di affetti tra terapeuta e paziente. Secondo Freud, la sessualità non è un oggetto opaco riconducibile a funzioni dell’organismo, ma un’energia vitale che informa sia il corpo che lo psichico, essendo anche questione di pensiero, di fantasia, di parola. Si infrange così il dualismo corpo-anima, perché il corpo può parlare e la parola può curare, perché entrambi sono animati dalla stessa energia sessuale. Mentre la sessualità non sarà mai completamente riducibile in discorso, le parole dicono, modificano, deformano, velano, amministrano le pulsioni sessuali, e si rivelano allora pratiche discorsive sessuate. Perché la sessualità venga socialmente amministrata, incanalata, finalizzata, occorre si presuma un’operazione preliminare: la trasformazione del senso, come pura condotta, reattività animale, nella sessualità, cioè, in un sistema di discorsi. La sessualità è quindi inscindibile dai discorsi in generale, in quanto tutti li precorre, li ripercorre, li elabora, li organizza. Da tempo, la pratica della confessione aveva sostituito, all’ammissione del fatto peccaminoso, la denuncia dell’intenzione, del desiderio, psicologizzando la sessualità, facendone questione di parole, di silenzi, di pensieri. Estorta la confessione sessuale, la si osserva scientificamente, cercando di renderla comprensibile ed accettabile. Ma i discorsi sulla sessualità celano e non dicono il sesso, inteso come sesso inconscio, non riducibile ad ogni norma, ad ogni normalità. L’isterica rappresenta il sesso non sessualizzato, non traducibile in discorso scientifico. L’isteria, mimando tutte le malattie, fu una sfida per la medicina dell’epoca, sottraendosi come oggetto. L’isterica parla con il corpo: è dal sintomo che bisogna partire.

Freud vuole fare della psicanalisi una scienza con una dignità scientifica e un corpus teorico. La psicanalisi consiste in un codice di lettura di altre produzioni culturali, con il rischio della perdita di specificità. Freud cerca di mantenere uno statuto di incertezza che è una dicotomia insanabile. La psicanalisi è un mezzo d’indagine dei processi psichici, un metodo di trattamento per i disturbi psichici, ed un corpus teorico che ne fa una disciplina scientifica.

Il rapporto epistolare con Fliess

Per controllare la sua influenza nel rapporto di transfert con il paziente, Freud si autoanalizza. Ribadisce i cardini della teoria psicanalitica emersi con il rapporto affettivo transferale. I cardini della teoria psicanalitica consistono:

·        Nell’importanza del discorso (libere associazioni);

·        Nell’importanza transferale (riedizioni di rapporti affettivi padre/figlio, ossia, intuizioni del complesso edipico nella sessualità infantile).

Il sogno è una bizzarria, una follia notturna che induce paranoia. Nella psicopatologia della vita quotidiana (1901), Freud indica che non vi è diversità tra il sano e il malato, perché tutti sognano, e il rimosso ritorna nei sogni, camuffato. Nel malato che sogna il rimosso ritorna, perturba funzioni psichiche legate all’attività sessuale, quali l’isteria e le nevrosi d’angoscia. Nel sano che sogna, il rimosso disturba le attività psichiche marginali, quali i lapsus, le sviste, gli atti mancati.

