SABRINA EVANGELISTA E L’ANPI DI MONTORIO AL VOMANO

Sabrina Evangelista a Pietralta (Valle Castellana)

Sabrina Evangelista con Graziano Fabrizi

Sabrina Evangelista, classe 1986, i cui natali provengono dal borgo di Poggio Umbricchio (Crognaleto),
nel cuore del distretto Gran Sasso e Monti della Laga, ricopre il ruolo di Presidente della sezione A.N.P.I.
di Montorio al Vomano “Donato Di Giammarco e Giuseppe Valentini” dal 2016. All’interno
dell’associazione, la più numerosa e la prima, in ordine di tempo, ad essere stata costituita in Provincia di
Teramo, è la prima donna a rivestire tale ruolo. Infatti, a soli 29 anni accetta un incarico oneroso. Non
solo quello di portare avanti la memoria storica e civile della lotta di Resistenza. Ma, è riuscita, in pochi
anni, a farsi largo in un ambiente, per decenni, gestito per lo più da uomini e conquistare la stima, l’affetto
e il riconoscimento dei cittadini e delle cittadine montoriesi, restituendo la giusta reputazione ad
un’associazione importante e prestigiosa, ma troppo spesso ostaggio della retorica ideologica e
celebrativa.
Nel tempo, ha creato e consolidato un stretta rete di collaborazioni con enti di ricerca, università, scuole e
istituzioni. Portando a Montorio al Vomano personalità importanti del mondo della cultura. Tante, infatti,
le iniziative culturali portate avanti in questi anni. Spettacoli teatrali, proiezioni di film, convegni,
seminari, concorsi artistici e letterali. Tutte manifestazioni gratuite, aperte al pubblico, condivise con gli
studenti e con una forte attrattiva su tutta la Provincia. Molteplici le tematiche affrontate, sia a livello
storico che di stretta attualità, con un taglio prettamente scientifico e con una vocazione didattico ed
educativa, improntata a diffondere i valori costituzionali. Oggi, la sezione A.N.P.I. di Montorio al
Vomano, con un percentuale di iscritti superiore a duecento unità, può essere annoverata, infatti, fra le
associazioni più attive, conosciute e riconosciute della provincia teramana.
Madre, laureata a pieni voti in Scienze della Comunicazione, Sabrina Evangelista, attenta conoscitrice del
territorio, ha unito la naturale passione per la storia e le materie umanistiche all’associazionismo, creando
un team di volontari e volontarie, con una alta percentuale di donne, con l’obiettivo di parlare del passato,
di tramandare la memoria storica contemporanea europea, nazionale e territoriale, ma con uno sguardo sul
presente e all’antropologia del territorio. Il lavoro portato avanti, con entusiasmo e caparbietà, sta,
d’altronde, contribuendo notevolmente a riportare vivacità, elaborazione critica del pensiero e senso di
comunità in una realtà territoriale sensibilmente provata, prima dal sisma ed attualmente dalla pandemia.
La Presidente risulta essere, dunque, una valida risorsa per la proposta e il supporto di una progettualità
culturale, che non riguarda solo le istituzioni locali, ma potrebbe fare da capofila ad una vera e fattiva
collaborazione fra tutte le realtà associative comunali e non solo.
La volontà di costruire un percorso culturale, che parli di memoria, tradizioni, valori, luoghi e includa
una molteplicità di possibilità espressive, che siano artistiche, storiche, antropologiche, rappresenterebbe
un trampolino per il rilancio del patrimonio storico e memoriale dell’entroterra teramano.
Sabrina Evangelista, nonostante la giovane età, è un esempio di maturità e consapevolezza. La
consapevolezza di saper guardare al presente, ma sapendo a quale passato e a quali valori si appartiene e
su quelle idee di altruismo, di solidarietà, di rispetto e di aspirazione alla libertà, tanto care a quei
ragazzi/e partigiani/e, e costruire dei circuiti di conoscenza che servano per riallacciare un senso di
insieme e siano al servizio di tutta la nostra comunità.
Pubblicato già su La Città, quotidiano di Teramo, del 25 aprile 2021

pietro.serrani@tin.it




25 aprile: il Comune di Giulianova ricorda i giuliesi Poltrone ed Alleva, morti per mano nazista e la Garro, vittima dei bombardamenti degli alleati

 

Commemorazione Flaviano Poltrone

Oggi 25 aprile, in occasione dell’Anniversario della liberazione d’Italia,
il Comune di Giulianova ha voluto ricordare, in una commemorazione
simbolica dovuta alle restrizioni dell’emergenza sanitaria, i giuliesi
Flaviano Poltrone, Vincenzo Alleva (nato a Nocella di Campli e in seguito
trasferitosi a Giulianova) uccisi per mano nei nazisti e Maria Teresa
Garro (nata a Mazzarino), il simbolo delle donne morte sotto i
bombardamenti degli alleati.

commemorazione Vincenzo Alleva

Commemorazione Maria Teresa Garro

Alla loro memoria, questa mattina, nel cimitero monumentale di Giulianova,
la vice sindaco Lidia Albani ha deposto dei fiori, ornati con il
tricolore, ai piedi delle loro tombe mentre il ricercatore giuliese Walter
De Berardinis ha portato il saluto istituzionale dei sindaci di Mazzarino
e Campli e dell’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra.

“Oggi, giorno in cui festeggiamo la liberazione d’Italia dall’occupazione
nazista e dal regime fascista, abbiamo voluto ricordare a futura memoria
tutti coloro che hanno combattuto per la conquista della libertà e la
storia di tre giuliesi, vittime degli orrori della Seconda Guerra Mondiale
– dichiara la vice sindaco Albani – tra di loro, per la prima volta,
commemoriamo la figura di Maria Teresa Garro, simbolo delle donne morte
dotto i bombardamenti degli alleati. I nostri più sentiti ringraziamenti
al ricercatore storico Walter De Berardinis che, ancora una volta, ha
messo la sua conoscenza a disposizione della comunità e che lavora
incessantemente affinché non si perda la memoria di questi concittadini.
Ci tengo a ringraziare anche i sindaci di Mazzarino e Campli, Vincenzo
Marino e Federico Agostinelli, per averci inviato una missiva con la quale
hanno espresso amicizia e fratellanza alla nostra città, in ricordo dei
concittadini Alleva e Garro e l’Associazione Nazionale Vittime Civili di
Guerra che, anche in questa occasione, non hanno fatto mancare un
messaggio di cordoglio per il ricordo dei civili giuliesi morti durante le
due guerre mondiali”.

