DELVERDE si lega al Bahrain Merida Cycling Team il pastificio italiano seguirà la squadra con il suo Foodbus prima uscita sabato scorso, per la Strade Bianche di Siena

 

 

Al via un’altra grande avventura all’insegna dello sport, per il pastificio italiano Delverde, nuovo partner del progetto alimentare e fornitore ufficiale del team ciclistico Bahrain Merida pro Cycling Team, un gruppo di recente formazione ma destinato a far parlare di sé grazie all’ingaggio di nomi di spicco nel panorama ciclistico internazionale, che ha alla base un consorzio di imprese del Bahrain, piccola monarchia costituzionale del Golfo Persico.

 

Delverde seguirà il Team mettendo a disposizione il suo foodbus personalizzato, dotato di cucina attrezzata e area hospitality interna, inaugurato già saabato, 4 marzo, in occasione della partenza della “Strade Bianche”, in programma a Siena. Ad affiancare il pastificio ci saranno altri importanti marchi del food quali: Industria Alimentare Ferraro, Rigoni di Asiago, Latteria Soligo, Astoria, Olio Anfosso, Riso Acquerello, Noberasco, Leoni salumi, 32 via dei birrai, Ortoromi Insalarte.

 

Prossimi impegni saranno la Tirreno Adriatico, la Milano Sanremo, le classiche in Olanda e Belgio e le grandi corse a tappe (Giro D’Italia, Tour de France, Vuelta a Espana).

 

Il legame di Delverde con il mondo delle due ruote è ormai storico, ed ha radici nella profonda connessione che c’è tra un’alimentazione sana e di qualità e il raggiungimento di performance sportive di livello. Da 50 anni, infatti, Delverde produce pasta premium, utilizzando solo semole di altissima qualità mescolate ad acqua purissima, attinta dalla vicina sorgente del fiume Verde, che sgorga a pochi metri dall’azienda, nel parco nazionale della Maiella. La stessa attenzione riservata alla selezione degli ingredienti viene prestata nei confronti dei processi produttivi, che rispettano la migliore tradizione pastaia italiana, come l’essiccazione a bassa temperatura e la trafilatura al bronzo. Ed è proprio grazie a questa meticolosa cura di ogni dettaglio che la pasta Delverde offre al consumatore un’esperienza di livello superiore, unendo al suo inconfondibile gusto, un’ottima tenuta in cottura e un’elevata digeribilità.

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“Siamo fieri di affiancare il nostro brand al Bahrain Merida Pro Cycling Team e di supportare così tanti campioni, tra cui Vincenzo Nibali, il più titolato tra i corridori italiani in attività – spiega Luca Ruffini Ceo di Delverde – e siamo convinti che la pasta Delverde, più di ogni altra, possa essere il carburante giusto per gli atleti, grazie ai nostri elevati standard di qualità e alla continua ricerca che ci ha portato a specializzarci nel segmento salutistico, in particolar modo con la linea integrale e la linea Wellness, nata da particolari miscele di semola di grano duro e farine di ceci e semi di lino”.




Davide Cavuti vince il prestigioso “Premio Carlo Savina” per la musica da film

 

 

Si è tenuta lo scorso 4 marzo durante il Festival del Cinema di Spello (Perugia)

la consegna del prestigioso “Premio Carlo Savina”, riconoscimento dedicato alla musica da film, al compositore cinematografico Davide Cavuti.

Nella passata edizione l’ambito riconoscimento è stato assegnato al “Premio Oscar” Nicola Piovani.

foto Davide Cavuti in Teatro il maestro Carlo Savina PuPi Avati con il compositore Davide Cavuti alla cerimonia di premiazione del Premio Carlo Savina per la musica da film

 

Quest’anno la giuria del Premio ha conferito la preziosa statuetta al maestro Davide Cavuti, compositore per pellicole dirette dai registi Michele Placido, Pasquale Squitieri, Rudiger Von Spies in film interpretati da Riccardo Scamarcio, Luca Argentero, Jasmine Trinca, Kim Rossi Sutart, Filippo Timi, Francesco Scianna, Lino Capolicchio.

“Davide Cavuti è un compositore sensibile e raffinato e un instancabile ricercatore avendo dedicato in questi ultimi anni il suo tempo allo studio delle opere dei compositori del periodo neorealista e non solo” afferma una nota degli organizzatori del Premio.

