Giulianova. No al “Carnevale a 4 zampe”

Con il presente comunicato ringrazio il coordinamento nazionale della Lega Nazionale per la Difesa del Cane che è intervenuto perchè la propria sezione di Teramo si dissociasse dall’evento “Carnevale a 4 zampe” giuliese. L’associazione infatti non sarà presente nemmeno nella nuova locandina che verrà modificata nella grafica e nei contenuti. Sembra che le associazioni rimaste al carnevale abbiano richiesto la modifica della locandina e del programma che inizialmente prevedeva cani vestiti in maschera. Resto in attesa di vedere la nuova pubblicazione e il nuovo contenuto dell’evento che certamente terrà conto del benessere animale, dopo la grande partecipazione dell’opinione pubblica, in prevalenza indignata per l’infelice scelta di fare un “carnevale per cani”,

La vicenda inoltre ha preso risonanza nazionale grazie all’interessamento di Bernadette Chiocca  Redattrice del Magazine Kodami , che tratta il benessere animale e il giusto rapporto uomo animale.. Nel suo articolo dettagliato sulla problematica sollevata dalla sottoscritta vengono riportati i pareri di importanti educatori cinofili esperti del settore della comunicazione del cane . Ringrazio anche lei ed il suo formatissimo team sempre dalla parte della giusta convivenza con gli animali.
Nell’attesa degli sviluppi e soprattutto delle modifiche promesse, mi sento di dover ricordare ai nostri Amministratori, che da ora , CON GLI ANIMALI NON SI SCHERZA PIU’ e credo che la miglior risposta sia stata data proprio dall’opinione pubblica che si è sollevata sui social, nei commenti e nei messaggi di protesta alla associazioni partecipanti.
Ringrazio tutti gli organi di informazione che hanno dato voce alla mia protesta e a quella di chi è stanco di vedere usati gli animali per ogni peggiore strumentalizzazione.
dott.ssa Giusy Branella
Medico Veterinario



Giulianova. dott.ssa Giusy Branella: eliminate dal programma la presenza di cani mascherati, di musica e canzoni ad alto volume e qualsiasi forma di rumore molesto che possa spaventare e / o infastidire i cani presenti.

A seguito delle polemiche scatenatesi sui social a causa dell’organizzazione , all’interno del Carnevale giuliese, di un’iniziativa che coinvolgerebbe anche cani in sfilata in maschera ( Carnevale a 4 zampe), la sottoscritta  in qualità di Presidente dell’unica associazione animalista operante nel territorio del Comune di Giulianova, comunica che tale evento è contrario al rispetto di qualsiasi forma di tutela del benessere animale, motivo per il quale invita gli organizzatori alla modifica del programma, eliminando le presenza di cani mascherati, di musica e canzoni ad alto volume e qualsiasi forma di rumore molesto che possa spaventare e / o infastidire i cani presenti. Invita altresì a darne corretta comunicazione alla cittadinanza anche con la modifica delle immagini della locandina ritraente cani mascherati. Tiene a sottolineare che se , come dichiarato, l’evento è mirato alla lotta al randagismo, sarebbe stato molto più educativo per i ragazzi che saranno presenti, dare importanza al controllo della corretta microchippatura dei cani partecipanti, con l’ausilio di figure addette a tale controllo. Sollecita le associazioni che porteranno cani presenti nei propri rifugi e nei canili allo stretto controllo e all’estrema attenzione degli stessi che , loro malgrado, purtroppo, sono soggetti particolarmente sensibili alla confusione a al frastuono. Ovviamente la posizione della sottoscritta è fortemente contraria a questo genere di manifestazioni che , tutto mostrano, tranne che il rispetto e la tutela degli animali. Preso atto purtroppo,  della pessima considerazione per gli animali che questa Amministrazione ha mostrato in questi cinque anni, non può che sorgere il sospetto che l’inserimento delle presenza dei cani, all’interno di una manifestazione come il Carnevale ( che viola ogni naturale predisposizione dei cani) , sia solo di natura propagandistica. Atteggiamento che verrà fortemente contrastato nei mesi futuri e per i seguenti anni. Tiene a ricordare ai nostri amministratori che ai sensi dell’Art. 13 dello Statuto del Comune di Giulianova, “ il Comune valorizza le libere forme associative presenti sul PROPRIO TERRITORIO, la loro costituzione e il loro potenziamento, quali strumenti di formazione dei cittadini e la loro partecipazione alla vita Amministrativa del Comune stesso”. Dato che nel programma del “Carnevale a 4 zampe” si parla in modo scorretto di “associazioni operanti sul territorio”, essendo UNICA BEACH , l’unica associazione animalista operante da oltre dieci anni nel territorio del Comune di Giulianova, iscritta all’Albo delle Associazioni del Comune di Giulianova, sarebbe stata , e sarà anche nel prossimo futuro, buona norma , prima di organizzare qualsiasi evento coinvolgente gli animali, consultarla e renderla partecipe , anche per avere indicazioni e pareri sul giusto modus operandi organizzativo , tenendo conto delle normative e delle leggi che tutelano il benessere animale. Rilevato che l’Amministrazione , oltre che accanirsi contro la “spiaggia per cani” per i suoi cinque anni di legislatura, si è distinta per ben due eventi , entrambi contrari alla dignità e al benessere animale, la sottoscritta avverte che ogni utilizzo che verrà fatto degli animali per la propaganda elettorale verrà stigmatizzato, sottolineando che non sarà concesso di usarli come “fanalino di coda” per promesse che poi li terranno a margine della loro importanza sociale. La sottoscritta conclude rammentando inoltre che grazie all’Associazione UNICA BEACH , la città di Giulianova è stata protagonista dei servizi Mediaset dedicati alla salute e al benessere degli animali che verranno messi sempre al primo posto davanti a qualsiasi forza politica si candidi al governo di questa città, battendosi con determinazione per la tutela dei diritti degli animali e della loro sicurezza.

