Giulianova. Nel 1941 la scoperta del “tesoretto” giuliese

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 33.
di Sandro Galanti*
Giulianova, contrada Terravecchia, 1941. Ormai in clima bellico, durante i lavori su un’abitazione viene alla luce quello che a ragione verrà chiamato il “tesoretto” di Giulianova.
Celato in un muro, che lo aveva serbato per oltre cinque secoli, si presenta agli occhi stupiti degli operai un prezioso ripostiglio. Insieme con un ducato del primo periodo del Senato Romano, ci sono infatti ben 168 zecchini (o ducati) di Venezia che coprono un lungo lasso di tempo. L’esemplare più antico risale al tempo del doge Pietro Gradenigo (1289-1311); il più recente al periodo nel quale fu in carica il doge Antonio Venier (1382-1400), epoca cui può essere fatto risalire l’occultamento di questo autentico giacimento.
La scoperta monetale del 1941, la più importante avvenuta a Giulianova (a parte quella del 1829, allorché vennero rinvenute sempre a Terravecchia 1216 monete antiche in argento), faceva il paio con l’altra del 1907 e ambedue testimoniavano i vivaci flussi di scambi con Venezia, regina dell’Adriatico e protagonista di una politica di espansione anche sulla terraferma, nei quali era coinvolta la città medievale di Castel San Flaviano. È probabile che l’ignoto proprietario del “tesoretto” fosse proprio un mercante, uno dei tanti a risiedere nel nucleo urbano della città marittima e portuale di Castel San Flaviano.
* Storico e Giornalista



Giulianova. La scoperta delle gallerie giuliesi

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 32.
di Sandro Galantini*
Il rinvenimento, nel 1929, dell’ennesima iscrizione antica, aveva forse sollecitato alcuni giovani giuliesi ad effettuare una avventurosa ricognizione in una galleria che anni prima, creando curiosità in città, era stata scoperta da un operaio intento a scavare un pozzo nell’aia di una casa colonica sita lungo via XV Ottobre, l’attuale Gramsci, probabilmente nell’area a sud dell’odierno Istituto S. Volto tra le vie Mantegna e fratelli Bandiera, allora non urbanizzata.
Fosse per sincero interesse archeologico, oppure per semplice spirito di avventura con la prospettiva magari di rinvenire qualche “tesoro”, in ogni caso a primavera, reperita la somma necessaria e d’intesa con il proprietario del fondo, gli improvvisati speleologi avevano dato il via all’operazione sui cui esiti ragguagliava il 27 agosto 1929 “Il Messaggero”.
La galleria, come si legge nell’articolo, era posta ad 8 metri di profondità e venne percorsa per 40 metri a sud e 190 verso nord essendo impossibile proseguire oltre a causa di «due frane esistenti dopo le suddette distanze», si ipotizzava avvenute per il cedimento della volta. La galleria, di andamento «tortuoso» e con copertura preminente costituita da volta a botte ed in alcuni tratti da due conci di pietra di tufo «accostati e contrastantisi», aveva una larghezza di circa 80 centimetri ed un’altezza media di 2,40 metri. Il pavimento presentava un selciato regolare. Tra coloro che avevano effettuato l’avventurosa ricognizione, “Il Messaggero” segnalava in particolare un giovane di Città S. Angelo da appena un anno laureatosi in ingegneria a Bologna, Arturo Braga, figlio del giuliese Alfredo, e l’«industriale» Luigi Orsini, figlio di Tiberio. I quali pare avessero persino abbozzato un rudimentale rilievo.
Quel cunicolo, per il quale il giornale invocava l’intervento della Soprintendenza potendo «far scoprire chissà quali cose di valore archeologico e storico», aveva dato luogo all’opinione popolare di un fantasioso tracciato di fuga, ad uso dei duchi Acquaviva, che da Giulianova terminava al fiume Tordino o addirittura, secondo la versione ancora più leggendaria, passando sotto il fiume risaliva ad Atri.
In realtà doveva trattarsi di un tratto dell’adduttore idrico ipogeo, con tratti di camminamento per la manutenzione, che partendo dalla domus sub-urbana con cisterna nel giardino di Casa Maria Immacolata, raggiungeva l’area, romana prima medievale poi, nella zona dell’attuale cimitero. Dove, sulle pendici orientali, sino a qualche anno fa erano ancora visibili i resti di una piccola cisterna scivolata ormai a valle.
* Storico e Giornalista