Freud dopo il rapporto epistolare con Fliess

L’isteria è dovuta ad un conflitto di pulsioni di natura sessuale. Secondo la teoria della rimozione, la pulsione-desiderio rimosso riguarda la vita sessuale infantile del paziente. L’isteria si spiega con la teoria del trauma, ossia, allucinazioni fattuali di tentativo di seduzione da parte del padre vissuto psichicamente, con un ruolo importante dell’elemento fantastico. La libido è un’energia pulsionale psicofisica di natura sessuale, che converge sulle zone erogene della pubertà, e non trova vie di sfogo nell’isteria. In teorie sulla sessualità infantile del 1905, si studia la distribuzione della libido. Nel bambino maschio lo sviluppo sessuale è volto al primato della genialità, ed è perno di relazioni edipiche. L’origine della libido prevede che, nel neonato dotato di organizzazione sessuale della libido autoerotica, essa sia concentrata nella suzione del dito e nella ricerca del piacere. Nella fase orale l’organizzazione della libido nella zona della bocca rappresenta il primo rapporto col mondo esterno, che viene incorporato e sputato. La fase anale prevede l’organizzazione della libido nella zona dell’ano con l’espulsione e il trattenimento delle feci. La fase fallica o genitale prevede l’organizzazione della libido nella zona genitale. Freud consiglia, per non provocare fantasie erotiche profonde nel bambino, di evitare comportamenti manipolatori come le sberle sul sedere. Il complesso edipico è definito nel rapporto di fiducia tra madre e figlio, in cui il padre è visto come intruso. L’amore per il genitore del sesso opposto, e l’odio per il genitore dello stesso sesso, prevede che il bambino sviluppi le sue fantasie sessuali, e riversi la libido sulla madre, vivendo le sue fantasie con senso di colpa per il divieto dell’incesto rappresentato dal padre. Le fantasie sessuali e il divieto d’incesto costituiscono la paura di castrazione nella rinuncia pulsionale del bambino, che fa un sacrificio, e – nell’assimilazione del super Io paterno, quale sistema di divieti e di valori – si determina il superamento del complesso edipico. Il periodo di latenza è l’inserimento dell’individuo nella società. Il bambino, da adolescente, nel rapporto amoroso con il partner, riattiva tracce del legame arcaico con la madre. Gli impulsi sessuali sono organizzati secondo il primato di genialità, e assolvono richieste della società come la riproduzione. L’edipo organizza i rapporti sociali a livello psichico. Nel rapporto sulla sessualità e la società e nel disagio della civiltà del 1930, la società sottrae energie libidiche all’individuo per stabilire coesioni tra uomini, e tutelarsi dalle cariche aggressive, richiedendo la repressione delle pulsioni libidiche. La sessualità dell’individuo rinuncia al soddisfacimento del piacere e della felicità per la sicurezza. A livello inconscio, la rinuncia si rivela in malessere, disagio ineliminabile, risultato del conflitto tra pulsioni libidiche, o desideri repressi, e pulsioni aggressive (guerra). Nell’ultima interpretazione delle pulsioni – al di là del principio di piacere del 1920 – la vita psichica è conflittuale, per natura, nel conflitto tra due tipi di pulsioni opposte. Le pulsioni di vita comprendono le pulsioni per eccellenza, ossia le pulsioni libidiche, di autoconservazione dell’Io, che tendono a conservare l’essere organico e a mantenere le sue energie pulsionali concentrate per creare altre unità viventi. Le pulsioni di morte, prima all’interno (autodistruzione) poi all’esterno (pulsioni aggressive) tendono a ridurre l’essere organico in uno stato inorganico, e a distruggere l’unità vitale, disperdendone l’energia pulsionale.

Laura Tussi

© Laura Tussi, 2008




Milano. Difesa Ambiente-EuroEdizioni di Laura Tussi

“DIFESA AMBIENTE”- EURO EDIZIONI propone gli scritti di Laura Tussi, Antonella Nappi, Alfonso Navarra, Mario Agostinelli, Alberto L’Abate, Alfio Nava e molti altri.

Difesa Ambiente-EuroEdizioni

di Laura Tussi

http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/cultura/Recensioni_1308799684.htm

La Rivista “DIFESA AMBIENTE”, realizzata da EURO EDIZIONI e diretta da Alfonso NAVARRA, promuove ideali universali e principi sociali imprescindibili per costruire insieme comunità e società di Pace, fondate sulla valorizzazione ambientale, tramite la tutela ecologica e la promozione culturale, con stili di vita ecosostenibili e processi equosolidali, attraverso la democrazia diretta dei cittadini, la partecipazione sociale, collettiva, pluralista e l’Azione Nonviolenta, contro i poteri forti, oltre ogni discriminazione ideologica e ogni schematismo partitico, per il diritto umano a contesti sociali comunitari liberi, giusti e democratici.

La democrazia e la forza della verità devono prevalere sull’egoismo più abietto, contro la perversa logica capitalista del potere che vuole mercificare tutto tramite le grandi lobby del libero mercato e le multinazionali del liberismo più sfrenato, che disprezzano il valore dell’ambiente, della persona, del rispetto dei diritti umani, travalicando il vero significato e il prioritario principio del bene comune. Ci dobbiamo riappropiare dell’azzurro che non è il colore di un becero partito del Presidente del Consiglio, ma è il colore del cielo, del mare, dell’aria, dell’acqua che ci appartengono, sono i nostri beni comuni e dobbiamo difenderli e tutelarli dalla privatizzazione mercificatoria, in favore della vita e dell’appartenenza plurima alle molteplici culture, nell’alto proposito di superare i pregiudizi consolidati, gestire i conflitti culturali, stemperare paure e ostilità, in una concezione di laicità aperta, relazionale ed inclusiva che coglie le differenze come bene comune.