Certa che l’invito alla modifica del programma avverrà in modo celere, auspica che non si ripetano ancora episodi di questo tipo.

Ringraziando tutti i mezzi di informazione che vorranno diffondere questo comunicato al fine di aiutarci a bloccare la realizzazione di un evento dannoso per il benessere dei nostri cani.

Distinti saluti

Dott.ssa Giusy Branella




Giulianova. Romolo Lanciotti – elezioni comunali 2024: Io non ci sto! Mi dimetto da coordinatore comunale del partito Fratelli D’Italia.

LETTERA APERTA

Fratelli d’Italia – Teramo
Presidentessa Provinciale
Rossi Marilena

Giulianova, 4 gennaio 2024
Cara Presidentessa Rossi Marilena,
Con un misto di perplessità e amarezza, comunico la mia decisione di dimettermi da
coordinatore comunale del Partito Fratelli D’Italia.
La mia sfida più grande è accettare l’inaccettabile: il sindaco che , solo cinque anni
fa, abbiamo esortato a non votare, oggi si unisce a noi. La spiegazione di questa
inversione di rotta è tanto enigmatica quanto la politica stessa. Sono costretto a fare
ammenda con gli amici e conoscenti , a cui cinque anni fa, chiedevo di non votare
per questo personaggio, solo per trovarmi ora a dire loro di fare esattamente il
contrario.
Con profonda perplessità,
Romolo Lanciotti




Bellante. La BEFANA POPOLARE di Nuove Sintesi.

3 gennaio 2024. Questa mattina, presso il Municipio di Bellante (TE), i volontari di ‘Nuova Azione Solidale per la Provincia di Teramo’ (espressione solidarista di Nuove Sintesi) hanno consegnato dei doni (materiale scolastico, dolcetti e peluche) per circa 30 bambini di famiglie del territorio in difficoltà economica, che saranno consegnati dal personale dei Servizi Sociali del comune (tale materiale è scaturito grazie ai contributi donati per l’acquisto delle nostre Natività autoprodotte precedentemente).
Il materiale è stato consegnato nelle mani simboliche dell’Assesore alla cultura ed ai Servizi sociali la dott.ssa Teresa Di Berardino.
Iniziamo l’anno 2024 con questa iniziativa popolare che troverà nell’anno altre iniziative sociali rivolte al nostro territorio provinciale.
Tutto per la Patria!

Bellante

* nella foto da sinistra: Luca De Leonardis (vice Responsabile Nuove Sintesi), Teresa Di Berardino (Assessore alla cultura e Servizi sociali), Mariavittoria Musilli (vice Responsabile Nuove Sintesi).




 PADRE LUIGI PIETROBONO Sch. P. NEL CLX DELLA NASCITA (1863-1960) di Gianluigi Chiaserotti*

 

 

Desidero ricordare il padre Luigi Pietrobono, insigne dantista, amico, come vedremo del Pascoli, ma soprattutto un sacerdote dell’”Ordine dei Chierici Regolari poveri della Madre di Dio delle Scuole Pie”, gli Scolopi (deceduto a Roma il 27 febbraio 1960).

Luigi Pietrobono nacque in Alatri il 26 dicembre 1863, centosessanta anni or sono, figlio di Francesco, valente artigiano, che, in gioventù aveva preso parte alla difesa della Repubblica Romana, e di Filippa Merluzzi, tipica donna ciociara, buona, affettuosa e timorata di Dio.

Si indirizzò immediatamente, entrando a far parte dell’ordine degli Scolopi, verso il calasanziano ideale di sacerdote e di educatore, maturandolo con sempre più consapevole coscienza vocazionale dal collegio, all’università, alla scuola.

Si laurea in lettere nel 1887, in filosofia nel 1889, e, nel Nobile Collegio Nazareno di Roma, è docente già dal 1887 al 1905, quindi preside e docente, una prima volta, dal 1905 al 1906, e, una seconda volta, dal 1906 al 1936, quindi anche Rettore, dal 1906 al 1910, e dal 1915 al 1918.