Di seguito le biografie di Flaviano Poltrone, Vincenzo Alleva e Maria
Teresa Garro.

Flaviano Poltrone

Flaviano Poltrone nasce a Giulianova il 4 luglio 1887, nella casa posta in
Via per Mosciano al civico 29, da Domenico (proprietario agricolo) e
Teresa Castorani. Il 20 aprile 1907 viene giudicato idoneo al servizio di
leva nel distretto militare di Teramo e il 19 ottobre viene chiamato alle
armi nel 56° Reggimento Fanteria – Brigata “Marche”. Il 9 settembre 1909
viene congedato nel deposito di Teramo del Reggimento Fanteria Genova e il
30 ottobre ottiene il visto per l’espatrio in America. Il 12 novembre
parte da Napoli con la nave Konig Albert ed arriva a New York il 25
novembre. Il 14 agosto 1911 viene dispensato dall’istruzione militare
perché all’estero con regolare nulla osta. Il 31 luglio 1915, all’indomani
dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, non si presenterà al distretto
militare di Teramo e il 6 settembre viene dichiarato disertore. Finita
l’avventura americana, torna in Italia e si sposa il 21 aprile 1924 a
Castellalto (TE) con Angeladea Fidanza (6 giugno 1891/23 dicembre 1975).
La coppia andrà a vivere sulla strada Nazionale per Teramo al civico 73
(oggi Via Mulino da Capo). Il 12 giugno 1944, alle ore 20,00, durante la
ritirata delle forze tedesche sulla dorsale adriatica, un soldato tedesco,
nel tentativo di requisire il suo cavallo, estrasse la sua pistola
uccidendolo (altre fonti parlano di alcuni fendenti per finirlo) per
essersi rifiutato di consegnare o negare di avere un cavallo. Moriva così
Flaviano all’età di 57 anni. Si deve al lavoro degli storici locali, tra
cui il ricercatore storico Walter De Berardinis il ricordo della sua vita
e della tragedia che lo colpì.

Vincenzo Alleva

Sempre grazie alla ricerca storica di De Berardinis possiamo ricostruire la
vita di Vincenzo Bruno Mario Alleva, figlio di Paolo e Vittoria Iaconi,
nato a Nocella di Campli (TE) il 27 novembre 1914. Si trasferisce a
Giulianova il 10 maggio 1923 e si stabilisce con la famiglia prima in Via
Quarnaro e successivamente in Viale Vittorio Emanuele III (oggi Via Turati
– SS16). Dal 1 aprile 1935 al 31 agosto 1936 farà il servizio di leva nel
9° Reggimento Bersaglieri a Zara. Il 13 maggio 1939 emigra a Roma con la
moglie, Igina Buccella, di Cugnoli di Campli, sposata a Giulianova il 4
settembre 1935 nella Chiesa della Natività di Maria Vergine da Don
Raffaele Baldassarri. Vincenzo, a Roma, è impiegato come operaio per il
Genio militare Marittimo e ritarda la chiamata alle armi. Il 28 agosto
1941 viene richiamato in guerra come pilota di carrarmati con il grado di
Sergente. Dopo i noti fatti dell’8 settembre 1943, Vicenzo rientra a
Giulianova con tutta la famiglia il 28 settembre. Sfollato in località
Convento di Mosciano Sant’Angelo, la mattina del 10 gennaio 1944, con un
carretto, si recherà a Giulianova lido nel tentativo di recuperare alcuni
suppellettili. Nel risalire Via XXIV maggio, nei pressi di una curva a
gomito dove persiste la ex fabbrica di liquori e confetti “Orsini”, Alleva
taglierà o raccoglierà un filo del telefono per legare le masserizie. Un
soldato della Wehrmacht, appostato sul belvedere della città, lo segnalerà
agli altri commilitoni per poi farlo arrestare. Portato dentro il comando
tedesco di Villa Migliori, nella parte alta della città, verrà interrogato
e subito condannato alla fucilazione, nonostante le suppliche del
prigioniero. Alle 16,30 verrà fucilato e sotterrato nei pressi della
stessa villa. Aveva 29 anni. Sarà il Commissario straordinario, Col.
Giovanni Piccinini, implorato dai familiari, a trattare con i tedeschi per
il recupero del corpo che avvenne probabilmente il 12 gennaio, quando alle
or 11,00 si presenterà in Comune per dichiarare la morte di Alleva
l’imprenditore giuliese, Luigi Iaconi, alla presenza di due testimoni. I
funerali, sempre da documenti vergati dall’arciprete Tito Nespeca del
Duomo di San Flaviano, furono fatti il 14 gennaio.

Alla fine della guerra, il 18 luglio 1945, alla memoria gli fu concessa la
Medaglia di Bronzo al Valor Militare.

Maria Teresa Garro in Abbondanza

Maria Teresa Garro nasce a Mazzarino in provincia di Caltanissetta il 29
gennaio 1899, in Via Collegio, da Sebastiano e Luigia Iannelli (trasferiti
ad Ascoli Piceno). Sposata con Leonida Abbondanza, avrà dei figli.
Trasferita a Giulianova, inizierà l’attività d’insegnamento dal 18 maggio
1934 quando prende alloggio in Piazza Roma e successivamente in Via Thaon
De Revel, 5. La sera del 5 novembre 1943, alle ore 20,30, una serie di
bombardieri attaccano, per la prima volta, la parte alta della città. Il
bilancio sarà pesante: 2 morti e 3 feriti. Maria Teresa Garro muore
all’età di 44 anni nei pressi dell’androne di una casa in Via Migliori
(davanti l’attuale palestra dello stadio Rubens Fadini) e Michele
Splendiani, 50enne, abitante in Via Cupa (oggi parcheggio dello stadio).
Il giorno successivo, tra la paura generale di ulteriori bombardamenti,
furono fatti i funerali nel Duomo di Giulianova dall’Arciprete Tito
Nespeca.

