Giulianova. Il bastione ritrovato

di Ottavio Stanislao*
Sul lato ovest delle mura, a circa 60 metri a sud dalla Rocca, c’è il bastione che nel corso dell’Ottocento era denominato “il Mozzone”. Di tale bastione si era persa memoria, non più rappresentato nella cartografia ufficiale novecentesca. I resti, due metri circa di altezza, con ampi tratti rifatti, per un diametro interno di cinque metri, sono visibili in fondo al viottolo a sinistra della casa della vedova di Enea Chiavaroli su via del Popolo. Il nome lascerebbe intendere che doveva essere ridotto nelle dimensioni rispetto agli altri a seguito di danneggiamento o deterioramento, anche se non era stato mai interessato dai restauri effettuati in vari tratti della cinta muraria nel corso dell’Ottocento. Nella pianta del 1861, indicato con la lettera M e colorato di azzurro, fu richiesto e concesso a Giuseppe Lallone. Ciò suscitò la protesta di Massimiliano Colantoni, “impiegato telegrafico ritirato in Giulianova” che sosteneva di averlo posseduto da tempo immemorabile “… e siccome in esso vi erano dei grandi buchi, dove ascendevano e discendevano persone, così l’oratore si determinò fare offerta di censimento fin dal 1852 (…) coll’obbligo di rifabbricare (…)”. Ma tale proposta non era stata presa in considerazione.
Le foto dei resti del bastione visti dall’interno e dall’esterno sono del mio grande amico Francesco Trifoni che colgo l’occasione per ringraziare per la sua “assistenza” in questa e in tante altre occasioni. La pianta catastale del 1882, ultima rappresentazione “ufficiale”; particolare della pianta del 1861 allegata alla richiesta di vari tratti del lato ovest da parte di privati.
*Funzionario archivista



Giulianova. La lapide rimossa dedicata al Re Vittorio Emanuele II

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 48.
di Sandro Galantini*
Il 15 ottobre 1910 il sindaco Giuseppe de Bartolomei celebrava solennemente i cinquant’anni esatti dalla venuta di Vittorio Emanuele II a Giulianova.
La manifestazione aveva preso avvio, in una cornice di folla festante, dall’imponente monumento di Raffaello Pagliaccetti dedicato al re dell’Unità d’Italia nell’allora piazza Vittorio Emanuele II, oggi della Libertà, per avere il suo clou con il solenne scoprimento di una lapide commemorativa murata su uno dei lati della chiesa di San Flaviano, specificamente quello vicino all’ingresso principale, nel largo omonimo.
L’epigrafe, dettata dal teramano Luigi Savorini, bibliotecario, storico, professore di lettere al Liceo ginnasio del capoluogo aprutino e giornalista, recitava: IL XV OTTOBRE 1860 GIULIANOVA PRIMA FRA LE CITTÀ DELL’ANTICO REAME DI NAPOLI ACCOLSE NELLE SUE MURA VITTORIO EMANUELE II SALUTANDOLO RE DELLA NUOVA ITALIA.
In relazione allo scoprimento della lapide, e con il pensiero rivolto al sovrano sabaudo sotto il cui scettro l’Italia era divenuta nazione, il sindaco aveva inoltre inviato alcuni telegrammi di saluti. Uno al re Vittorio Emanuele III, uno al presidente del Consiglio dei ministri Luigi Luzzatti, nominato il 1° marzo di quell’anno, e l’ultimo al sindaco di Napoli, marchese Ferdinando Del Carretto di Novello, il quale rispondeva con sollecitudine porgendo il saluto dell’antica capitale ed augurando alla «nobile città» abruzzese «continuo progresso e prosperità»
La lapide rimaneva al suo posto per poco più di un decennio sino a quando veniva smurata e riposizionata su un’altra parete del Duomo, esattamente quella che prospettava su Corso Garibaldi. Infatti nel posto precedentemente occupato dalla lapide veniva collocato, e inaugurato il 20 settembre 1922, il pregevole Monumento in ricordo dei caduti giuliesi della Grande guerra realizzato sin dal 1920 dallo scultore Ulderico Ulizio e dal medaglista umbro Torquato Tamagnini.
Le due “pietre della memoria”, quella ai caduti e l’altra rievocativa della venuta del re a Giulianova, sarebbero coesistite ancora per lungo tempo. Salvo poi perdersi traccia proprio della lapide del 1910, forse smurata in occasione dei restauri del 1948 sul duomo e non ricollocata. In ogni caso quella perduta lapide è stata riprodotta fedelmente e ricollocata il 15 ottobre 2010 vicino alla chiesa di San Flaviano, sulla parete esterna della canonica prospettante su Corso Garibaldi.
*Storico e Giornalista