Padre Luigi non sarà un cattivo sacerdote; certo non profumerà di ascetismo ma si metterà al servizio della Chiesa e diverrà un coraggioso combattente della Fede in tempo di acceso anticlericalismo massonico.

Amava ripetere: «[…] sono un cattolico, ma liberale: e questa è la mia colpa, che in certe sfere non trova perdono; il guaio è che non ne sono pentito.».

La carriera che il Nostro iniziò giovanissimo nel Collegio Nazareno, e non fu assolutamente la conseguenza di promozioni all’interno dell’Ordine perché Scolopio, ma al riconoscimento delle sue capacità, della sua intelligenza, della sua non comune cultura.

Al Nazareno il Pietrobono dedicò i suoi anni migliori e l’unica sua ambizione fu di vedere l’Istituto fiorire in maniera corrispondente alla sua secolare tradizione.

Non sempre, però, codesto suo desiderio poté essere soddisfatto, in quanto conflitti di competenza, ostracismi, ma soprattutto invidie tra confratelli, interventi dell’autorità ecclesiastica, ritiro di religiosi dal Collegio, costrinsero il Nostro a lasciare il Nazareno per accettare il rettorato del Collegio “Conti Gentili” di Alatri, per poi tornare a Roma (gli scolopi tennero codesto collegio dal 1729 al 1971).

Hanno inizio qui i suoi studi su Dante che porterà avanti lungo sessanta anni di attività, per tutta una vita e che possono essere datati già dalla sua tesi di laurea su “La teoria dell’amore in Dante Alighieri”, che fu immediatamente pubblicata (1888) sulla rivista “La filosofia nelle scuole italiane”, rivista fondata da Terenzio Mamiani della Rovere (1799-1885), filosofo ed uomo politico.

L’indagine di Pietrobono viene sostenuta, più che da altre tesi, dalle suggestive letture di Giovanni Pascoli (1855-1912) (ex alunno degli Scolopi nel Collegio di Urbino) e dal vasto riesame dell’opera di Dante che queste avevano avviato, mostrando che il poema doveva essere inteso come il dramma della redenzione umana, cosicché, solo comprendendone tutto il profondo ed unitario pensiero che lo sostanzia, se ne poteva attingere l’arte.

Pietrobono, superando i residui limiti estetici del Pascoli e ponendosi in alternativa polemica, sia con le indagini sul lirismo di Dante, portate avanti dall’estetica, sia con quelle, altrettanto disgregatrici dell’unità morale dell’opera, perseguite dalla critica positivistica, costruisce sul vaglio dell’intera opera di Dante, un’organica visione strutturale del poema.

La “Commedia” è propriamente per il Pietrobono la profezia del Veltro: messaggero di speranza al mondo traviato e disorientato.

Egli infatti interpretò l’unica profezia “ante eventum” della Divina Commedia come quasi che il Veltro fosse Gesù.

Il Veltro è necessario perché gli uomini medesimi possano essere felici; essi dalla c. d. “Donazione di Costantino” non hanno più potuto godere non solo della pace dello spirito, ma neppure di quella terrena.

La colpa di Costantino [Flavio Valerio Aurelio Claudio (285 ca.-337)] è pari a quella di Adamo.

Dante diviene così l’annunciatore di un disegno divino, e la Commedia il poema del dramma umano, meditato nella sua genesi, osservato nel suo storico processo, orientato nella sua finalità di riscatto e di redenzione.

Al riguardo di Costantino mi piace ricordarVi che il letterato umanista Lorenzo Valla (1405 o 1407-1457) dimostrò (1440) la falsità del documento sulla c. d. “Donazione di Costantino”, il quale fu spesso utilizzato per giustificare la nascita del potere temporale dei papi. Esso è un documento apocrifo dei secoli VIII e IX in cui si narra la conversione dell’imperatore Costantino e come questi, per gratitudine verso il papa San Silvestro I (314-335), avrebbe concesso al pontefice il potere temporale su Roma e l’Italia ed il primato sulle altre chiese.

Luigi Pietrobono si qualifica, in tal modo, come “il migliore e più avveduto seguace del Pascoli” [Michele Barbi (1867-1941)] anche se, così critico ed in totale indipendenza, dal Pascoli medesimo si distacca nella concretizzazione analitica di un’identica linea di interpretazione esegetica.

Tale era appunto una definizione del Barbi. Invero il pascolismo del Pietrobono si riduce alla convergenza più che d’idee, di principi base (come la ricerca di simmetrie, l’affermazione di una architettura unitaria della “Commedia” e della simbologia del Canto I dell’Inferno, la limitata applicazione delle tre disposizioni aristoteliche, il riconoscimento della funzione parallela della Chiesa e dell’Impero alla fine della redenzione). Per tutto codesto il Nostro è un critico del tutto indipendente, ed offre soluzioni lontane dalle pascoliane, come la grande idea che la “Commedia” non rappresenta affatto l’abbandono della vita attiva per quella contemplativa.