Complessivamente i morti civili di Giulianova per bombardamento e
mitragliamento aereo furono 23 (10 donne) e 46 feriti; mentre tra i
militari si contarono 3 italiani (RSI) e 24 soldati della Wermacht. Oggi,
dopo quasi 78 anni, persiste intatta la lapide del loculo con il seguente
epitaffio: “fatale bellico ordigno strappo anzi tempo, Maria Garro in
Abbondanza, all’amore dei figli e del marito”. Per tali motivi il delegato
dell’I.N.G.O.R.T.P., Walter De Berardinis, ha fatto richiesta
all’amministrazione comunale di conservare il loculo e la lapide a futura
memoria come reale testimonianza di quei tragici giorni.




Montorio al Vomano. ANPI: strade della liberazione

In occasione delle celebrazioni per il 76° anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, la sezione A.N.P.I. di Montorio al Vomano “Donato Di Giammarco e Giuseppe Valentini”, all’interno della manifestazione “Aspettando il 25 aprile…” 76 anni di libertà e democrazia in Italia, dedicato a Memoria resistente. I luoghi, le immagini, i protagonisti dell’antifascismo a Montorio al Vomano, aderisce all’iniziativa, a cura dell’A.N.P.I. Nazionale, Strade di Liberazione.

Domenica 25 aprile dalle ore 16.00 tutti/e i cittadini/e, nel rispetto della normativa contro il contrasto alla diffusione della pandemia da Sars Cov – 2, sono invitati, su tutto il territorio nazionale, a deporre un fiore sotto le targhe di vie e piazze dedicate ad antifascisti/e e partigiani/e.

Un fiore che diverrà una luce accesa sul sacrificio di tante donne e tanti uomini da cui sono nate la Repubblica e la Costituzione.

Le vie e le piazze di Montorio al Vomano interessate sono:

 

Via Giacomo Matteotti

Via Antonio Gramsci

Via Poliseo De Angelis

Piazza Ercole Vincenzo Orsini

Corso Giuseppe Valentini

Via Donato Di Giammarco

Corso Giuseppe Urbani

Via Giuseppe De Dominicis

Monumento ai fucilati del cimitero Antosa Regolo, Astolfi Corradino, Di Donato Isidoro, Marini Michele.

 

Raduno distanziato alle ore 16.00 presso il Monumento ai Caduti partigiani combattenti, per poi procedere a gruppi ristretti (max 3 persone) senza formare assembramenti e cortei.

Sulla pagina Facebook della sezione saranno disponibili, a partire dal 25 aprile, due lavori, finanziati dall’A.N.P.I. Montorio al Vomano, del regista Ivan D’Antonio, il cortometraggio “Io corro veloce”, ispirato ai fatti della Resistenza montoriese e una raccolta di testimonianze video sugli anni della dittatura e della Resistenza, prima fase di un lavoro di ricerca storica sulla memoria e l’antifascismo a Montorio al Vomano.

 

 

                                                                                            Presidente A.N.P.I. Sezione Montorio al Vomano

                                                                                             “Donato Di Giammarco e Giuseppe Valentini”

                                                                                               Dott.ssa Sabrina Evangelista




Giulianova. Comunicato unitario per il 25 aprile.

FOTO ARCHIVIO 2013. Celebrazione 25 aprile 2013

In questa giornata, dall’anno 1946, si ricorda la Liberazione d’Italia dal governo fascista e dall’occupazione nazista del paese e si celebra l’anniversario della Resistenza; una festività dedicata anche al valore dei Partigiani di ogni fronte che, a partire dal 1943, contribuirono al liberare l’Italia.

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Fu, nel contempo, una guerra di liberazione contro gli invasori (i nazisti tedeschi) e una guerra civile (contro il collaborazionismo dei fascisti italiani). L’azione della Resistenza fu coordinata dai Comitati di Liberazione Nazionali (CLN), il primo dei quali sorse a Roma il 9 settembre 1943, mentre il Re e Badoglio fuggivano. Le formazioni partigiane si distinguevano per orientamento politico: vi erano le brigate Garibaldi (comuniste), le Matteotti (socialiste), quelle di Giustizia e Libertà (Partito d’Azione) e le numerose organizzazioni cattoliche, un innesto di correnti ideali diverse e complementari tra loro, destinate a permeare la cultura novecentesca e il primo quarto del XXI° secolo, i cui protagonisti furono capaci di guidare la Ricostruzione.

Con questo comunicato, vogliamo rammentare queste pagine storiche e dedicarle innanzitutto alle numerose famiglie, anche giuliesi, che hanno perso i loro cari in quegli anni bui e tremendi, rivolgendoci alle nuove generazioni perché sappiano e non dimentichino mai quali siano state le origini della nostra Democrazia.

Maggiormente in questo tempo che viviamo, alle prese con una spietata emergenza sanitaria che colpisce le nostre comunità e soprattutto tanti anziani, memoria storica della società, c’è la necessità di reagire, di far vivere lo spirito e la forza di unaNuova Resistenza, per sconfiggere e liberare il Paese dalla pandemia, risolvere presto ed in modo positivo le aumentate disuguaglianze sociali, ridare fiducia e slancio al nostro Paese, salvaguardando prima di tutto la salute dei cittadinie, con saggezza e lungimiranza, produrrele migliori risposte alle esigenze del tessuto socio-economico e culturale, senza futili ed egoistiche strumentalizzazioni al solo scopo di conseguire facili consensi elettorali.

La ricostruzione del nostro Paese passa attraverso l’impegno di tutti, nessuno escluso, ed oggi più che mai, vogliamo dire a tutti che i valori della nostra Costituzione e quelli della Guerra di Liberazione, costituiscono il punto di riferimento fondamentale per la nostra società, comprensibilmente scossa da paura e smarrimento, da cui al più presto dobbiamo uscirne. W il 25 aprile!!

Il Cittadino Governante, Movimento 5 Stelle, Rifondazione Comunista, Articolo Uno, Partito Comunista Italiano, Sinistra Italiana, Partito Socialista Italiano, Indipendenti di Sinistra.       