Giulianova. La cinta muraria: da struttura difensiva a “mura ad tenimen”.

di Ottavio Di Stanislao*
Ancora nel corso dell’Ottocento, all’occorrenza la cinta muraria era oggetto di lavori di restauro o di rifacimento vero e proprio. Ciò anche se ormai su gran parte di esse erano addossate le abitazioni civili. L’atto di concedere parti di mura o lo spazio attiguo però destava sempre qualche remora da parte di chi pensava alle esigenze difensive o comunque era geloso delle prerogative dell’interesse pubblico nei confronti delle particolari richieste dei privati. Tuttavia la stessa espressione comunemente usata: “mura ad tenimen”, che italianizzata diveniva “mura a tenime” o muratteinme”, ci indica che la funzione prevalente di queste era considerata quella di sostegno, di appoggio dell’edilizia privata. D’altronde lo stesso fenomeno era avvenuto anche negli altri borghi fortificati dei dintorni di Giulianova (Mosciano, Montone, Tortoreto, Montepagano), con case appoggiate alle mura e bastioni di proprietà di privati. Va comunque rilevato che il regolamento comunale di polizia urbana del 1823 tendeva a tutelare l’integrità della cinta muraria proibendo: “… di fare de guasti nelle mura che circondano la città e nelle porte che la chiudono (…)di tenere aperte le porticine dalle quali i proprietari delle case rispettive possono entrare ed uscire dall’abitato nel caso il paese sia chiuso dalle porte e da da mura ma dovranno chiuderle murandole (…) di fare nelle proprie case nuove aperture di finestre o di porte che riguardano una strada pubblica o vero un vico senza precedente permesso …”.
Nella prima foto avanzi di mura a scarpa del lato ovest inglobate in abitazioni civili (casa Massei).
Nell’altra foto (lato est), sono ancora visibili i caratteri del borgo fortificato, con avanzi di torricino e l’edificato delle abitazioni sulla linea delle mura.
*Funzionario Archivista



Giulianova. 1952 L’ANNO DEI DUE VESCOVI

di Ottavio Di Stanislao*
Locandina per la festa della Madonna dello Splendore del 1952.
Proprio il 20 aprile faceva l’ingresso in diocesi il nuovo vescovo Stanislao Amilcare Battistelli e don Alberto invitava i giuliesi ad accoglierlo alla stazione di Giulianova. La messa del 22 sarebbe stata celebrata da mons. Adolfo Binni, già sacerdote diocesano, appena nominato vescovo di Nola.
Don Alberto di Pierto (1907-1990) fu uno dei sacerdoti più conosciuti e più stimati della diocesi. Arciprete di Giulianova dal 1945, precedentemente era stato parroco prima a Torricella Sicura e poi a Controguerra. Durante gli anni ’50 e ’60 era considerato di fatto il capo dell’opposizione alle giunte social-comuniste per la sua ferma battaglia culturale contro il comunismo.
Mons. Adolfo Binni (1902-1971) era originario di Monsampolo del Tronto, allora in diocesi di Teramo, prevosto di Corropoli per un ventennio era stato poi vicario generale. Nel mese di giugno di quell’anno (1952) prese possesso della diocesi di Nola (vedi foto). Un anno dopo fu alla ribalta delle cronache per essersi opposto, ad Ottaviano, ai “voli degli angeli” che caratterizzavano la processione di S. Michele, che riteneva per niente religiosi se non addirittura reminiscenze pagane, e per aver abolito la raccolta delle offerte in “presenza simulacro”, per cui le statue dei santi venivano ricoperte da corolle di banconote. Mons. Battistelli (1885-1981), frate passionista, già vescovo di Sovana e Pitigliano, in Toscana, fu vescovo di Teramo dal 1952 al 1967, quando si dimise per raggiunti limiti di età, anche se morirà solo nel 1981. La foto, di qualche anno dopo il suo arrivo a Teramo, lo ritrae in occasione della benedizione della prima pietra di un edificio IACP, con don Giulio Di Francesco, Luigi Lolli, presidente dell’IACP, il prefetto Di Pangrazio e alle spalle un giovanissimo Antonio Tancredi. Questa foto e quella giovanile di don Alberto provengono dal Fondo Nardini della Biblioteca Provinciale, ringrazio Fausto Eugeni che me le segnalò; la foto dell’ingresso in diocesi di Binni è in F. DI FILIPPO, “Maria icona di un popolo devoto”, Colonnella 2014.
*Funzionario Archivista