IL SIGNIFICATO DELL’INTERCULTURA

di Laura Tussi

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Lo straniero rappresenta la diversità, l’alterità, l’altrove, dando vita a nuovi immaginari che sobillano le comunità locali, con il rischio di innescare ancora guerre, violenze e pogrom discriminatori.

Gli episodi di crescente intolleranza e sfruttamento del lavoro degli immigrati, le umiliazioni dei giovani che giorno per giorno devono dimostrare di essere degni del paese in cui sono giunti i loro padri, chiedono il coraggio della parola che sappia condannare le ingiustizie e le discriminazioni, lenire il silenzio degli oppressi, condannando la tracotanza degli oppressori, per cui sono necessari programmi politici finalizzati al dialogo tra culture in cerca di soluzione ai problemi di sicurezza fisica dei migranti, di spazi di libertà, di opportunità lavorative, dove il concetto di intercultura assume molteplici accezioni.

Intercultura significa tradurre se stessi nell’altro, trasponendo i propri vissuti, i dubbi, i timori, le paure, le angosce e anche le idee che progettiamo insieme e condividiamo nelle comunità di appartenenza e di accoglienza, nei luoghi aperti del sociale, nella partecipazione attiva, nell’ambito del territorio ospitante.

Lo straniero, il diverso, lo sconosciuto vivono ciascuno in ognuno di noi e le politiche interculturali che possiamo condurre anche a partire da noi stessi devono investire tutti gli aspetti del fare conoscenza e memoria e del ricordare il passato, la storia, il susseguirsi di ibridazioni, contaminazioni e commistioni che hanno coinvolto il continente europeo e il Mediterraneo nel passato storico di ogni tempo.

Intercultura significa attenzione per il diverso inteso come l’altro da noi, il più debole, il più umile, lo sconosciuto e colui che non si vuol far conoscere.

Il passato della memoria storica ricorda la Shoah, genocidio perpetrato da un sistema dittatoriale acerrimo, nella volontà assolutizzante di annientamento in massa di civili inermi e militari facendo leva su motivazioni politiche, religiose, pretesti di superiorità razziale, omologando nella distruzione totale le implicite diversità di ognuno.

Attualmente sono oggetto di discriminazione i Rom, i Sinti e tutti coloro che provengono da territori lontani dal nostro, da luoghi dell’altrove indecifrabili e irriconoscibili dalla nostra cultura autoreferenziale e arroccata sulle proprie egocentricità, eccentricità egoiche, in un individualismo esacerbato da fittizi proclami, spietato e imposto dai mezzi di comunicazione di massa reverenziali al sistema occidentale.

Intercultura significa condividere con l’altro la propria interiorità, la passione, la sofferenza, il dolore di essere giudicati diversi, divergenti, opposti al categorico, alla norma, al tabù, al divieto, dove l’altro divenga invece fonte di confronto aperto, interscambio e dialogo interiore e collettivo, da ripartecipare nella comunità intera, aperta al cambiamento, all’innovazione e al progresso.

La società, dove il ricordo e il fare memoria del passato divengono occasioni di incontro comunitario, di condivisione, di partecipazione ad un momento entusiastico e festivo della sperimentazione di un gruppo, di una collettività, di una comunità che si apra all’altro e all’altrove, può riconoscere se stessa nel rapporto con la diversità, da cui apprendere i valori autentici dell’esistenza e il portato culturale di commistioni di popoli lontani.

Intercultura significa rievocare il vissuto, il tempo perduto dell’interiorità e trasporlo nel presente, nella quotidianità di un percorso festivo e comunitario che apra all’incontro, al confronto dialogico, alla tutela delle differenze, ai diritti basilari dell’uomo, alle parità tra i sessi, al continuo dialogo tra le generazioni di giovani, anziani, adulti e bambini, dell’umanità.