Giulianova. 1907, l’eccezionale scoperta di 36 monete medievali

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 31.
di Sandro Galantini*
Nel 1907, giustificando in parte le storie popolari relative a favolosi tesori disseminati nei nostri territori, casualmente si scopriva a Giulianova un ripostiglio monetale di età medievale non particolarmente cospicuo però di una certa consistenza. Erano infatti 36, diligentemente repertati, i “pezzi” riportati alla luce. Si trattava di 4 ducati del Senato Romano, di 1 fiorino di Firenze, di 1 ducato di Luigi I d’Ungheria e soprattutto di ducati d’oro veneziani, tutti databili al XIV secolo. Di questi 1 era risalente al tempo del governo del doge Francesco Dandolo (1329-1339); 7 a quello di Andrea Dandolo (1343-1354); 3 a quello di Giovanni Dolfin (1356-1361); 2 a quello di Lorenzo Celsi (1361-1365); 1 a quello di Marco Corner (1365-1368); 12 a quello di Andrea Contarini (1368-1382); 1 a quello di Michele Morosini (1382) e 3 infine a quello del doge Antonio Venier (1382-1400).
Il tesoretto monetale evidenziava i rapporti commerciali e i traffici marittimi intercorrenti tra Castel San Flaviano, che si giovava ancora delle strutture portuali realizzate dai romani a Castrum Novum, e altri centri della Penisola.
* Storico e Giornalista



Giulianova. Niccolò Persichetti: “l’indifferenza da parte dei giuliesi nei confronti delle emergenze antiche”.

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 30.
di Sandro Galantini
Relativamente ai rinvenimenti archeologici a Giulianova, il XX secolo esordiva con la comunicazione del comasco Solone Ambrosoli, pubblicata nel 1900 nella rivista “Notizie degli scavi”, del casuale rinvenimento «nell’agro dell’antica Castrum Novum», non lontano dall’abitato, di un ripostiglio di monete romane in bronzo. Si trattava di un tesoretto di età repubblicana, costituito da 605 assi di Ostia (382 non erano però identificabili), riconducibile a varie famiglie romane.
Un paio di anni dopo era invece l’aquilano Niccolò Persichetti, appassionato archeologo e dal 1889 Ispettore per gli scavi e i monumenti del circondario di Cittaducale, a dare notizia nel “Bullettino” del Deutsches Archäologisches Institut di Roma di un altro casuale rinvenimento che indicava oltretutto la diffusa indifferenza da parte dei giuliesi nei confronti delle emergenze antiche.
Su un terreno comunale affittato a Giustino Pedicone, a destra della strada che conduceva in città provenendo da Teramo, «avendo quegli rinvenuto – scriveva il Persichetti – a circa 4 m. dalla detta strada, e ad un metro di profondità, un muro di antico edifizio, lo stava disfacendo per venderne poi il materiale».
* Storico e Giornalista



Giulianova. 1936, la sistemazione del cinema Braga

1936 Sistemazione cinema Braga. L’ottimo ing. De Annibale ne fece un vero gioiellino! Ecco la relazione, la pianta e due sezioni.



Giulianova. I reperti archeologici giuliesi ritrovati e scomparsi

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 29.
di Sandro Galantini*
Nel dicembre 1875, precedendo di poco la seconda venuta di Theodor Mommsen nel Teramano per una serie di ricognizioni nei siti di Hatria, Interamna e Castrum Novum, in un suo fondo a sud della chiesa dell’Annunziata, al lato dell’attuale ponte ferroviario sul Tordino, l’ingegnere Gaetano de Bartolomei riportava alla luce un frammento di collo di anfora recante la scritta C. IVLI MARCELLI ed un’antefissa rappresentante in bassorilievo un Genio che conduce una biga. Ciò che sollecitava però la sua maggiore attenzione era un recinto di grosse mura laterizie, intervallate da piccoli incavi architravati, con una lunga gradinata sotterranea formata da enormi mattoni. In tutto cinque rampe «discendenti entro terra, ritorcendosi ad angolo retto», per 38 gradini complessivi. La scoperta dei ruderi, riportata dal “Corriere Abruzzese”, aveva creato l’opinione popolare che il fabbricato fosse un luogo di pena o un trabocchetto. A detta del neretese Domenico de Guidobaldi, illustre archeologo e Ispettore agli scavi che ne dava comunicazione a Giuseppe Fiorelli, la struttura era invece un tempio riferibile, insieme con gli altri reperti, al periodo in cui Nerone aveva dedotto a Castrum Novum l’ultima colonia.
Nell’ottobre 1877 sempre Gaetano de Bartolomei rinveniva, nel corso dei lavori di dissodamento di un altro suo fondo a Terravecchia, grandi lastre quadrilunghe di travertino larghe 0,80 centimetri e lunghe circa 2,50 metri. In questo caso però era opinione del de Guidobaldi, il quale ne riferiva al Fiorelli con una nota del 29 marzo 1878 approntando anche uno scritto al riguardo pubblicato sul periodico napoletano “La Scienza e la Fede”, che si trattasse dei resti della distrutta chiesa medievale di San Flaviano.
Nel 1878, altra scoperta da parte del de Bartolomei. Ad emergere dalle profondità della terra, seppellita in un terreno comunale posto ad est dell’attuale cimitero comunale oltre l’odierna via Gramsci, era un’iscrizione latina larga 1,25 metri e alta 67 centimetri. Sarebbe stato, da quel che sappiamo, l’ultimo ritrovamento ottocentesco. Tuttavia di molti di quei reperti non si sarebbe avuta più traccia. Come scomparsi, o irrintracciabili, risultano quelle «reliquie di antichità» cui faceva cenno Gaetano Ciaffardoni nel suo libro Breve cenno di Castro e Giulia del 1861: dai due grandi stipiti di marmo giacenti sulle pareti nord-ovest del Duomo di San Flaviano all’iscrizione di L. Vettio «sistente nell’attual Convento de’ Cappuccini» al frammento «in cui leggesi L.Septimius Pracco» che al tempo si conservava in quello che era il «casino» dei Palma, l’attuale villa di Serafino Cerulli-Irelli.
* Storico e Giornalista
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Tu, Elso Simone Serpentini, Simone Gambacorta e altri 12
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Giulianova. Le prime campagne di scavo di Concenzio Rosa a Terravecchia