Giulianova. La festa della Madonna dello Splendore del 1951

di Ottavio Di Stanislao*
La locandina della festa della Madonna dello Splendore per l’anno 1951. Il 21 pomeriggio : Corsa di cavalli con fantino; il montepremi della tombola è salito a 100.000 lire (70.000 alla prima, 30.000 alla seconda). In fondo alla locandina si segnala nella giornata del 22 “la rinomata fiera di merci e bestiame”. Era un privilegio antichissimo la fiera del 22 aprile, oltre a quelle del 3 febbraio (S.Biagio) e 25 marzo (S.Ma Annunziata). Per l’occasione “… la commune tiene la facoltà di nominare ed eligere un suo cittadino benestante per Maestro di Fiera nella vigilia e festa della Madonna dello Splendore, principale padrona della comune, colla facoltà altresì di amministrare la giustizia, dovendo per li detti due giorni il Regio Governatore locale deporre l’ufficio”.
*Funzionario Archivista



Giulianova. Luigi Crocetti, un giuliese alla guida dell’Associazione Italiana Biblioteche

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 47.
di Sandro Galantini*
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{* alle ore 12.12 dell’11 marzo scorso, a causa della quarantena, postavo la prima puntata di questi miei piccoli FRAMMENTI trattando di un edificio progettato nel 1929 da Livio Crocetti. Riprendo proprio, come dicevo allora, da Livio Crocetti per concludere giacché da domani tornerò al lavoro mettendo dunque fine a questa mia reclusione. Ho voluto sinora accompagnarvi ogni giorno facendo conoscere fatti, personaggi e immagini, spessissimo ignoti, della Giulianova tra Sette e Novecento, con la speranza di incontrare il vostro gradimento e magari occasionare una maggiore consapevolezza del tanto che la storia ci ha consegnato. Nel ringraziare immensamente della cortese attenzione, prego a questo punto di comunicare se è gradita la continuazione di queste pillole di storia, però una sola volta a settimana in quanto non mi sarà possibile altrimenti. Sono infatti poche righe, ma implicano impegno perché serietà vuole che siano sempre frutto di accurata ricerca scientifica. Per cui mi congedo augurando il miglior bene possibile con l’esortazione affettuosa a non rinunciare alla speranza. Di cui tutti, più che mai, abbiamo ora bisogno. Grazie ancora}.
Sandro Galantini
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Quando, nell’aprile 1943, compare tra i destinatari della croce di guerra al merito per aver preso parte come caporal maggiore alla prima guerra mondiale, l’ingegner Livio Crocetti da qualche anno ha lasciato Giulianova per risiedere a Firenze con la moglie Dora Bencinanni e il figlio Luigi, nato il 23 febbraio 1929 nella città del padre e del noto nonno imprenditore di cui aveva rinnovato il nome.
Dopo la maturità classica al liceo “G. Galilei” e, sempre a Firenze, la laurea in Storia della lingua italiana, Luigi Crocetti il 1° luglio 1958 inizia la carriera di bibliotecario alla Biblioteca universitaria di Pisa. Passa quindi, il 1° gennaio 1961, alla Biblioteca Nazionale centrale di Firenze dove si occupa della classificazione collaborando con Emanuele Casamassima alla bibliografia nazionale italiana per dirigere quindi, dopo l’alluvione fiorentina del 1966, il laboratorio di restauro, grazie al giuliese divenuto uno dei migliori al mondo per impostazione scientifica e competenze tecniche.
Nel 1972, a seguito dell’uscita di Casamassima dalla Nazionale di Firenze, Luigi Crocetti si trasferisce alla Regione Toscana e diviene il primo responsabile del Servizio Beni Librari. Da quel momento inizia per lui una stagione ricca di aspettative ed opportunità. È infatti Crocetti l’ispiratore e il redattore della legge regionale n. 33 del 1976 sulle biblioteche, assunta a riferimento da altre regioni.
In Regione Toscana il giuliese lavora sino al 1985 svolgendo un’intensa attività nel campo della tutela libraria, della produzione editoriale di ambito biblioteconomico, nella promozione della biblioteca pubblica e degli interventi formativi. Crocetti, in particolare, concepisce un modello didattico formativo basato su seminari e corsi teorici e pratici che coinvolgono i partecipanti.
Nel 1985, alternandosi a Geno Pampaloni, dirige il celebre Gabinetto Vieusseux. Intanto quattro anni prima è divenuto presidente nazionale dell’AIB, Associazione Italiana Biblioteche, carica che terrà sino al 1987 per divenirne Socio d’onore nel 1988. Il 12 maggio 2005, in occasione della conferenza di primavera dell’ AIB ospitata al Grand Hotel Don Juan, Luigi Crocetti torna da protagonista nella sua Giulianova ricevendo per l’occasione dal Comune, rappresentato dal vicesindaco Francesco Mastromauro, una targa quale doveroso omaggio ad uno dei figli più illustri della città.
Il 10 marzo 2007, quattro anni dopo la scomparsa dello scultore di fama internazionale Venanzo Crocetti, suo zio in secondo grado, Luigi moriva a Firenze, celebrandosene le esequie nella chiesa di Sant’Angelo a Legnaia.
*Storico e Giornalista