Intercultura è fare memoria di se stessi in implicite autobiografie esistenziali.

Fare memoria del passato, della storia, delle ingiustizie subite e perpetrate, mantenendo sempre costante il rapporto con la propria identità e individualità, ma senza scadere nel conformismo e nel solipsismo egoico, al contrario riassumendo in sè le istanze di un sapere eclettico, aperto alla cultura delle differenze, nella valorizzazione per l’alterità e la diversità di cui ognuno è portatore, dove l’interazione assuma consistenza in una costante di affiliazioni, confidenze e confessioni che aiutino la propria identità ad autodeterminarsi e anche ad essere accolta in ignare e inconsapevoli fragilità, incongruenze e inconsistenze dell’altrui persona, che può invece rivelarsi un saldo approdo nello smarrimento dell’oggi, dove tutto appare effimero ed evanescente, in un andirivieni di messaggi vacui e immagini stereotipate.

La protesta contro l’alienazione delle identità si propaga dalle diversità come entità interagenti nel contesto sociale e comunitario.

Il diverso cerca aiuto e comprensione, nella compassione, intesa come compartecipazione al dolore e ai problemi altrui, che agevola l’incontro, l’accoglienza, l’ospitalità, nel manifestarsi intimo di un pensiero, di un ricordo di altri luoghi, altri tempi, altri altrove, nel qui ed ora della narrazione che ci scopre narrati da persone, oggetti, cose del presente, del passato, dove l’apertura al diverso viene vissuta come ideale meta di pensieri, in un susseguirsi di memorie, racconti, idee che esplorano l’inesplorato di spazi, mondi, luoghi lontani dal tutto onnicomprensivo dell’attualità fagocitante di sensazioni e manipolazioni iconiche, che riconducono nel baratro dell’effimero.

L’iconoclastia interculturale è l’abolizione del superfluo per riscoprirsi intimi e confidenti fragili, esigenti di considerazione nella comunicazione di quotidiani ignoti e inesplorati di paure, angosce, inquietudini, così esacerbate e dure a morire in remoti passatempi dell’anima, nei pensieri riflessivi dell’apolide nomade che è in ognuno di noi, in cui la proliferazione delle interrelazioni porta alla scoperta di molteplici sè, di pluralità dell’ego, in evoluzioni persuasive dell’affettività che si scandiscono con l’avvicendarsi dei giorni, di attimi, istanti, momenti di molteplici narrazioni per se stessi, con gli altri.

Laura Tussi

Docente Istituto Comprensivo Statale Via Prati, Desio (Monza e Brianza)

http://www.peacelink.it/pace/a/34226.html

NON AVER PAURA, APRITI AGLI ALTRI, APRI AI DIRITTI.

Campagna nazionale contro il razzismo, l’indifferenza e la paura dell’Altro.

www.nonaverpaura.org

La campagna è promossa da:

Acli, Alto Commissariato delle Nazioni Unite contro i Rifugiati, Amnesty International, Antigone, Arci, Asgi, Cantieri Sociali, Caritas Italiana, Centro Astalli, Cgil, Cir, Cisl, Cnca, Comunità di Sant’Egidio, Csvnet, Emmaus Italia, Federazione Chiese Evangeliche in Italia, Federazione Rom e Sinti, FioPsd, Gruppo Abele, Libera, ReteG2 Seconde Generazioni, Save the Children, Sei-Ugl, Terra del Fuoco, Uil

…CONTRO IL RAZZISMO, L’INDIFFERENZA E LA PAURA DELL’ALTRO.

Oltre i Confini…

di Laura Tussi

Le persone di origine straniera, che vivono attualmente in Italia, sono lavoratrici e lavoratori che favoriscono il benessere e il progresso del Paese e si inseriscono e si integrano nel contesto sociale e nelle comunità.

Queste persone sono spesso vittime di pregiudizio, discriminazione e vengono usate come capri espiatori da parte di manovre razziste e xenofobe, attraverso campagne di criminalizzazione, colpevolizzazione e diffusione di informazioni che non corrispondono alla realtà degli eventi, soprattutto quando si accentuano il disagio sociale e l’ insicurezza economica.