“Sono onorato di ricevere un Premio così prestigioso e intitolato al maestro Carlo Savina, uno dei più importanti compositori e direttori d’orchestra del cinema italiano – ha dichiarato il maestro Davide Cavuti – Carlo Savina è stato un musicista di esclusiva e raffinata formazione colta – continua Cavuti – ringrazio la giuria del Premio che ha voluto conferire al mio lavoro questo importante riconoscimento”.

Il Premio è stato consegnato nella meravigliosa cornice della citta di Spello e del suo Festival presieduto da Donatella Cocchini e sotto la direzione artistica del regista Fabrizio Cattani.

Nella serata di premiazione erano presenti il regista Pupi Avati, la presidente dei Nastri d’argento Laura Delli Colli, l’attrice Ivana Lotito, madrina della serata (protagonista in pellicole di successo come “Cado dalle nubi” di Checco Zalone  e di “Gomorra – La Serie 2”), il regista Rai Alessandro Boschi e tanti personaggi del mondo del cinema e della cultura italiana.

 

 

 

 

“Davide Cavuti merita un riconoscimento così prestigioso quale il Premio Carlo Savina – ha dichiarato in una nota Gabriele Antinolfi, direttore della Cineteca Nazionale di Roma, promotrice del Premio Carlo Savina –  per il suo grande talento e la bravura che si possono apprezzare nelle sue composizioni. Il Premio Savina – conclude il direttore Antinolfi – vuole essere un ulteriore omaggio ad uno dei più grandi compositori del cinema italiano”.

 

Carlo Savina, durante la sua carriera, compose oltre trecento colonne sonore per registi quali Alessandro Blasetti, Steno vinse molti premi e riconoscimenti tra i quali un “David di Donatello” per la colonna sonora di “Pizza Connection” (1985) di Damiano Damiani con Michele Placido e un “Grammy Hall of Fame Award” nel 2009 per aver diretto il “Love Theme from The Godfather” di Nino Rota.

Il “Premio Carlo Savina” è un omaggio ad un grande Artista che “con cura e sapienza artigianale, è riuscito a fondere arte e mestiere e ha trasmesso ai suoi tanti allievi la passione e la tecnica necessaria per affrontare lo straordinario mestiere di musicista per il cinema”.




Il senatore Quagliarello promette appoggio per la modifica del Decreto Sisma

 

Teramo 6 marzo 2017. Il futuro delle Province e le modifiche al cosiddetto Decreto Sisma – all’esame del Parlamento per la sua conversione in legge – sono stati i temi al centro dell’incontro fra il presidente Renzo Di Sabatino e il senatore Gaetano Quagliarello, accompagnato, quest’ultimo, dal consigliere regionale Mauro Di Dalmazio.

Quagliarello,-Di-Sabatino,-Di-Dalmazio_or
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“E’ stata l’occasione per sensibilizzarlo rispetto agli obiettivi che intendiamo raggiungere, obiettivi ampiamente convergenti con l’Associazione nazionale dei Comuni e con l’Unione delle Province che li hanno fatto propri – ha dichiarato a margine della riunione il Presidente – domani presenteremo gli emendamenti al Decreto ed è fondamentale creare un’ampia rete di condivisione rispetto a quello che sarà il dibattito parlamentare. Per noi, per l’Abruzzo, è importante far comprendere le specificità che sono alla base delle nostre richieste. Quagliarello, inoltre, anche per la sua storia istituzionale, è molto attento rispetto alla questione Province: dopo la bocciatura del Referundum questi enti sono in un guado che rischia di diventare una palude se non si interviene legislativamente, una condizione a tutto discapito dei servizi”.