Ed ora un inciso, che poi potrebbe essere una curiosità.

Padre Luigi Pietrobono, in codesta interpretazione esegetica del capolavoro dantesco fece anche sua la “lectura Dantis”, analizzata essenzialmente dal punto di vista astronomico, ma anche poetico, del suo confratello fiorentino Giovanni Antonelli (1818-1872), fisico, astronomo, ingegnere, creatore di strade ferrate, che ho ampiamente ricordato su questa rivista nel mese di gennaio.

L’Alighieri, infatti, esercitava nell’Antonelli un grande fascino, ed egli ne intrecciava lo studio con quello del cielo.

Nel corso del 1865, sesto centenario della nascita del Sommo Poeta, venne dato alle stampe uno studio al quale vi collaborò, e con successo, anche Giovanni Antonelli.

Egli pubblicò un’attenta e scrupolosa interpretazione sulla “vexata quaestio” delle prime terzine del Canto IX del Purgatorio, e precisamente: «La concubina di Titone antico/già s’imbiancava al balco d’oriente,/fuor delle braccia del suo dolce amico; […]».

Molte furono le interpretazioni di codesti versi. Padre Antonelli dimostrò che Dante, proponendosi di indicare l’ora nella quale fu preso dal sonno al termine della prima giornata in Purgatorio, intese descrivere l’alba che precede il sorgere della Luna e non l’aurora solare, come molti volevano. E queste interpretazioni antonelliane [anche perché preferì darne delle altre come quella che Titone è Titano, Titan, quindi il Sole. La sua concubina è Teti, (“Tηθύς”, nella lingua greca, moglie di Oceano, l’onda marina…..)] furono appunto riprese dal Nostro nel suo commento alla Divina Commedia, ma anche da Niccolò Tommaseo (1802-1874) e da un altro famoso dantista, lo svizzero Giovanni Andrea Scartazzini (1837-1901).

Con il Pascoli, che Luigi Pietrobono aveva conosciuto al Collegio Nazareno nel 1897 quale Commissario Governativo per gli esami di Licenza Ginnasiale e Liceale, scambia costantemente i risultati della propria indagine ed alla sua poesia, per l’affettuosa amicizia che lo lega all’uomo, dedica una vigile attenzione critica, seguendola, sollecitandola, ed a volte, oltre che sostenendola, e con passione nonchè coraggio, difendendola.

È del 1907, infatti la lettera aperta di padre Luigi al filosofo Benedetto Croce (1866-1952) “Sulla poesia di Giovanni Pascoli” pubblicata da “Il giornale d’Italia”, in cui, dissentendo apertamente con il riduttivo giudizio espresso da questi sul poeta romagnolo, illumina i caratteri specifici di questa nuova poesia, ricevendo dal Croce, pur nel fondamentale dissenso critico, uno spassionato elogio quale «colto e fine ingegno, guida ben informata, esperta e affettuosa».

Esce, nel 1918, presso l’editore Zanichelli Bologna, un’antologia commentata di cinquantasei poesie di Pascoli che, successivamente, accresciuta e riveduta, resta tutt’oggi un riferimento d’obbligo.

Nella poesia di Pascoli Pietrobono sa cogliere, attraverso la sottile elegia del sentimento del mondo, l’angoscia dell’uomo moderno volto umilmente alla conoscenza del mistero che è dietro le cose, per riconquistare, ed in questa ricerca è la tensione che accomuna i due uomini, il trascendente significato dell’esistenza.

Il suo costante fervore intellettuale orienta lo Scolopio intanto verso un fedele rapporto con la romana Accademia dell’Arcadia di cui, con il nome pastorale di Edelio Echeo, lo troviamo già socio nel 1894.

Nel 1924 fa parte di una ristretta commissione per la riforma dell’Arcadia e, partecipando da quel momento al governo dell’Accademia, ne rafforza l’impegno reinserendola, anche con la propria attività, nella viva dialettica della cultura italiana.

Dal 1926 vi inizia i suoi corsi sulla Divina Commedia, su Pascoli, Leopardi e Manzoni fino a che, nel 1940, nominato dal Ministero dell’Educazione nazionale, ne diviene Custode generale.

Gli anni della sua custodia, durata fino al 1953, anno in cui, ormai stanco (aveva raggiunto i novant’anni), rassegna le proprie dimissioni, sono fervidi di lavoro ed egli vi profonde tutte le sue energie di uomo di cultura e di educatore.

È quest’ultima soprattutto, «avendo trascorsa la maggior e miglior parte della vita nella scuola», la missione più intensamente avvertita da Luigi Pietrobono in tutta la sua vita e che egli sostiene, fino alla fine, con lucida fede e mirabile saggezza.