 




Conferenza streaming: “Mine e ordigni bellici inesplosi- L’Educazione al rischio per le popolazioni civili”

L’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra, Ente Morale preposto per legge in Italia alla rappresentanza e tutela delle vittime civili di guerra, e l’Istituto d’Istruzione Secondaria Superiore “Giulio Cesare” di Bari hanno organizzato per il 26 aprile la conferenza streaming: “Mine e ordigni bellici inesplosi- L’Educazione al rischio per le popolazioni civili”. L’incontro avrà inizio alle ore 10,00 e terminerà alle 12, 30. L’evento sarà aperto dai saluti della Dirigente Scolastica, Prof.ssa Giovanna Piacente. I relatori saranno: il Dott. Michele Corcio Vice Presidente Nazionale ANVCG; il Rag. Luigi Nacci Presidente Provinciale; la prof.ssa Silvia Luminati dell’Osservatorio Centro di Ricerche sulle vittime dei conflitti nel mondo; la prof.ssa Santa Vetturi in rappresentanza del Dipartimento Ordigni Bellici Inesplosi dell’ANVCG; l’Avv. Gianfranco Ferrante, rappresentante del Comitato Regionale Puglia della Croce Rossa; il Dott. Vito Alfieri Fontana, già Direttore delle operazioni di sminamento in Bosnia organizzate e finanziate dal Governo Italiano. L’incontro sarà moderato dalla professoressa Tiziana Piscitelli e aperto al dibattito con tutti gli studenti del triennio per i quali la conferenza si configura come significativa e imprescindibile formazione civica.




ANPI. “Aspettando il 25 aprile…” 76 anni di libertà e democrazia in Italia, giunta alla sua IV° edizione, dedicata alla “Memoria resistente. Luoghi, immagini e personaggi dell’antifascismo a Montorio al Vomano”.

25 APRILE Locandina 2021 social

La sezione A.N.P.I. di Montorio al Vomano “Donato Di Giammarco e Giuseppe Valentini”, in occasione del settantaseiesimo anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, presenta
l’iniziativa, “Aspettando il 25 aprile…” 76 anni di libertà e democrazia in Italia, giunta alla sua IV° edizione, dedicata alla “Memoria resistente. Luoghi, immagini e personaggi dell’antifascismo a Montorio al Vomano”.
L’intento, in questo anno di pandemia così lungo ed estenuante per tutta la comunità, è di riannodare i fili delle storie, dei luoghi e dei personaggi dell’antifascismo montoriese. Eventi legati alla Resistenza in Provincia di Teramo, come l’omicidio di Ercole Vincenzo Orsini e l’eccidio di Pietralta, dove furono giustiziati, dai nazifascisti, appena ventenni e dopo una delazione, il 17 aprile del 1944, Donato Di Giammarco e Giuseppe Valentini. Due partigiani di Montorio al Vomano, ai quali è intitolata la nostra sede e due importanti vie cittadine. Non a caso abbiamo deciso di riportare in locandina i volti di antifascisti/e e partigiani/e di Montorio al Vomano, perché è nostro dovere non dimenticare chi ha lottato per restituire la libertà, la dignità e immaginato e costruito un nuovo inizio di democrazia e benessere per il nostro paese.
Gli eventi in programma ricorderanno il 17 aprile, sulla nostra pagina FB, i nostri caduti partigiani montoriesi. Mentre, il 25 aprile, sempre sul nostro canale social  FB, verrà postato il cortometraggio “Io corro veloce” , regia di Ivan D’Antonio. Musica di Alessia Martegiani. “Una storia liberamente ispirata ai fatti della Resistenza che hanno coinvolto partigiani montoriesi o che sono avvenuti nel nostro paese. La battaglia di Bosco Martese, l’uccisione di Ercole Vincenzo Orsini e l’eccidio di Pietralta, momenti forti e drammatici del nostro passato di cui non dobbiamo perdere memoria. Tocca a noi tramandare queste storie alle nuove generazioni” (testo del regista).
Nel pomeriggio, invece, partirà  l’iniziativa, a cura dell’A.N.P.I. Nazionale, “Strade di Liberazione”, in cui tutti/e i cittadini/e, nel rispetto della normativa contro il contrasto alla diffusione della pandemia da Sars Cov – 2, sono invitati, su tutto il territorio nazionale, a deporre un fiore sotto le targhe di vie e piazze dedicate ad antifascisti/e e partigiani/e. Un fiore che diverrà una luce accesa sul sacrificio di tante donne e tanti uomini da cui sono nate la Repubblica e la Costituzione.

Nei giorni 17/18/24 aprile, dalle ore 10,00 alle ore 13,00, saremo presenti, presso piazza E. V. Orsini, per le giornate del tesseramento 2021, per chiunque voglia rinnovare la sua adesione o diventare nuovo sostenitore dell’antifascismo.

Presidente A.N.P.I. Sezione Montorio al Vomano

                                                                              “Donato Di Giammarco e Giuseppe Valentini”




UNA READING PUBBLICA PER I CENTO ANNI DI GILBERTO MALVESTUTO

100 anni Gilberto Malvestuto

 

Compirà 100 anni domani, 17 aprile 2021, Gilberto Malvestuto, l’ultimo ufficiale in vita della Brigata Maiella. Ufficiale al Merito della Repubblica italiana e combattente per la libertà, Malvestuto è stato insignito di Croce di guerra al Valore Militare per la sua condotta nella Guerra di Liberazione, suggellata dall’ingresso trionfale nella città di Bologna all’alba del 21 aprile 1945, primo italiano tra i soldati degli eserciti Alleati.

 

In virtù del profondo legame con la città di Sulmona, alla quale Malvestuto è sempre stato profondamente legato, la Fondazione Brigata Maiella ne celebra i 100 anni attraverso un evento pubblico ,organizzato on line, che vedrà la partecipazione degli studenti dell’Istituto Comprensivo “Mazzini-Capograssi” di Sulmona e dell’Istituto “Ovidio”, coordinati dalle professoresse Daniela La Civita e Gelanda Martorella. In un’ideale staffetta che vuole simboleggiare la trasmissione della memoria da uno degli ultimi testimoni diretti degli anni bui ed eroici del 1943-1945 alle nuove generazioni, gli studenti leggeranno passi del libro di memorie di Gilberto Malvestuto (Sulle ali della memoria, per non dimenticare, Amministrazione provinciale dell’Aquila, 2010) e sue testimonianze rilasciate nel corso degli anni, unitamente ad alcuni brani significativi sulla Resistenza.