 




CON LUDOVICO NARDECCHIA FINISCE UN PEZZO DI STORIA AQUILANA

6 marzo 2017

 

 

Un lungo corso come amministratore civico, figura di spicco nel mondo musicale e culturaleLudovico Nardecchia

 

di Goffredo Palmerini

 

 

L’AQUILA – E’ deceduto ieri sera, domenica 5 marzo, all’età di 84 anni. Con la dipartita di Ottavio Ludovico Nardecchia un pezzo di storia aquilana finisce: per il ruolo esercitato per cinque lustri come stimato amministratore civico, per le funzioni apicali nel mondo musicale svolte per 22 anni come Presidente dell’Istituzione Sinfonica Abruzzese, fino al 2010, e poi come Presidente onorario di quella stessa istituzione. E ancora, per l’attività in seno alla Confraternita dei Devoti di Sant’Agnese, nella stagione di rinascita di quella singolare e antica tradizione della Maldicenza agnesina. Questi i ruoli di preminenza. Ma Ludovico Nardecchia è stato ben dentro in molteplici ambienti della vita cittadina, dalla politica alle istituzioni, dalla cultura allo sport, connotando un significativo tratto della storia della nostra Città con la sua intelligenza, con la tenacia tipica degli aquilani provenienti dal Contado, con l’arguzia e il particolare senso dell’ironia, con la sua forte capacità di relazione e con la signorilità del tratto.

 

Originario di Monticchio, una delle 64 frazioni dell’Aquila, Ludovio Nardecchia era entrato in politica nelle file della Democrazia Cristiana. Presto aveva conquistato nelle elezioni del 1956, giovanissimo, uno scranno di consigliere comunale nella vecchia sede municipale, già monastero celestiniano di Santa Maria dei Raccomandati. Riconfermato con largo consenso popolare nei quattro consecutivi mandati, ricoprì più volte l’incarico di assessore in tutti i settori dell’amministrazione civica, nelle varie Giunte dei sindaci – non “provvisori” – succedutisi da quell’anno fino al 1980 (Federico Trecco, Francesco Gaudieri, Umberto Albano, Tullio de Rubeis, Giovanni De Santis, Tullio de Rubeis 2, Ubaldo Lopardi).

 

Candidato sindaco in pectore nelle elezioni amministrative del 1975 – allora non c’era l’elezione diretta del sindaco -, con la subìta flessione della Dc nei risultati elettorali, quella legittima aspirazione di Nardecchia si trovò di fronte al muro alzato dai partiti della coalizione (Psi, Pri, Psdi). Come pure del Pci che, per la prima volta, sperimentava proprio all’Aquila l’ingresso in maggioranza con la Dc, sebbene non direttamente in Giunta, anticipando d’un anno quanto sarebbe avvenuto a livello nazionale tra il Pci di Berlinguer e la Dc di Zaccagnini. Nel 1976, negli anni del terrorismo, quella svolta politica portò infatti al voto d’astensione del Pci nei confronti del 3° governo Andreotti, e poi il 16 marzo 1978, giorno del rapimento di Aldo Moro artefice di quell’operazione, all’appoggio esterno al 4° governo Andreotti.

 

Con l’intesa del pentapartito (Dc, Psi, Psdi, Pri e Pci) su Ubaldo Lopardi sindaco, a Ludovico Nardecchia fu assegnata la delega di vicesindaco, un ruolo che sempre considerò stretto, rispetto alle sue oneste aspettative, anche in ragione dell’ampio consenso personale raccolto. E tuttavia operò con la consueta saggezza e la lunga esperienza d’amministratore. Questo suo ultimo mandato al Comune dell’Aquila, per chi scrive fu invece il primo di sei mandati, lunghi 28 anni, svolti fino al 2007, con un’interruzione dal 1990 al ‘94. Condivisi con Ludovico quei cinque anni a Palazzo Margherita, con una Dc un po’ ridimensionata nei voti e nel ruolo (sebbene forte di 16 consiglieri su 40), in una stagione politica di forte impegno ideale e programmatico. Nel 1976 mi venne affidata la responsabilità di capogruppo consiliare della Dc. Ero assai giovane per un ruolo che richiedeva maturità ed esperienza. Eppure ricordo che fu proprio Ludovico Nardecchia a proporre al gruppo consiliare il mio nome, argomentando e sostenendolo con calore. Nel ‘78, a seguito di frizioni tra i partiti della coalizione, si consumò la rottura dell’alleanza, con la conseguente nascita della prima amministrazione di sinistra al Comune dell’Aquila, con 21 voti. Sindaco sempre il sen. Lopardi, il Pci entrò in Giunta con Antonio Centi vicesindaco e la maggioranza costituita da Psi, Psdi e Pri. La Dc all’opposizione.