In essa sa cogliere i valori stessi dell’insegnamento evangelico e con il Vangelo medita sul significato ultimo della storia umana esponendo il messaggio, sempre nuovo perché eterno, che si trova racchiuso in quelle pagine, vagliate nell’intimo della coscienza e avvalorato da una risentita intelligenza: «quel che preme si è di entrare nello spirito di Gesù e farlo vivere nelle nostre azioni perché nessuno ha letto più addentro di Lui nei cuori umani e ne ha interpretati i bisogni».

E’ del 1925 “La morale del Vangelo”, del 1943 “Dolore e Amore”, del 1949 “Col nostro maestro Gesù”: è l’autentica parola (precisamente: “verbo”) della carità e della libertà che si coglie in queste pagine, ideali sempre perseguiti dalla sua indomita coscienza di cristiano e  nei quali può essere sintetizzato il significato stesso della sua vita e della sua attività: «quel che duole maggiormente si è che i popoli cristiani non abbiano ancora acquistato chiara coscienza della inviolabilità della persona umana e si lascino miseramente tiranneggiare: ignorano che al mondo non  vi sono né re, né imperatori, né presidenti, né ministri che abbiano diritto di far violenza ad uno spirito immortale».

Contemporaneamente all’Arcadia ed agli impegni scolastici, padre Luigi era presente (e sin dal 1918) anche alla c. d. “Fondazione Besso” del Largo Argentina in Roma [eretta a nome di Marco Besso (1843-1920) il finaziere e filantropo triestino di già presidente delle Assicurazioni Generali] in cui il suo lavoro non consisteva soltanto nel tenere lezioni su Dante e le di lui opere, ma anche nel consigliare e suggerire al Besso medesimo iniziative culturali ed a preparare programmi.

Le lezioni del Pietrobono iniziarono nel gennaio 1923 per concludersi nel giugno 1949.

Nel 1936, padre Luigi Pietrobono lascia la presidenza e l’insegnamento, e due anni dopo il Nazareno.

Non fu un auspicato arrivederci, e neppure un voluto addio, ma un sofferto e non desiderato abbandono.

Dal Nazareno il suo preside uscì in silenzio, non volle assumere posizioni ridicole o esprimere oltraggiosi pronunciamenti.

Padre Luigi si limitò a scrivere una lettera al presidente della Commissione Amministratrice della Scuola per lamentarsi che «[…] nessuno sia venuto a stringermi la mano o a dirmi arrivederci, ad eccezione dei bidelli che mi guardavano muti con gli occhi pieni di lacrime».

Si ritirò a vivere nella casa della sorella alla via Flaminia in Roma.

Al Nazareno ci tornò altre volte, tra cui il 30 maggio 1939 in cui fu scoperta una lapide dedicata alla prima Regina d’Italia, Margherita di Savoia (1851-1926) che venne posta nella parete di sfondo dell’Aula Magna, la quale prese il nome dalla stessa, e ciò in ricordo del suo augusto contributo che dette al Pietrobono per organizzare le prime “lecture Dantis” a Roma.

Certamente la scuola fu per Padre Luigi una scelta di vita, speranza e rifugio nei momenti difficili, quando la realtà esterna lo tediava con le sue brutture e con le sue cattiverie; la scuola fu la vocazione e la missione di un’intera esistenza.

Una sua lapidaria frase riassume quale posto avesse occupato l’attività nella quale aveva profuso la bontà del di lui cuore e quella immensa lucidità dell’intelligenza: «[…] cinquantadue anni d’insegnamento senza interruzione è l’opera di cui mi compiaccio sopra ogni cosa. La scuola mi ha confortato e consolato. Se tornassi a vivere, comincerei da capo.».

Il Re Umberto II (1904-1983), tramite il suo Ministro Falcone Lucifero (1898-1997) faceva pervenire il 29 dicembre 1958 i «fervidi auguri per il novantacinquesimo compleanno» dello Scolopio, che così rispose: «Eccellenza, nella mia tarda età, con la vita modesta che meno, quasi sempre raccolto nella solitudine del mio studio, chi avrebbe potuto mai immaginare che avrei ricevuto un attestato di così preziosa benevolenza di Sua Maestà il Re? [….] Non Le so dire di quali e quanti sentimenti mi sia sentito invadere il cuore e quali parole di ammirazione e ringraziamento mi abbia messo sulle labbra.».

Sicuramente una risposta, come sempre, toccante e ricca di umiltà.

Il Pietrobono, ormai stanco, scrisse, già con mano tremolante, la seguente lirica:

Cantare di su il vecchio campanile/Ho udito il solitario. Primavera/Non più caro augellin, non più aprile/Ride nei campi. Scesa è giù la sera/Dell’anno e della vita. Quale gentile/Vision ti tenta a salutar quel ch’era?/Ingiallano le foglie, e una sottile/Nebbia autunnal vela del sol la spera./E poco accadrà che tutti scheletriti/Saranno i rami, scenderà la neve/E freddo sopra noi starà l’inverno./Anche tu, vecchio cor, cantare hai uditi/Gli antichi spirti in voce arguta e lieve/Illusione, preludio a un sogno lieve.