I riferimenti cardine della nostra civiltà sono distorti e rischiano di degenerare a causa dell’aumento di episodi di intolleranza e di violenza razzista, che violano i principi fondamentali della Carta Costituzionale Democratica e della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, per cui tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti e costituiscono la base valoriale di ogni moderna democrazia, oltre i confini, gli stereotipi e i pregiudizi, senza distinzione di nazionalità, colore della pelle, sesso, religione, lingua, opinione politica, origine, condizioni economiche e sociali, nascita e altro.

Le società e le comunità che si chiudono in se stesse, nella paura dello straniero e delle differenze, precludono la propria libertà, minano la democrazia interna e la realizzazione di un futuro fondato sulla giustizia, la libertà, l’uguaglianza di diritti, nella valorizzazione delle diversità sociali e individuali implicite in ogni essere umano e costituenti la ricchezza valoriale del tessuto sociocomunitario.

[1]Occorre partire dal pregiudizio, originato da problematiche identitarie, per contrastare i razzismi.

I progetti educativi, contro il pregiudizio e la discriminazione, devono investire la struttura della personalità, la cultura, le esperienze e soprattutto il significato attribuito ad eventi, atteggiamenti e comportamenti.

La tendenza a sottomettersi all’autorità è indice di obbedienza passiva a ordini, che possono entrare in contrasto con la coscienza morale.

L’abitudine ad obbedire a superiori gerarchici e attribuire le responsabilità agli ordini dell’autorità sono atteggiamenti che inducono a pensare quanto risulti necessario interrogarsi sul rischio del conformismo passivo attuale, favorito da manovre di consenso attraverso i mezzi di comunicazione di massa.

Si avverte l’esigenza di affiancare alla tradizionale educazione morale, intesa come comprensione di regole etiche e civili, la partecipazione personale e l’importanza della cooperazione e della condivisione nelle reciprocità relazionali.

L’apertura alla relazione comporta sempre un conflitto tra gli interessi personali e la responsabilità nei confronti dell’Altro, dove il soggetto assume un obbligo nei confronti altrui, in una concezione della responsabilità essenzialmente relazionale.

Il sistema mediatico, pur nelle distorsioni e deformazioni, svolge il ruolo essenziale di rendere tutti partecipi delle sofferenze altrui.

Il problema delle molteplici immagini di sofferenza è la distanza psicologica e morale.

Mentre il sistema mediatico consuma rapidamente l’attenzione dello spettatore e passa velocemente ad altro, per soddisfare i suoi meccanismi interni ed egoistici, le persone possono comunque mantenere una preoccupazione per l’Altro, anche di fronte alla ripetitività del dolore.

Una guerra, l’ingiustizia sociale, il razzismo, la fame pongono ogni persona di fronte a un senso di impotenza, attraverso le immagini televisive, ma ognuno è chiamato ad intervenire attivamente e responsabilmente.

Queste problematiche comportano la centralità dell’educazione contro l’islamofobia, l’antisemitismo e il razzismo in generale, nei suoi molteplici aspetti, nella misura in cui proprio la distanza dall’Altro favorisce la sua estraniazione.

La risposta alla disumanizzazione consiste dunque nel creare vicinanza e prossimità nei confronti dell’Altro.

La prossimità esige di riconoscere l’altro da sé, come prossimo, non più distante e indifferente, ma persona dalla comune umanità, che esige aiuto e in cui riconoscersi.

Per passare dall’indifferenza all’impegno risulta necessario che l’Altro, da assente e invisibile, diventi fonte di obbligo morale, in cui si crei un’empatia relazionale fra i soggetti.

L’empatia consiste nella dimensione di comunione reciproca del sentire insieme all’Altro, che permetta una condivisione e una comprensione della sofferenza altrui, una risposta agli stati affettivi e un significato di condivisione empatica.

L’empatia permette un avvicinamento, una prossimità anche con persone lontane, una capacità di vincere il muro che separa, che limita, che ostacola e di oltrepassare la barriera di frustrazione e impotenza che non permette alla compassione e di esprimersi.

I comportamenti di aiuto e di comprensione di personalità empatiche, aperte e tolleranti, che respingono ogni forma di razzismo e discriminazione, tramite il pregiudizio e lo stereotipo, si evolvono e maturano in persone integrate, operanti e radicate in comunità educanti che compiono scelte non conformiste, non assoggettate e allineate all’attuale pensiero unico, omologante e imperante.