 

Fu per Ludovico Nardecchia, come si diceva, l’ultimo mandato al comune dell’Aquila, avendo egli rinunciato nel ‘80 a ricandidarsi nella consultazione vittoriosa per la Dc che portò alla nascita della terza Amministrazione di Tullio de Rubeis, della quale per l’intero quinquennio fui assessore. Ludovico seguì invece assai attivamente la vita di partito, egli sempre vicino al sen. Achille Accili che in quegli anni, insieme a Luciano Fabiani, guidava la componente di sinistra in seno alla Dc. Ed altrettanto fervore Nardecchia dedicò ad altri campi d’impegno, dove ha sempre tracciato un segno rimarchevole. Nel lavoro, dapprima come funzionario direttivo dell’Inam, poi continuato come dirigente della Regione Abruzzo. Ma sopra tutto in campo musicale, assumendo la presidenza dell’Istituzione Sinfonica Abruzzese e guidando poi fino al 2010 – assieme a Vittorio Antonellini direttore artistico – una lunga serie di importanti successi per il prestigioso ente. Subentratogli Antonio Centi alla guida dell’ISA, i suoi meriti venivano riconosciuti con il conferimento della Presidenza onoraria dell’ente, conservata fino ad oggi. L’attivismo sociale di Nardecchia non ha conosciuto mai pause. Va inoltre segnalato l’impulso impresso, unitamente a Tommaso Ceddia e Angelo De Nicola, alla rinnovata “stagione” culturale della Festa di Sant’Agnese, che ha portato l’antica tradizione aquilana all’attenzione nazionale. Come pure vanno ricordate le molteplici iniziative che lo hanno visto protagonista nel sostenere le principali discipline sportive della Città e l’attenzione verso la nostra montagna, una delle sue passioni più autentiche.

 

Ludovico Nardecchia sapeva ascoltare e dialogare con i cittadini. Sapeva stare tra la gente. Un’abitudine ormai in disuso, ora che imperversano i social network e altri media. Era un tratto deciso della sua indole, allenato fin dai primi anni del suo impegno pubblico. Attento ai temi sociali. Con garbo e gentilezza. Con la sua bonomia, la simpatia, la spiccata capacità a tessere relazioni ed a porsi al servizio di tutti. Questa, in fondo, la cifra del suo lungo impegno sociale, politico e culturale per la Città, cui ha dato tutto il suo tempo. Questa la chiave del vasto consenso che i cittadini aquilani, molti proprio del Contado dal quale egli era partito, gli hanno tributato in ogni consultazione elettorale. Lo ricorderemo con il suo sorriso, la voce pacata e suadente, la sua cortesia. A sua moglie Laura e al figlio Giovanni l’orgoglio di custodirne il ricordo. Agli aquilani un buon esempio di cittadino impegnato e di accorto amministratore civico.

 




Giulianova. Il cordoglio del sindaco Mastromauro per la scomparsa del giornalista Lino Manocchia.

Il sindaco Francesco Mastromauro appresa la notizia della scomparsa di Lino Manocchia esprime tutto il suo cordoglio e quello della città di Giulianova per la perdita di un cittadino illustre di Giulianova, giornalista di fama e persona di grandi doti umane e professionali.

Foto Archivio Il Sindaco, Francesco Mastromauro
Foto Archivio Il Sindaco, Francesco Mastromauro

“Lino Manocchia – dichiara il sindaco – è stato uno dei grandi giornalisti della nostra città. Giulianova infatti nel corso di un secolo ha annoverato grandi firme entro una lunga tradizione in campo giornalistico. Oltre al padre Francesco Manocchia, grande giornalista ma anche letterato cui l’Amministrazione comunale nel 2013 ha intitolato una via, vanno ricordati Francesco Contaldi, direttore di testate giornalistiche e uno dei grandi traduttori annoverati dall’Abruzzo,ma anche, in tempi più recenti, Italo Moretti. Senza dimenticare che a Giulianova nel 1909 vennero poste le basi per la nascita dell’Associazione della Stampa abruzzese. Ai familiari di lino Manocchia, del quale ricordo la simpatia, l’affabilità e il grande amore per la città natia, il cordoglio mio e della sua Giulianova”.