È senza dubbio la visione di un’esistenza che si avvia a concludersi, di un fuoco che si sta lentamente spegnendo. Anche il padre Luigi, come il Leopardi, avrà sentito cantare il “caro augellin” della torre campanaria e la primavera esultare nei campi verdi della sua Alatri.

È scesa, però la sera: non quella dell’anno, ma quella della vita. La natura tutta partecipe a codesto lento tramonto con le foglie ingiallite degli alberi e la nebbiolina leggera che vela la “spera del sole”. Tutto annunzia che presto cadrà la neve e l’inverno si poserà sulle vite stanche degli uomini.

Certamente il Pietrobono nel rileggersi avrà benevolmente sorriso per il suo “folle volo” nei cieli della poesia e, in cuor suo, avrà detto che di Calliope è più facile essere ammiratore e critico che alunno.

Quel cuore, ormai “vecchio”, come egli medesimo ha scritto, cessa di battere, a novantasei anni e due mesi, il 27 febbraio 1960.

 

Bibliografia

 

Pasquale Vannucci “Il Nazareno MDCXXX MCMXXX”, Roma 1930;

Tullio Santelli, “Tre Scolopi illustri”, Roma MCMXCVIII

 

*Storiografo




GIOVANNI BERCHET – IL ROMANTICO – IL PATRIOTA di Gianluigi Chiaserotti

 

 

Cadono il 23 dicembre i duecentoquaranta anni (1783) della nascita del poeta Giovanni Berchet.

Di modesta famiglia originaria della svizzera francese, fu da giovane impiegato nei pubblici uffici.

Ben presto, però, il Nostro si dedicò alla Letteratura e fu allievo del Parini ed amico del Monti e del Foscolo e fu tra i fondatori del periodico romantico “Il Conciliatore”, divenendo molto amico del o Manzoni.

Nel 1820 si iscrisse alla Carboneria, partecipando ai moti del 1821, quindi fu costretto ad un lungo esilio (tra Parigi, il Belgio, l’Olanda e Londra), nel corso del quale strinse amicizia con numerosi letterati francesi e tedeschi.

Giovanni Berchet rientrò in Italia nel 1848, partecipando alle Cinque Giornate di Milano e fece altresì parte del Governo Provvisorio.

Al ritorno degli austriaci riparò in Piemonte, dove fu eletto deputato al Parlamento Subalpino nelle file del partito moderato.

Il Nostro fu certamente un esponente di spicco del gruppo degli intellettuali e scrittori lombardi, i quali, impegnati nello svecchiamento della cultura italiana, si schierarono a favore della nuova letteratura romantica contro il persistere del classicismo ed insieme sposarono gli ideali patriottici risorgimentali.

Nei primi anni della sua attività si indirizzò allo studio delle lettere moderne e, grazie alla sua conoscenza delle altre lingue europee, tradusse parecchie opere del romanticismo europeo, fra cui il poemetto “Il Bardo” del Gray (1807), il romanzo “Il curato di Wakefield” del Goldsmith (1810), e le due ballate del Bürger, “Il cacciatore feroce” ed “Eleonora” (1816).

Nel 1816 il Berchet entrò nel vivo della polemica fra romantici e classicisti con la celeberrima “Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliuolo”, considerata uno dei manifesti del romanticismo italiano; in essa si immagina che Grisostomo (il cui nome significa “bocca d’oro”), invii al figlio in collegio le traduzioni delle due ballate di Bürger, e nella lettera di accompagnamento enunci le tesi centrali della nuova poetica romantica.

Grisostomo-Berchet afferma che la vera natura della poesia è di essere “popolare”, cioè in stretto rapporto con la coscienza del “popolo” (che nel testo si identifica con la classe borghese, più viva e più aperta ai cambiamenti), intimamente connessa alla storia di cui il “popolo” è protagonista. Il popolo si identifica con un ampio strato di pubblico medio, estraneo ai preziosismi dei “parigini” ed all’ignoranza indifferente degli “ottentotti” (i c.d. “incolti”), il solo in grado di sentire e di provare le emozioni che la poesia suscita.

Il poeta, conseguentemente, deve adottare contenuti interessanti ed educativi, ed in un linguaggiosempliceechiaro.

Merito di Giovanni Berchet fu quello di avere delineato un nuovo rapporto fra scrittore e pubblico, di avere richiamato lo scrittore ad un impegno sociale e nazionale con la conseguente adozione di nuovi generi letterari e di  nuove soluzioni linguistiche.

Espressione quindi della nuova poesia furono il componimento in metri diversi, fra il lirico e il narrativo, “I profughi di Parga (1820), io cui il Nostro prese spunto dal tradimento dell’In­ ghilterra nei confronti della città di Parga ceduta ai Turchi; le “Romanze” (1824), fra le quali la più famosa è “Il Trovatore; il poemetto “Fantasie” (1829), il risultato più felice della sua poesia patriottica e risorgimentale, in cui si immagina che un patriota esule sogni tre diversi episodi dell’Età Comunale: il giuramento di Pontida, la battaglia di Legnano e la pace di Costanza, secondo il modello del recupero del Medio Evo che tanta fortuna ebbe nel Romanticismo.