Giulianova. La festa della Madonna dello Splendore del 1947

Locandina della festa della Madonna dello Splendore del 1947. Quell’anno non ci fu la corsa dei cavalli, sostituita da una gara ciclistica. Il Biglietto della tombola costava 25 lire. Venivano premiate le prime due tombole, rispettivamente con 20.000 e 10.000 lire (lo stipendio di un operaio era di circa 13.000 lire). La batteria al rientro della processione era offerta da emigrati giuliesi in America e da un gruppo di fedeli della Spiaggia. Il pomeriggio del 22 gara di calcio Giulianova – Ascoli.
Sembra di sentirlo don Alberto “… Questa festa, cara da secoli al cuore dei giuliesi, ridona ogni anno un’onda di commozione …”



Giulianova. 1939, la costruzione della Caserma dei Carabinieri

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 46.
Di Sandro Galantini
A seguito dell’Unità d’Italia i carabinieri reali, soppiantando la gendarmeria borbonica, si erano insediati a Giulianova con una luogotenenza, tra le poche istituite in Abruzzo, composta da 5 militi appiedati e altrettanti a cavallo.
Ma la caserma, ubicata nel piano superiore del grande edificio sull’attuale piazza della Libertà già dei frati minori conventuali e sin dal 1814 ceduto al Comune, da subito era apparsa inadeguata. Per le loro esigenze i carabinieri reclamavano infatti locali ulteriori rispetto a quelli esistenti costituiti da 6 camere da letto, una cucina con annesso altro vano, il deposito per il carbone e l’ufficio del comandante.
Erano stati perciò redatti, rispettivamente nel 1863 e nel ’65, i progetti per realizzare la nuova scuderia al pianterreno e per garantire l’autonomia strutturale della caserma rispetto agli uffici giudiziari pure allogati nello stabile.
Ma il piano sfumava a causa dell’opposizione dell’amministrazione giudiziaria che aveva peraltro generato un contenzioso con l’amministrazione comunale approdato al Consiglio di Stato.
La soluzione si sarebbe avuta nei primi anni ottanta dell’Ottocento allorché l’amministrazione provinciale nel 1881 acquisiva un’area municipale in via di Porta Marina per la nuova caserma, cioè l’attuale edificio su via Bindi che ospita alcuni uffici comunali.
Nei decenni a seguire la caserma, elevata a Tenenza, avrebbe ben soddisfatto le esigenze dell’Arma, trattandosi di edificio funzionale e posto in posizione nevralgica.
Tuttavia l’aumento esponenziale della popolazione nel sottostante centro valligiano, divenuto commercialmente attivissimo e che strada, ferrovia e porto avevano reso un vero e proprio epicentro dinamico trainante, rendeva ormai necessario il riposizionamento della caserma anche in vista dell’elevazione al rango di Compagnia.
A rendere possibile lo spostamento dei carabinieri al Lido, di cui il piano regolatore del 1935 prevedeva un’enorme espansione urbanistica, sarebbe stata l’iniziativa presa da Alfonso De Santis, sino al 1937 podestà di Giulianova, che unitamente ai fratelli gestiva la prospera ditta di famiglia impiantata dal defunto padre Francesco e divenuta una delle più importanti in Italia nel settore delle ferramenta.
Proprio dalla ditta De Santis partiva, il 12 aprile 1939, la richiesta al commissario prefettizio Giuseppe De Gregoris per ottenere l’autorizzazione da parte della Commissione urbanistica comunale alla costruzione della nuova caserma su progetto dell’ingegnere Giuseppe Iannetti.
L’edificio, alto quattro piani e pensato per soddisfare le esigenze presenti ma anche quelle future dell’Arma, era previsto sorgesse su un lotto di terreno dei De Santis latistante l’allora viale Vittorio Emanuele III, oggi via Filippo Turati, nei pressi del grande stabilimento industriale di famiglia.