 

La prima ribellione di Malvestuto, una reazione contro l’ammaestramento delle parole e del pensiero imposto dal fascismo, nasce tra banchi dell’Istituto magistrale, che frequenta accanto all’amatissima Leda Comitis, sua futura compagna, proveniente da una nota famiglia antifascista di Sulmona. La comunanza affettiva e di ideali socialisti con Leda lasciano un segno indelebile nella formazione di Malvestuto e lo muoveranno anche in seguito vero i valori dalla Resistenza.

L’8 settembre è a Montepulciano Scalo, appena nominato sottotenente, per l’espletamento del servizio di prima nomina. Interrotti i collegamenti del Comando con Siena, in assenza di ordini superiori, egli rimane consegnato in caserma con il suo Battaglione per poter sostenere un eventuale attacco della Wermacht, che intanto si accinge ad occupare militarmente l’Italia centro-settentrionale. Solo attorno al 12-13 settembre arriva l’autorizzazione ad abbandonare il presidio. Con altri ufficiali rimasti in zona e una licenza straordinaria “in attesa di disposizioni”, Malvestuto si mette in viaggio per rientrare in Abruzzo. Abbandonata l’uniforme di ufficiale dell’esercito italiano, fortunosamente raggiunge la città natale dove passa, alla macchia, i nove mesi successivi.

Quando nel giugno del 1944 la Banda Patrioti della Maiella valica il massiccio omonimo e dilaga nella vallata peligna mettendo fine all’occupazione nazi-fascista, Gilberto sceglie per la seconda volta la strada della ribellione con l’adesione alla Resistenza. La sua è di nuovo una scelta morale: a 23 anni avrebbe potuto tornare a vivere liberamente, avendo intanto sostenuto e vinto un concorso pubblico nazionale per la qualifica di alunno d’ordine di stazione. Eppure decide di combattere per la “liberazione dei fratelli del Nord”, aderendo all’appello lanciato da Ettore Troilo, a cui resterà legato, anche nel dopoguerra, in un rapporto di stretta collaborazione basato su una profonda stima reciproca.

Raggiunta la Maiella a Recanti, Malvestuto si arruola con il grado di sottotenente e viene assegnato alla Compagnia Pesante mista. Dalla fine di ottobre 1944 prende parte ai combattimenti sostenuti in Romagna e in Emilia per la liberazione di Monte Castellaccio, Brisighella, Monte Mauro, Monte della Volpe, Monte della Siepe. Trascorre il lungo inverno del ’44 sul Fiume Senio, sul Lamone, sul Fiume Indice, fino alla radiosa primavera che lo vede protagonista della liberazione di Castel San Pietro alla testa della sezione Mitraglieri. La stessa, integrata da un plotone della 1° Compagnia Fucilieri, libererà Bologna intanto insorta contro le forze tedesche e fasciste il 21 aprile 1945.

Tra le pagine più dolorose del suo Diario di guerra, la perdita di Oscar Fuà, studente diciassettenne di Sulmona, caduto a Brisighella e quella del Capitano Mario Tradardi, la mattina del 17 dicembre 1944 a monte Mauro, di cui Malvestuto vorrà portare il feretro a spalla. Tra le pagine più luminose, la solidarietà della popolazione di Modigliana, che lo ospita con i Maiellini la notte di Natale del 1944 e quella dei Bolognesi, di cui ha sempre ricordato il festoso abbraccio al termine della lunga avanzata lungo la Via Emilia.

“I nomi di battaglia non contavano nella Maiella”, ha raccontato Malvestuto a Gad Lerner nella lunga intervista rilasciata lo scorso aprile per la trasmissione “la Scelta”, noi combattevamo a viso aperto.

La terza ribellione nei 100 anni di Gilberto Malvestuto è quella profusa nell’impegno e nella testimonianza civile, soprattutto in veste di Presidente e membro del Direttivo dell’Istituto Abruzzese per la storia della Resistenza e dell’Italia contemporanea.

“I Cento anni di Gilberto Malvestuto – afferma il Presidente della Fondazione Brigata Maiella, Nicola Mattoscio – ci richiamano alla nostra visione del mondo, all’immagine di avvenire che ciascuno di noi intende impegnarsi a costruire. Avere memoria, infatti, non significa solo conoscere gli eventi del passato, ma anche costruire il futuro sulla base delle idealità che Gilberto e i Maiellini hanno seminato nella mentalità e nella coscienza civile di tutti noi”.

 

 

 




PARTIGIANE LIBERALI. ORGANIZZAZIONE, CULTURA, GUERRA E AZIONE CIVILE

 

Partigiane liberali

Sarà presentato venerdì 16 aprile 2021, nel corso di un evento pubblico organizzato on line dalla Fondazione Brigata Maiella, il volume di Rossella Pace, Partigiane liberali. Organizzazione, cultura, guerra e azione civile (Rubbettino, 2020). La presentazione è inserita nella Rassegna “Questione di Resistenze”, che vuole favorire la conoscenza dei più aggiornati prodotti della ricerca storica sui fenomeni plurali delle Resistenze.

 

Costruito sulla base di documenti inediti, in larga parte provenienti da archivi familiari privati, il libro Partigiane liberali. Organizzazione, cultura, guerra e azione civile (Rubbettino 2021) muove dall’analisi della variegata e cospicua letteratura dedicata alla Resistenza negli ultimi trent’anni. Dagli anni Novanta in poi – afferma l’autrice – la trattazione della guerra partigiana è uscita lentamente dal doppio binario della memorialistica ufficiale, per lo più relegata ad una narrazione non divisiva, e dalla ricostruzione fortemente ideologizzata, dominata dalla matrice socialcomunista.
Nel dibattito storiografico si sono progressivamente messe in evidenza la varietà e la conflittualità dello schieramento antifascista, ma è stato scarsamente riconosciuto l’apporto politico e militare delle componenti afferenti alle idealità cattolica, monarchica e liberale.
A questa “anomalia” storiografica Partigiane liberali si propone di dare un nuovo contributo, evidenziando i fili di una trama che descrive la partecipazione, a lungo sottaciuta, dei liberali alla lotta di Liberazione. E lo fa offrendo particolare attenzione all’attività svolta delle figure femminili.

Il ruolo della donna tra il 1943 e il 1945, anch’esso riscoperto tra vuoti di varia natura a partire dagli anni Novanta, richiede, infatti, una più attenta valutazione nell’apprezzamento della complessità di un’azione che si mosse instancabilmente tra scena politica e vita quotidiana, tra Resistenza “civile” e Resistenza militare.