Laura Tussi




Italia. Laura Tussi: Attivisti per la pace in digiuno contro la guerra, contro il nucleare e contro la privatizzazione dell’acqua per opporsi alla logica perversa del potere.

Attivisti per la pace in digiuno contro la guerra, contro il nucleare e contro la privatizzazione dell’acqua per opporsi alla logica perversa del potere.
di Laura Tussi

Vari movimenti attivi per la pace e la nonviolenza e alcuni istituti di ricerca per la pace si oppongono con il digiuno e con azioni nonviolente a una società oligarchica e militarizzata, esposta a rischi inaccettabili, nell’interesse di poche caste potenti dei signori dell’atomo, del petrolio e del complesso militare-industriale.

Tutti noi vogliamo che i diritti fondamentali siano garantiti per ogni persona.

Tutti noi vogliamo che i bisogni legati alla vita e alla dignità umana siano soddisfatti per una comunità realmente solidale.

Tutti noi vogliamo una società in cui l’acqua, bene comune e diritto universale e inalienabile, non sia sottoposta alla logica del mercato e trasformata in fonte di ricchezza privata e pretesto di contese, violenze e guerre, come il petrolio.

Tutti noi vogliamo contrastare il nucleare per investire sulle energie rinnovabili, alternative, pulite e sulla frontiera delle innovazioni ecologiche, migliorando così la qualità della vita in contesti democratici, aperti al dialogo tra le istituzioni che accolgano le vittime delle guerre e offrano asilo e ospitalità a tutti i migranti per creare società dove si privilegino principi di saggezza, scelte di pace e percorsi di nonviolenza, nei rapporti tra individui, tra politici, tra partiti e stati.

La guerra imperversa con conseguenze devastanti e massacri quotidiani di cui i canali di comunicazione di massa non fanno menzione in maniera integrale.

La guerra del neocolonialismo, dell’imperialismo, delle dittature, dello sfruttamento produce fame, desertificazione, morte e ingenera sempre violenza.

La guerra, le connivenze e le complicità con le politiche imperialiste hanno privato di sensibilità la coscienza civile che non reagisce: non si prova più orrore, sdegno e vergogna.

La violenza diventa abitudine. Gli attivisti dei movimenti in favore della pace, del disarmo e della nonviolenza continuano a Resistere, sostenendo campagne di digiuno per opporsi alle guerre e alla catastrofe nucleare. Queste iniziative intraprese da singole persone amiche della nonviolenza costituiscono, tutte insieme, un modo per mettersi in gioco personalmente, per assumersi delle responsabilità e per indicare la strada concreta della nonviolenza e della pace, per uscire dalla follia, dal baratro senza fine dei conflitti bellici e dell’era del nucleare. Vogliamo la pace come umanità che si deve riconoscere una, plurale e solidale, concretamente esistente nei singoli esseri umani tutti uguali per diritti e dignità e differenti per caratteri, propensioni e opinioni, nell’umana convivenza, nella comune responsabilità, nella reciproca solidarietà di cui ogni persona è promotrice.

La pace è un processo lungo di preparazione e meditazione dei popoli.

La pace è una forma mentis che deve investire ogni essere umano nelle proprie scelte e predisposizioni. Ringraziamo tutti gli amici della nonviolenza che giorno dopo giorno incorrono in gravi rischi di salute e mettono a repentaglio la propria incolumità per un ideale: la Pace.

Sono ormai più di 160 le amiche e gli amici della nonviolenza che hanno finora aderito al digiuno promosso dal Movimento Nonviolento “per opporsi alla guerra e al nucleare”. C’è chi digiuna anche se malato in ospedale, chi in una cella di convento o di carcere, chi partecipa ma preferisce non farlo sapere pubblicamente e chi, non potendo aderire per vari motivi, lo fa spiritualmente.

Questa iniziativa nonviolenta prosegue dal 27 marzo 2011, e nuovi aderenti hanno già annunciato la loro partecipazione. Altri ancora si stanno aggiungendo. Si digiuna in ogni parte d’Italia, da Trieste a Palermo, da Torino a Venezia, da Verona a Bari.

Laura Tussi




TV. Rai Educational – I Musei della Memoria “Per Non Dimenticare”. Luciano Onder intervista Laura Tussi su Rai Educational.

Rai Educational – I Musei della Memoria

“Per Non Dimenticare”.