Ottenuta l’autorizzazione, i lavori erano proceduti febbrilmente se addirittura pochi mesi dopo, il 20 settembre, i De Santis chiedevano al Comune di realizzare un marciapiede e il condotto per lo smaltimento delle acque offrendosi di sborsare 2.000 delle 5.750 lire che l’ingegner Iannetti otto giorni prima aveva quantificato per gli interventi.
Dando seguito alla richiesta, il commissario prefettizio De Gregoris, preso atto che la caserma era stata «testé costruita», con delibera del 23 settembre 1939 disponeva quindi l’affidamento dei lavori a trattativa privata, stante la necessità di concluderli prima della stagione invernale, alla ditta Cesare Albani.
Pochi mesi dopo, facendo seguito alla presa di possesso dello stabile da parte dei militi e del comandante, il primo tenente Giuseppe Vignone, la Tenenza carabinieri di Giulianova veniva elevata a comando di Compagnia.



Giulianova. 1811: il “nostro” villaggio di Cologna a Montepagano

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 45.
di Sandro Galantini*
Giulianova era stata assai penalizzata dalla riforma napoleonica che aveva ridisegnato le circoscrizioni amministrative. Con decreto del 4 maggio 1811, infatti, recependo la proposta avanzata sin dal 10 novembre 1806 dall’Intendente di Teramo Pietro de Sterlich e a nulla valendo le tardive proteste dei sindaci Giuseppe Costantini e Francesco Ciafardoni, Giulianova perdeva dopo secoli di appartenenza il villaggio di Cologna, aggregato all’allora Comune di Montepagano con i suoi 506 residenti ed il relativo territorio compreso tra il limite sud del Tordino ed il torrente Borsacchio.
Il provvedimento rimescolava le carte relativamente alla divisione in quattro parti uguali, presa il 9 giugno 1809 dalla Commissione feudale, del demanio ecclesiastico Ss. Sette Fratelli e di quelli ex feudali di Filetto, Stucco e S. Salvatore a Bozzino. Quest’ultimo era articolato a sua volta in tre estensioni di terreno in possesso di Nicola Catalano, un napoletano la cui scarsa onestà sarebbe emersa in seguito, e tutte in agro di Cologna per diverse moggia, antica misura di superficie pari a poco più di 3.300 m. quadrati.
Il primo, di 127 moggia (67 delle quali incolte), confinava ad est con la strada pubblica ed il fosso, a nord e a ovest sempre col fosso e a sud con le proprietà delle famiglie giuliesi dei Nizza e dei de Bartolomei. Il secondo, di 67 moggia (27 delle quali incolte), era confinante ad est con le proprietà dell’arciconfraternita giuliese del Monte dei Morti, a nord con le proprietà del Real Demanio nonché dei Bonaduce e dei Montani (famiglia, questa, da cui discendeva mia nonna paterna), e a sud con i possessi degli Scialletti e di Pietro Delfico.
Il terzo infine, di 46 moggia (26 delle quali incolte), confinava a est col lido del mare, a nord con le proprietà dei giuliesi Trifoni, ad ovest e a sud con gli appezzamenti dei Delfico e del Real Demanio.
Oltre a questi, a Cologna esisteva un demanio ex feudale dei duchi d’Atri, le “defense”, cioè i terreni riservati ai pascoli degli Acquaviva. Esteso circa 200 moggia, 170 delle quali incolte, l’appezzamento confinava ad est con la spiaggia, a nord con le proprietà dei camplesi Palma e del Seminario di Teramo, ad ovest con la strada pubblica e a nord con i terreni dei Palma e dei giuliesi de Bartolomei, enfiteuti dei beni di S. Salvatore a Bozzino.
Su tutti questi terreni, c’è da aggiungere, i colognesi vantavano il diritto di pascolo.
Con decisione assunta l’11 novembre 1811 da Giuseppe de Thomasis, commissario del Re per la divisione dei demani, fatti salvi i diritti dei rispettivi possessori, tutte le rimanenti terre del demanio ecclesiastico di S. Salvatore a Bozzino e di quello ex feudale venivano divise in quattro parti uguali con l’eccedenza di ognuna assegnata al Comune di Montepagano.
*Storico e Giornalista