Mediante un’accurata ricostruzione documentale, il libro di Rossella Pace apre uno spaccato sui salotti di alcune famiglie dell’élite borghese settentrionale di consolidata tradizione antifascista: realtà già propense alla figura di potenti matriarche, dove “Partigiane liberali”, forti, indipendenti, dotate di senso del dovere e di una naturale adesione all’ideale della libertà contro ogni oppressione, vennero cooptate automaticamente nell’attività resistenziale finendo per svolgere un ruolo di primo piano nell’organizzazione, nel coordinamento e nella direzione della lotta al nazi-fascismo. Lungi dall’essere indifferenti all’impegno corale per la riaffermazione della democrazia, le donne liberali – è questo il tema centrale del libro – fornirono uno dei contributi più rilevanti tra le varie famiglie politiche italiane.

Virginia Minoletti Quarello, attiva tra Genova e Milano, organizzò il servizio il trasporti di materiali logistici e di armi del CLNAI, per poi entrare nel comando del Corpo volontari della libertà e diventare una dirigente dell’organizzazione Franchi (la corposa formazione guidata da Edgardo Sogno); Cristina Casana fece della villa di famiglia una delle basi logistiche e di comunicazione della stessa organizzazione Franchi, ospitando una stazione radio e offrendo rifugio a partigiani alla macchia, ricercati ed ebrei in fuga; Maria Giulia Cardini divenne capo cellula di una missione militare alleata tra la valle di Susa e la val Pellice.

I loro nomi e quelli di molte altre “Partigiane liberali”, non solo andrebbero sottratti all’oblio storiografico, ma rappresentano altrettanti fulcri da cui poter rintracciare una nuova e più dettagliata mappa della strutturata rete partigiana liberale. “Probabilmente causa dei problemi affrontati dalla compagine liberale nel dopoguerra, per le dinamiche interne al partito nonché per una certa forma di autoesclusione ascrivibile alle stesse protagoniste – afferma Rossella Pace – questi nomi sono rimasti finora celati”.

 

Dopo i saluti introduttivi del Presidente dalla Fondazione Brigata Maiella, Nicola Mattoscio e dell’editore Florindo Rubbettino, discuterà con l’autrice, Eugenio Capozzi, professore ordinario di storia contemporanea presso la facoltà di lettere dell’Università degli Studi di Napoli “Suor Orsola Benincasa”. L’evento sarà visibile il 16 aprile 2021 dalle ore 17.30 sul profilo Facebook della Fondazione Brigata Maiella al seguente link https://www.facebook.com/Fondazione-Brigata-Maiella-1594887637406894

 

Rossella Pace è segretario generale dell’Istituto storico per il pensiero liberale internazionale. Si è occupata di storia del liberalismo, di Resistenza, di storia sociale e di relazioni diplomatiche. Oltre a vari saggi ed articoli su riviste specialistiche ha pubblicato il volume La resistenza liberale nelle memorie di Cristina Casana (Rubbettino, 2018).

Eugenio Capozzi è professore ordinario di storia contemporanea presso la facoltà di lettere dell’Università degli Studi di Napoli “Suor Orsola Benincasa”. È autore di numerosi studi, tra i quali: Il sogno di una Costituzione (2008), Partitocrazia (2009), Storia dell’Italia moderata (2016), Politicamente corretto, storia di un’ideologia (2018).

 




L’Aquila. “IL PRIGIONIERO DIMENTICATO”. Il nuovo libro di Serpentini e Di Giovanni sulla prigionia di Enrico Sappia a Castel dell’Ovo di Napoli

di Goffredo Palmerini

Enrico Sappia

L’AQUILA – E’ uscita in questi giorni per i tipi di Artemia Nova Editrice l'ultima fatica degli studiosi
Elso Simone Serpentini e Loris Di Giovanni dal titolo “Il prigioniero dimenticato. La detenzione di
Enrico Sappia a Castel dell'Ovo (1850-1854)”. Nella precedente biografia di Enrico Sappia, cospiratore
e agente segreto di Giuseppe Mazzini, scritta a quattro mani da Elso Simone Serpentini e Maurice
Mauviel, alla detenzione del “nizzardo errante” nel carcere napoletano di Castel dell'Ovo è dedicato il
secondo capitolo, per un totale di cinquantatre pagine. Viene descritto sommariamente un arco di vita
di poco meno di quattro anni, da quando Sappia non aveva ancora compiuto 18 anni, a quando ne
stava per compiere 22, dal dicembre 1850 al febbraio 1854. Ulteriori ricerche condotte da Serpentini
e Di Giovanni presso l'Archivio di Stato di Napoli e in altri archivi, tra cui quello privato Damiani di
Palermo, hanno consentito di scandire con maggiori dettagli e con più minute informazioni questa
detenzione napoletana di un personaggio singolare, la cui vita avventurosa attraversa per lungo tratto
gli accadimenti più significativi della seconda metà dell'Ottocento e lo porta a contatto diretto con le
maggiori personalità italiane ed europee del proprio tempo.

Enrico Sappia

Nell’introduzione citata alla biografia di Enrico Sappia si rimarcava che più si investigava su questo
misterioso personaggio – un lungimirante intellettuale che aveva messo il suo genio al servizio di un
ideale repubblicano mosso da una democratica visione dell’Europa – più cresceva il desiderio di
conoscere meglio la sua personalità, per molti versi sfuggente, in quanto volutamente tenuta nascosta
ai curiosi. L’analisi dettagliata dei documenti relativi alla sua detenzione a Castel dell’Ovo e dei nuovi
documenti rinvenuti conferma la segnalata impressione e porta gli autori di questo volume ad
esprimere la soddisfazione per la riuscita del tentativo di mettere in luce molti aspetti di un periodo
cruciale della vita tumultuosa di Sappia, determinante per la formazione del suo carattere, di cui negli
anni successivi si avrà un'espressione ancora più articolata.