La poesia del Berchet è spesso una poesia di canti guerrieri ed ha la grandiosità semplice di una voce che deve essere udita e compresa da tutti, perché vuol ricercare una stessa fraterna passione nei cuori: anche in quelli sopiti.

Ed ha sempre perciò una cordialità umanissima.

Di già Carducci, nella contrapposizione dei versi del Nostro che invitano all’armi contro l’irto alemanno («mi bisogna balzare in piedi e ruggirli») a quelli tanto più elaborati e poetici del “Marzo 1821” del Manzoni, fece provare codesto sentimento guerriero ardente nei versi del Berchet.

Scrive lo storico della Letteratura Italiana Francesco Flora: «[…] la poesia del Berchet non puo’ essere riposatamente letta: dev’essere animosamente proferita ad alta voce, sicché nel tono vocale formi la sua musica attiva ed eloquente, e trascini gli animi, onde nell’ardore patriottico non tanto avvertano le parole quanto il ritmo attivo, di marcia eroica».

Con i versi del Nostro tuttora captiamo quei caratteri degli esuli, degli eroi, delle eroine, gli inviti all’azione, che suonano come comandi di guerra contro lo straniero.

E tutto ciò è la sostanza epica ed eroica del nostro Risorgimento.

Giovanni Berchet morì a Torino il 23 dicembre 1851, giorno del suo LXVIII compleanno.

 

 

 




VINCENZO CUOCO (1770-1823) di Gianluigi Chiaserotti

 

 

Cade il 14 dicembre il secondo centenario della morte dello storico e scrittore Vincenzo Cuoco, che era nato Civita Campomarano (attualmente in provincia di Campobasso) il giorno 1 ottobre 1770, figlio di un avvocato e studioso di economia, appartenente ad una famiglia della locale borghesia di provincia.

Recatosi a Napoli nel 1787, si dedicò agli studi letterari, filosofici ed economici.

Pur non aderendo in pieno alle idealità che promossero la rivoluzione del 1799, tuttavia, solo per aver svolto una minima attività nel corso del periodo repubblicano, fu condannato (24 aprile 1800) alla pena dell’esilio ed alla confisca dei beni.

Il Nostro fu esule a Marsiglia ed a Parigi per poi stabilirsi a Milano, dove, nel 1804, fondò il “Giornale italiano”, in cui agitò i problemi concernenti la formazione di una certa coscienza nazionale, dando un’impronta economica di rilievo al periodico e svolgendo una vivace attività pubblicistica, che proseguirà anche a Napoli con la sua collaborazione al “Monitore delle Sicilie”.

Nel 1806, Vincenzo Cuoco, tornò a Napoli dove ebbe alte cariche, che gli furono conservate anche sotto il restaurato Regno borbonico.

Fu sostanzialmente antilluminista e si pone, col suo “Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799”, (1801; II ed. 1806), sul piano della polemica antirivoluzionaria che negli anni immediatamente precedenti avevano perseguito Edmund Burke (1730-1797) nel Regno Unito e Joseph-Marie de Maistre (1753-1821) in Francia. Il Cuoco sostiene, senza dubbio, il richiamo e la difesa della tradizione di fronte all’imperante giacobinismo dei rivoluzionari che si traduce in una critica totale e nel rifiuto del razionalismo illuminista, tacciato di astrattezza.

A principi e leggi validi in ogni tempo ed in ogni luogo, il Nostro contrappone l’esigenza di far leva – e ciò per evitare che la desiderata rivoluzione non sia “passiva”, come risultò quella napoletana del 1799, perché astrattamente modellata sulla francese – su quei motivi della tradizione morale e politica di cui si nutre la vita del paese.

Tradizionalismo quindi quello del Cuoco, che si vena di esigenze di individualismo nazionale (particolarmente forti nel suo “Platone in Italia”, 1804-06, ispirato al vichiano “De antiquissima Italorum sapientia” e quindi al vichianesimo napoletano dei primi anni del secolo XIX), e denuncia, nella sua considerazione positiva del passato e nell’affermazione implicita della continuità della Storia, presentimenti storici.

Nel “Rapporto al re G. Murat per l’organizzazione della Pubblica Istruzione”, presentato dal Cuoco nel 1809 alla relativa commissione, e più volte ritoccato dall’autore, egli proponeva un maggiore impulso all’istruzione popolare e un orientamento più liberale della scuola. Infatti il Nostro ricopriva importanti incarichi pubblici, prima come Consigliere di Cassazione e poi Direttore del Tesoro, dove si distinse inoltre come uno dei più importanti consiglieri del governo di Gioacchino Murat (1767-1815).