Luciano Onder intervista Laura Tussi su Rai Educational.

In questi video è visibile la trasmissione televisiva dal titolo “Musei della Scienza” condotta da Luciano Onder su Rai Educational, nell’ambito di Rai Explora.   http://www.peacelink.it/storia/a/34002.html http://www.youtube.com/lauratussi#p/u/4/jFiiN1BBDts http://www.youtube.com/lauratussi#p/u/3/0SzUSvQIy-Y http://www.youtube.com/lauratussi#p/u/2/eKyosqlG8Pw

Prof.ssa Tussi, come si incontra la memoria raccontata dalla museologia con la modernità del nostro millennio?

Attualmente la cultura dominante concettualizza la memoria in determinati parametri, per cui la modernità contrasta la memoria attraverso il mutamento, il cambiamento, instaurando contradditori rapporti tra la cultura moderna europea e il concetto di memoria storica. Nel 1860 Baudelaire sosteneva che “le città cambiano più velocemente del cuore di un uomo”, perché nella modernità tutto è mutevole, si trasforma più velocemente della capacità di adattamento dell’individuo stesso. La modernità quindi disorienta l’individuo che non vive esclusivamente un’unica cerchia di vita relazionale, ma sperimenta la varietà degli approcci sociali, per cui appartiene ad una pluralità di ambiti comunitari e di contesti collettivi. Ciò provoca ricorrenti fratture nella memoria sociale, ma implica, al contempo, un forte richiamo alla responsabilità del singolo nei confronti del passato storico a livello individuale, collettivo, nazionale, globale. Operazione necessaria, soprattutto nell’era della globalizzazione in cui occorre anche il rispetto e la valorizzazione delle diversità, delle differenze soggettive, culturali, interetniche, come elementi vitali e imprescindibili dell’insieme.

Prof.ssa Tussi, si è diffuso negli ultimi anni l’ecomuseo, in cosa consiste?

Non è semplice definire cosa sia un ecomuseo. Nei paesi d’oltralpe l’idea è nata molti anni prima che in Italia, dove le prime esperienze sono molto recenti. Esse seguono la nuova idea di bene culturale, che è maturata solo da alcuni decenni all’interno delle amministrazioni e in campo politico e che è molto più ampia rispetto al passato. Infatti, oggi l’ambiente è considerato il bene culturale per antonomasia, perché trattasi di un bene e valore collettivo, dato dal susseguirsi e dal relazionarsi di paesaggi antropici, che tutti sono in grado di modificare e migliorare, prevenendone la rovina, non impedendone la trasformazione “non nella logica della conservazione sterile, ma attraverso una regolamentazione, un monitoraggio continuo degli eventi, a patto che siano globali e lungimiranti. Quando le opere sono difficilmente museabili, come una cascina o una rete di canali, l’idea di museo come spazio chiuso è messa in discussione e si crea il concetto di museo senza muri, che ha come oggetto della propria attenzione il territorio.

L’ecomuseo si intende quindi non semplicemente come un luogo dove si tutelano degli abitati e dei percorsi, ma e il luogo in cui la collettività ragiona sulla propria storia, una sorta di “scuola della coscienza storica”.

Prof.ssa Tussi, qual è la valenza didattica degli ecomusei?

L’inventore, Hugues de Varine, tentava nel 1971 una difficile fusione tra le parole “ecologia” e “museo”, e nel ridefinirlo “museo comunitario”, De Varine considera l’ecomuseo l’università popolare per eccellenza, un catalizzatore della cultura vivente, una finestra aperta sul mondo.

L’ecomuseo si distingue da un museo convenzionale dal contrasto con il principio fondante la museologia tradizionale, che sottrae i beni culturali ai luoghi in cui vengono prodotti per essere studiati in luoghi chiusi. L’ecomuseo si propone come mezzo di riappropriazione del proprio patrimonio culturale da parte della collettività locale che ne diviene il soggetto gestore oltre che fautore. La realizzazione è assai difficile ed ambiziosa dato che ci sono problemi organizzativi a molti livelli, non solo sul piano scientifico, ma anche sul piano della gestione delle forze sociali e del loro coinvolgimento. Interpretando gli ecomusei come espressione autobiografica, risulta possibile recuperare il passato se si riconosce e riattualizza una memoria collettiva, comune, del senso della storia a partire dal singolo individuo che ha il compito di comprendere, realizzare, ricomporre a ritroso, storicamente, la propria identità, coincidente con la memoria stessa, tramite l’approccio pedagogico autobiografico.