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 28.
di Sandro Galantini*
Per tutto il corso del secondo Ottocento a Giulianova i rinvenimenti archeologici divengono più numerosi. E ciò in quanto alle scoperte occasionali da parte degli agricoltori si aggiungono le prime campagne di scavo.
In una di queste, condotta da Concezio Rosa, venivano rinvenuti, sempre nella contrada Terravecchia ma nell’area Brecciola in prossimità del Tordino, alcuni reperti risalenti addirittura all’età della pietra, a testimoniare come la presenza umana nella zona fosse databile al periodo neolitico. Si trattava specificamente di alcune frecce, come il paleontologo castellano comunicava il 20 dicembre 1873 nell’adunanza della Società di antropologia ed etnologia.
Nel 1874 era invece Felice Barnabei a firmare una relazione nel “Giornale degli scavi di Pompei” di Giuseppe Fiorelli dando conto dei risultati degli scavi effettuati a Giulianova, vicino alla chiesa dell’Annunziata, nell’estate di quell’anno.
Oltre a «mucchi di macerie miste ad ossa umane in gran copia» ed a frammenti di mura con «pezzi di colonne e poche pietre lavorate», di rimarchevole per Barnabei era un piccolo capitello di pietra calcare, appena 58 centimetri di altezza e 84 di larghezza, nel quale erano scolpiti «un Salvatore ed un Levita appartenenti all’arte dei primi tempi del Risorgimento». Accanto al capitello una epigrafe mutila, incisa su un grande quadrato calcareo di cui restava un pezzo alto 47 centimetri e largo 52, rotto alla base e nel lato sinistro, recante le «lettere bellissime T. AGIC». Da ciò la sua convinzione che nella costruzione della chiesa «furono impiegati i materiali appartenenti ad edificii pagani». Ma come vedremo, altro ancora, nel corso del tempo, avrebbe fatto emergere il sottosuolo giuliese.
*Storico e Giornalista



Giulianova. Quel consistente quantitativo di monete d’argento scoperto a Terravecchia.

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 27.
di Sandro Galantini*
Nel 1828, durante i lavori in corso per la realizzazione della «traversa» per Giulianova della nuova strada distrettuale, cioè il primo tratto dell’attuale via Gramsci dall’odierna statale per Teramo, a non molta profondità iniziarono a mostrarsi alcuni reperti. Si trattava di metalli fusi e pavimenti in mosaico calcinati nelle superfici. Subito dopo, rompendo un grosso muro, gli operai scoprirono un consistente quantitativo (sessanta libbre) di monete d’argento, parte liquefatte e parte arrostite dal fuoco quasi tutte della famiglia Tituria. Le sorprese non erano però finite. Infatti, tra le rovine di quello che doveva essere un vasto edificio termale, emerse anche una preziosa iscrizione lapidaria: PVBLICUM INTERAMNITUM VECTIGAL BALNEARUM.
Epigrafe che sarebbe andata persa, o distrutta, se il giuliese Livio De Dominicis, appassionato studioso delle antichità cittadine, non l’avesse letteralmente sottratta ai martelli degli operai posizionandola in seguito su un muro interno del cortile di casa sua. Niccola Palma, nel darne ragguaglio nel 1833 nel “Bullettino” del Deutsches Archäologisches Institut di Roma, dopo aver proposto alcune ipotesi sulla datazione dei reperti e sul loro significato, concludeva contrariato: «Quindi dopo essersene mandato un saggio al Direttore del Regal Museo Borbonico, che ne ritenne alcune, e respinse il resto, e dopo i pochi acquisti che i curiosi ne fecero; tutto colò in mano degli orefici, con poco profitto degli appaltatori e degli operai, che prima delle misure del Regio Giudice e dell’Intendente, avevano saccheggiato il nascondiglio».



Giulianova. Il futuro mercato ortofrutticolo al lido

23 maggio 1948 il Consiglio comunale delibera il prolungamento di via Gorizia e l’acquisto di un’area adiacente ad uso di mercato ortofrutticolo e per la realizzazione della Pescheria.
di Ottavio Di Stanislao*



Giulianova. 1918, la statistica dei morti per “Spagnola”

Statistica della mortalità nei mesi di luglio, agosto e nella prima quindicina di settembre 1918, nei comuni della provincia di Teramo colpiti dalla epidemia influenzale (c. d. Spagnola ).
Non ci lamentiamo :ai nostri nonni andò molto peggio! Alla guerra seguì la spagnola!
Ottavio Di Stanislao