Dal 1810 ebbe l’incarico di Capo del Consiglio Provinciale del Molise e, durante la durata di tale impiego, scrisse, nel 1812, “Viaggio in Molise”, opera storico-descrittiva sulla sua regione natale a cui restò legato grazie anche alla stretta parentela con la famiglia Pepe (Gabriele Pepe), presso la quale si conservano ancora suoi scritti e ritratti.

Gli ultimi suoi anni furono funestati dalla follia, che lo colpì a partire dal 1816 (forse anche a causa del travaglio interiore scatenato dalla Restaurazione), spingendolo alla distruzione di molti suoi manoscritti, rimasti dunque inediti, e costringendolo a ridurre progressivamente le sue attività sino alla morte, avvenuta, come scrivevo all’inizio, a Napoli il 14 dicembre1823, duecento anni fa, per le conseguenze di una frattura del femore, riportata in seguito a una caduta.

Gianluigi Chiaserotti

 




Bellante. Ringraziamo l’Assessore alla Cultura e Servizi Sociali di Bellante (TE ) Teresa Di Berardino, che – con l’acquisto della nostra Natività autoprodotta – contribuirà a rendere i Natale migliore a bambini di famiglie Italiane in difficoltà economica.

Ringraziamo l’Assessore alla Cultura e Servizi Sociali di Bellante (TE ) Teresa Di Berardino, che – con l’acquisto della nostra Natività autoprodotta – contribuirà a rendere i Natale migliore a bambini di famiglie Italiane in difficoltà economica.

I volontari di Nuova Azione Solidale (espressione solidrista dell’Ass. Culturale Nuove Sintesi) come ngli anni 2021 e 2022, in occasione del periodo solstiziale e natalizio, mette in campo un iniziativa benefica rivolta ai bambini di famiglie italiane in difficoltà economica. Tramite un contributo si potrà rivcevere una piccola Natività autoprodotta da una volonatria. Uniamo anche quest’anno a tale iniziativa un’ idea forza “In questo mondo al crepuscolo ripartiamo dalla tradizione”. Con i contributi ricevuti acquisteremo, materiale scolastico e qualche dolcetto, che consegenremo ai bambini. Ovviamente parallelamente garantiremo alla famiglie un pacco alimentare come facciamo da qualche anno nel periodo di fine anno. TUTTO PER LA PATRIA!

*Nella foto, l’Assessore alla Cultura e Servizi Sociali di Bellante Teresa Di Berardino ed il vice Responsabile dell’Ass.ne culturale Nuove Sintesi Luca De Leonardis.



Teramo. “Saluto con entusiasmo, a nome dell’intera comunità provinciale, la nomina del Professor Roberto Ricci a Vice Presidente della “Deputazione abruzzese di Storia Patria”, prestigiosa istituzione attiva sin dal 1888 nella documentazione e divulgazione del patrimonio storico-culturale regionale.

Il riconoscimento è un’attestazione di gratitudine per il contributo offerto dallo stimatissimo docente di Storia e Filosofia al Liceo “Melchiorre Delfico” di Teramo, nonché Dottore di Ricerca in Scienze Sociali All’università “G. D’Annunzio” di Chieti – Pescara, il quale conduce da molti anni rigorosi studi sulla storia locale, non ultimo quello sulla feudalità nel Regno di Napoli, particolarmente rivolti ad approfondire la storia della famiglia Acquaviva D’Aragona duchi d’Atri.

Da sottolineare che in passato solo due intellettuali teramani, e nemmeno recentemente, hanno ricoperto incarichi all’interno della Deputazione: Domenico Maria e Francesco Savini.

Questo incarico si aggiunge alla recente nomina a componente del Comitato tecnico-scientifico Acquaviva D’Aragona di Atri che avrà il compito di costituire e gestire il “Centro Studi Acquaviva d’Aragona”.

Confidiamo che il Professore continui a lungo a farsi qualificato interprete della tradizione storiografica e civile del nostro territorio a livello regionale e nazionale.

Per questo ci pregiamo di porgergli pubblicamente le nostre felicitazioni, affinché gli giungano i sensi della stima che la comunità provinciale unanimemente gli tributa.”

Camillo D’Angelo, Presidente della Provincia di Teramo




CHIETI. FDI: da sempre vicino alla categoria dei balneatori

 

 

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato dalla Regione Abruzzo, insieme al Sib, sindacato italiano balneatori in merito alla sentenza del Consiglio di Stato che aveva bocciato la proroga delle concessioni balneari. 
Cassata la sentenza, toccherà ora al Consiglio di Stato pronunciarsi nuovamente tenendo conto anche delle nuove leggi che Parlamento e Governo hanno ratificato dopo la precedente sentenza.
Si tratta di un primo passo davvero significativo, una sentenza molto importante. 
L’Abruzzo è l’unica regione italiana ad aver difeso i diritti dei balneatori, e di questa battaglia che dentro il partito di Giorgia Meloni viene davvero da lontano, ci rende orgogliosi per lo splendido e proficuo lavoro del Presidente Marco Marsilio
Portavoce Provinciale Chieti