Prof.ssa Tussi, per quali motivi si ritiene sia nata l’idea del museo scientifico?

La validità scientifica della realtà ecomuseale nasce in una prospettiva di valutazione di impatto ambientale e di approccio
qualitativo e quantitativo all’analisi del paesaggio, dopo la legge 310
della commissione parlamentare Franceschini del 1964, il Decreto Galasso del
1985, riabilita il concetto di paesaggio e supera la concezione crociana
estetizzante e soggettiva, relativa al bene culturale, ponendo un vincolo di
tutela museabile esteso a tutte le componenti ambientali. L’oggetto di tutela risulta
essere il patrimonio paesistico ambientale al fine di evitare alterazioni
morfologiche, strutturali e interventi di deturpazione per elementi
naturali, antropici, documenti storici. Il paesaggio è considerato
integrazione dell’ambiente archeologico, architettonico, storico e
artistico. Si assiste a una nuova definizione del bene culturale
comprendente tutte le testimonianze delle forme storiche di civiltà, tra cui
opere di sistemazione territoriale ed insediativa, testimonianti, nel loro
complesso, la storia, la presenza, i segni dell’uomo, nella funzione dell’ecomuseo.

Prof.ssa Tussi, per quali motivi gli ecomusei si possono definire interculturali, luogo di narrazioni autobiografiche ed interetniche?

L’obiettivo focale consiste dunque nell’armonizzazione del territorio, tramite la messa in atto di strategie capaci di rendere dinamici gli ambiti rigidi precedenti, nella valorizzazione dello spazio culturale comune, collettivo con le relative diversità e tradizioni, al fine di incoraggiare la creazione culturale, rendere fruibile l’accesso a quest’ultima, la diffusione dell’arte nel dialogo interculturale, multiculturale, considerando le molteplici diversità sottese non solo all’etnicità, ma alla soggettività individuale: il tutto in una prospettiva di valorizzazione della conoscenza storica del territorio in cui viviamo. L’importanza di figure professionali attente alla parte socioculturale dei progetti delle amministrazioni, risulta evidente anche in campi educativi, dove si evidenziano positivi effetti sui processi di apprendimento, socializzazione e formazione dell’identità di individui, soprattutto in età giovanile, e in modo più lato sulla prevenzione o la riduzione della marginalità sociale, grazie al coinvolgimento profondo e dinamico delle risorse umane, culturali. L’obiettivo consiste dunque nel favorire una maggiore sensibilizzazione del tessuto sociale alle problematiche dei giovani, degli anziani, degli immigrati ed extracomunitari e di coloro che vivono uno stato di marginalizzazione, al fine di creare la nascita di nuove sinergie, nell’evidenziazione di nuove risorse, tramite la valorizzazione e il recupero di nuovi spazi e strutture inutilizzate o sottoutilizzate, al fine di creare musei interculturali, laboratori della memoria per il diritto al racconto di sé e alla narrazione reciproca. . La storia di formazione e di genesi del bene culturale e ambientale deriva sempre dalla nostra autobiografia. Noi consideriamo con un certo grado di emotività e di affezione gli oggetti se in qualche modo li abbiamo già visti e vissuti nel nostro passato, nella memoria e ritornano alla mente grazie all’aiuto e alla consulenza di un apporto autobiografico, antropologico e pedagogico. Abbiamo bisogno di capire come il bene artistico possa essere un oggetto che suscita fascinazione, interessi, emozioni, in rapporto alla sua necessaria difesa e valorizzazione.




Italia. Radio: INBLU Radio ospita Laura Tussi La trasmissione “Luce nella Notte” di INBLU RADIO e Radio Missione Francescana ospita Laura Tussi e il Progetto “PER NON DIMENTICARE” di Nova Milanese.

INBLU Radio ospita Laura Tussi
La trasmissione “Luce nella Notte” di INBLU RADIO e Radio Missione Francescana
ospita Laura Tussi e il Progetto “PER NON DIMENTICARE” di Nova Milanese.

http://www.rmf.it/

http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/appuntamenti/indice_1300720473.htm