Enrico Sappia

Il contributo ad una maggiore conoscenza del personaggio Sappia, così come esso si viene formando
nell'età giovanile, viene soprattutto dai rapporti della polizia borbonica, dai suoi scritti vergati durante
la detenzione, specie quelli poetici, dai suoi comportamenti in carcere, alla continua ricerca di un
modo, sempre assai scaltro, di rendere più tollerabile la detenzione. Mentre altri detenuti, anche di
rilevante notorietà, ebbero a soffrire a Castel dell'Ovo pene e sofferenze indicibili, il giovane Sappia,
pressoché imberbe, seppe ricorrere ad una incredibile serie di stratagemmi per alleviare le sue
sofferenze con una proteiforme capacità di simulazione e di adattamento. Giocò con la polizia
napoletana e con i suoi carcerieri con grande astuzia, promettendo rivelazioni in cambio di trattamenti
più benevoli, concedendone alcune, vere ma mischiate ad altre false e incredibili, al solo scopo di
rendersi “appetibile” agli occhi di chi era abituato a servirsi delle confidenze dei carcerati, estorte in
vari modi, non esclusa la tortura o la minaccia di tortura, per avviare sempre nuove istruttorie e nuove
carcerazioni.

Henri Sappia

Anche riguardo ai quattro anni della detenzione a Castel dell'Ovo vale ciò che si diceva nella citata
introduzione alla biografia di Sappia. Lo storico apprende progressivamente che la sua ricerca non può
mai avere fine. Perciò quanto trovato nei fascicoli dell'Archivio di Stato di Napoli e nell'Archivio
Damiani, o in altre fonti documentaristiche, deve essere considerato non l'ultimativa e definitiva
ricostruzione di un’incredibile odissea, quale fu la vita di Sappia, ma un terreno di coltura sul quale il
seme dell'indagine può ancora attecchire e germogliare. Non tutte le porte si sono aperte e non di tutte

le serrature si sono trovate le chiavi, perciò alcune domande restano senza una risposta conclusiva e
portano solo ad ipotesi storiche e storiografiche, illuminate anche dallo svolgimento successivo degli
elementi biografici del nizzardo.
Ad altre domande la risposta che viene data in questo lavoro è compiuta e certa, così come le ipotesi
che ne conseguono. Il giovane prigioniero usò l'arte dell'infingimento e le sue mosse furono,
nonostante la giovanissima età, sempre avvedute, pur avendo a che fare con vecchie volpi ed esperte
faine, che seppe ingannare e tenere avvinte alle sue reti e alle sue capacità seduttive. La stessa
strategia usò con il non meno esperto comandante del Forte, direttore del carcere, di cui seppe
cogliere le debolezze, riuscendo ad infiltrarsi nella sua famiglia, della quale seppe guadagnarsi le
grazie. Le sue profferte di sudditanza al Re, che si proponeva di uccidere a suo arrivo a Napoli,
sembravano sincere, ma non lo erano, così come non erano sinceri i suoi pentimenti e le sue abiure del
settarismo, le sue conversioni religiose e i suoi cedimenti. Questo anche nella seconda parte della sua
detenzione, gli ultimi due anni, quando in parte il suo gioco venne scoperto e le condizioni carcerarie si
fecero più dure.
Tutto quello che disse e tutto quello che fece aveva un solo obiettivo: alleviare la sua sofferenza. Tutto
il resto non contava e passava in secondo piano. La sua scaltrezza è indubbia. Perfino il far finta di non
avvedersi che gli erano stati messi alle costole agenti provocatori, con il compito di spiarlo e di riferire
ciò che faceva, ciò che diceva e ciò che pensava faceva parte del gioco e del suo armamentario. Di
quegli agenti egli si servì per far sapere ai suo carcerieri ciò che desiderava che essi sapessero, pur
consapevole che essi non avrebbero creduto, per nulla o in parte, alle informazioni che egli dava loro
con quel mezzo. Il gioco a rimpiattino fra le due parti fu un gioco di specchi contrapposti nel quale
ciascuno tentava di essere più scaltro dell’altro e fare la mossa vincente.
Gli ultimi due anni, più pesanti, furono per lui a Castel dell'Ovo oggettivamente più difficili. Ma il gioco
continuò, mentre l’indifferenza sostanziale del governo piemontese alle sue sorti, o il ritardo con il
quale se ne occupava su sollecitazione di taluni membri dell'apparato, faceva di lui, di fatto, un
“prigioniero dimenticato”, che perciò doveva fare affidamento solo su se stesso per sopravvivere fino
alla sospirata scarcerazione. E, quando questa alla fine arrivò, restò nel prigioniero Sappia una rabbia
contenuta a fatica, che gli fece perfino immaginare di poter tornare subito a Napoli, per prendersi
chissà quale rivalsa, o, forse, fingere di volervi tornare per confondere i suoi carcerieri. I protagonisti
di quello che la stampa inglese descrisse come un inferno in terra, quello delle prigioni borboniche, di
cui tante altre vittime si dolsero con espressioni tanto e tanto a lungo gridate – si pensi a Luigi
Settembrini e a Sigismondo Castromediano -, a fronte del giovane e scaltro Sappia appaiono
personaggi di rango inferiore a quello descritto in altri racconti, spesso confusi dalle arti quasi magiche
del giovane prigioniero piemontese.
Il terribile Prefetto di Polizia Gaetano Peccheneda, quasi un mostro di misfatti, l’orco dei racconti, a
fronte dell'impudenza di Sappia acquista, così come il suo successore Orazio Mazza, non meno
famigerato, un carattere “più umano”. Castel dell'Ovo, che per altri fu, e tale apparve, lo Spielberg
italiano, capace con la sua durezza di piegare anche i temperamenti più solidi. Per Sappia invece fu,
per lunghi tratti, quasi un comodo albergo, con vista sul mare, nel quale potersi concedere il tempo per
la poesia e dal quale uscire per gite di piacere nelle principali località turistiche del circondario
napoletano. Così si chiude il condensato del libro in terza di copertina: “[…] Lui è Enrico Sappia e dal
primo momento gioca con i suoi carcerieri, con il Comandante del Forte, col Prefetto di Polizia, con lo
stesso Sovrano, una partita a scacchi che ha una posta altissima: la vita. E’ una partita che dura quattro
lunghi anni, tra alterne vicende, delazioni, ritrattazioni, lusinghe, spie, agenti, provocatori, arroccamenti.
Poi arriva la mossa a sorpresa che mette il Re “sotto scacco” e gli apre la porta di una delle più temute
prigioni del Regno. […]” Dopo la scarcerazione, l'esperienza detentiva si rivelò educativa per il
cospiratore e agente segreto di Mazzini. Enrico Sappia farà tesoro di questa esperienza quando