Giulianova. IL BASTIONE DI S.FRANCESCO E L’ANGOLO SUD-OVEST DELLE MURA

di Ottavio Di Stanislao*
All’angolo sud-ovest esisteva il bastione chiamato di S.Francesco, come il rione dove era ubicato, attiguo all’omonimo convento cui alla fine del ‘700 risultava inglobato. Con la soppressione del convento, sancita dalle leggi napoleoniche del 1808, i locali furono destinati a pubbliche funzioni (comune, scuola, gendarmeria, giudicato di pace e ricevitoria dei demani) e il torrione per un lungo periodo fu compreso fra i locali adibiti ad abitazione del giudice regio insieme ad alcune stanze a piano terra dell’immobile. Nel 1833 fu preso in considerazione dal consigliere provinciale Angelo Antonio De Bartolomei per destinarlo a carcere circondariale che fece disegnare la planimetria allegata. Come si legge il diametro interno era di 23 palmi (circa sei metri), ed era collegato all’orto che poteva adibirsi a spazio (sbaglio) per l’ora d’aria per i detenuti. Nel 1868 il bastione fu oggetto di un’asta pubblica e dato a censo per un canone annuo di 40 lire. L’anno successivo l’aggiudicatario, Giovanni Trifoni, chiese la cessione di un’area adiacente per realizzarvi un’abitazione ma il Consiglio non acconsentì. Il Trifoni realizzò il suo intento circa dieci anni dopo, perché ancora nel 1878 il bastione era esistente, citato in una delibera consigliare, mentre non è più rappresentato nella planimetria catastale del 1881-82, che al suo posto, all’angolo sud-ovest, riporta la sagoma della civile abitazione evidentemente da poco costruita dal Trifoni.
Nel 1855 fu creata una nuova apertura, nei pressi del bastione di S. Francesco, per favorire la ventilazione nel rione in un periodo in cui imperversava una epidemia di colera. Circa un anno dopo il sindaco Livio De Dominicis rilevava che però si era creato un pericoloso dislivello con il sottostante fossato che occorreva colmare anche per poter usare l’apertura come passo carrabile. Ma i lavori di ricoltamento del fossato e di livellazione si protrarranno per molto tempo. Nell’altra planimetria, del 1861, si vede indicata con la lettera A “La porta del paese detta di S. Francesco” e con la lettera C “Torrione detto Bianco”. La cartolina (proveniente dalla ricchissima collezione di Jonata Di Pietro) mostra la Via delle fiere, costruita sul riempimento del fossato ad ovest delle mura e al centro il torrione “il Bianco”.
*Funzionario Archivista