diventerà l'agente di Mazzini, cambiando mille volti e mille nomi per apparire e scomparire, quasi per
incanto, in tutti gli scenari più importanti del Risorgimento italiano.
Giova infine dare, al lettore di questa nota, solo qualche cenno sull’intensa e movimentata vita di
Enrico Sappia. Era nato il 17 aprile 1833 a Toetto di Scarena, un villaggio allora piemontese (ora
Touët de l'Escarène, nelle Alpi marittime francesi) nella contea di Nizza, da un’antica famiglia benestante.
Trasferitosi con la famiglia a Nizza, il giovane Enrico si forma nel Collegio dei Gesuiti seguendo studi
classici. Appena quindicenne nel 1848 lascia la città per seguire Giuseppe Garibaldi in Lombardia, nella
guerra d’indipendenza contro l’Austria. Dopo la sconfitta si rifugia a Roma, dov’era stata costituita la
Repubblica Romana e vi conosce Giuseppe Mazzini. Mentre le truppe francesi stanno per entrare a Roma
riesce a fuggire e ad imbarcarsi per Costantinopoli, entrando in contatto con irredentisti repubblicani che
si ripromettono di attentare ai principali sovrani d’Europa. Rientrato a Nizza avvia una rete di contatti con
repubblicani italiani e francesi. Nel settembre 1850, a Torino, concorda una missione nel Regno delle Due
Sicilie, pare con l’intenzione d’attentare alla vita del re Ferdinando II. Fatto sta che appena arriva a Napoli
viene arrestato dagli agenti borbonici e ristretto nel carcere di Castel dell’Ovo, subendo una durissima
detenzione – di cui si parla diffusamente in questo interessante volume di Serpentini e Di Giovanni –
durata ben quattro anni.
Scarcerato nel 1854, torna in Piemonte e veste la divisa di granatiere, ma quattro anni dopo, retrocesso nel
grado, è presto costretto a lasciare l’esercito. Inizia quindi la sua peregrinazione da Torino a Firenze a
Roma e quindi in Francia, dove nel 1869 dà alle stampe a Parigi, con uno pseudonimo, il libro Mazzini,
Histoire des conspirations mazziniennes (tradotto da Elso S. Serpentini e pubblicato nel 2020 da Artemia
Nova Editrice), con il quale si propone di coniugare il pensiero mazziniano con il socialismo rivoluzionario.
Segue un’intensa attività giornalistica contro Napoleone III, tanto che viene processato e condannato a 15
anni di carcere, ai quali si sottrae raggiungendo Parigi, dove partecipa ai disordini seguiti alla sconfitta
francese del 1870, subita nella guerra contro la Prussia. Ripara quindi a Londra, da dove denuncia la
repressione francese dei moti irredentisti del febbraio 1871 a Nizza, per il ritorno della città sotto il Regno
d’Italia. Nel 1874 torna a Napoli, poi va in Puglia, quindi in Abruzzo, a Teramo, dove svolge attività
giornalistica e di docente, pubblicando numerosi lavori storici e d’arte. Resta in Abruzzo una decina di anni,
fino al 1890, trasferendosi poi a Caserta, insegnando italiano e storia in un seminario. Nel 1896 torna a
Nizza dove tenta la carriera di romanziere, scrivendo in italiano, ma senza successo. Nel 1898 fonda il
periodico Nice historique, mentre continua a seguire – con Academia nissarda – un’attività culturale di
difesa della specificità nizzarda rispetto all’invadenza francese. Muore a Nizza il 29 settembre 1906.




Guardiagrele. Non si riscrive la storia, si riparano i suoi danni

 

 

La Brigata Maiella a Bologna

In merito alle recenti polemiche suscitate dalla proposta di revoca della cittadinanza onoraria di Guardiagrele attribuita a Benito Mussolini nel 1924, il Presidente della Fondazione Brigata Maiella, Prof. Nicola Mattoscio, richiama l’attenzione collettiva sulla necessità di valutare attentamente la differenza tra riscrivere la storia e riparare ai suoi danni:

Fu concessa un’onorificenza ad un personaggio rivelatosi poi non meritevole, almeno per i tradimenti verso i supremi interessi nazionali e per aver condannato il popolo ad una vera macelleria, con il disastro della guerra, dopo averlo privato di ogni libertà. Quindi, con l’iniziativa non si dovrebbe intendere in alcun modo il tentativo ‘politico’ di condannare e/o riscrivere la storia, che resta sempre tale, nel bene e nel male. Ma si intenderebbe semplicemente cancellare un’onorificenza ad un inappellabile immeritevole sotto ogni aspetto morale”.

Persino con riferimento all’attualità vige e si applica questo principio; che si può facilmente riscontrare anche in capo ai più alti livelli istituzionali, come nei casi in cui il Presidente della Repubblica ritiri il titolo di Cavaliere del Lavoro al titolare condannato in giudizio, per il venir meno proprio del requisito di onorabilità!

La Fondazione Brigata Maiella, peraltro, ha di recente promosso la sottoscrizione della legge di iniziativa popolare contro la propaganda e diffusione di messaggi inneggianti al fascismo, proposta dal comitato presieduto dal Sindaco di Sant’Anna di Stazzema, ritenendo che non sia più ammissibile concepire l’antifascismo come un valore “divisivo”, poiché esso deriva dall’obbligo “unitario” di applicare e rispettare la nostra Costituzione, ovviamente antifascista.

Si ricorda che la Brigata Maiella, oltre ad aver contribuito alla Liberazione di Guardiagrele insieme ai reparti del Corpo italiano di Liberazione nel giugno del 1944, ha contato tra i suoi numerosi aderenti un nutrito gruppo di uomini originari della cittadina. I patrioti di Guardiagrele, costituitosi nel XII plotone, furono i destinatari di un Elogio diretto fatto dal Generale del V Corpo d’Armata Inglese, Generale Ritchie, il 4 maggio 1944 per la loro condotta esemplare.

Intendiamo preservare la memoria dei Maiellini – prosegue il Prof. Mattoscio – tutelando anche il lascito valoriale insito nella Lotta di Liberazione che implica necessariamente il riconoscimento di un universo di idee opposte ai totalitarismi, di cui il cavalier Benito Mussolini è stato un fin troppo triste emblema”.