Giulianova. Morte Lino Manocchia: anche la matita del “DISTE” ricorda il collega giuliese scomparso a New York

Giulianova. Anche il nostro collaboratore e sagace vignettista della Artemia edizioni , Vladimiro Di Stefano, ha dedicato una sua vignetta al collega scomparso ieri a New York, dal titolo “un giuliese in paradiso”. Proprio il nostro collaboratore – Di Stefano – disegnò diversi schizzi per onorare la lunga carriera di Lino. Ringraziamo Vladimiro per averci concesso l’utilizzo delle immagini

Vignetta per Lino Manocchia dal DISTE
Vignetta per Lino Manocchia dal DISTE

Poi seguirono altre vignette già viste dal grande Lino

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Giulianova. A New York è morto il decano dei giornalisti giuliesi, Lino Manocchia

E’ scomparso il decano dei giornalisti giuliesi, Lino Manocchia

(Giulianova, 20 febbraio del 1921 – New York, 4 marzo 2017)

 

Giulianova, 4 marzo 2017. Oggi, a New York, intorno alle 10,00 del mattino, le 16,00 italiane, è scomparso il decano dei giornalisti giuliesi e italo-americani, Lino Manocchia. Ne danno notizia i familiari, la direttrice della casa editrice “Artemia” di Mosciano Sant’Angelo, Maria Teresa Orsini e il collega di giulianovanews.it, Walter De Berardinis, amico personale del giornalista giuliese. Nonostante avesse da poco compiuto 96 primavere, l’anno scorso ancora dialogava via cavo e skype con la direttrice e i collaboratori della Artemia editrice, con cui si stava lavorando per l’ennesimo lavoro editoriale che seguiva lui stesso da New York.

Lino Manocchia
Lino Manocchia

Sono addolorata – afferma Maria Teresa Orsini – un giornalista dai modi cortesi e affabili. Una grande personalità e caparbietà, dovuta – continua la Orsini – al fatto che aveva perso il papà (il giornalista Francesco Manocchia) sotto i bombardamenti degli angloamericani a Giulianova nel 1943/1944; ed era reduce dalla prigionia in Germania, dopo essere stato sul fronte balcanico. Abbiamo perso – conclude Maria Teresa – un grande italo-americano, sicuramente nei prossimi mesi lo ricorderemo come giusto che sia per le grandi personalità.

Maria Teresa Orsini, Stefano Pallotta e Walter De Berardinis
Maria Teresa Orsini, Stefano Pallotta e Walter De Berardinis

Targa di giulianovanews,it a Lino Manocchia Targa dell'ODG a Lino Manocchia

Anche il collega Walter De Berardinis lo ricorda così: alla fine del 1998 e gli inizi del 1999, in qualità di redattore del quotidiano online giulianova.it, di proprietà della società “Genesi” di Marco De Merulis, decidemmo di dedicare una rubrica da New York con il grande Lino Manocchia e successivamente emigrò nella mia testata giulianovanews.it; poi seguì la biografia mia e quella della scrittrice Alida Scocco Marini e successivamente due libri “Lino e il microfono” (le sue migliori interviste con i grandi dell’epoca) e “Quando c’era la guerra” ( dove si ricordava il papà nella 1° guerra mondiale), entrambi editi dalla Artemia editrice di Mosciano Sant’Angelo. Perdo un amico, un collega ed anche un pezzo di storia giuliese. Frequenti e notturne, le tante telefonate che Lino mi faceva perché dimenticava il fuso orario tra New York e Giulianova. Devo ringraziare il Presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Stefano Pallotta, che durante il premio “Polidoro” a L’Aquila ci consegno una targa d’argento alla carriera per Lino Manocchia. Mi dispiace che le varie giunte regionali abruzzesi, nonostante mie sollecitazioni, non attribuì mai la prestigiosa medaglia “Aprutium” premio dedicato agli abruzzesi che si sono distinti fuori dai confini nazionali.

 

 

100 foto di Lino Manocchia

 

 

 

“…Le avversità possono essere delle formidabili occasioni”

Thomas Mann, scrittore (1875-1955)

Lino Manocchia

L’Incredibile storia del decano dei giornalisti giuliesi

di Walter DE BERARDINIS*

 

Il papà di Lino Manocchia, Francesco Manocchia
Il papà di Lino Manocchia, Francesco Manocchia

Lino Manocchia militare
Lino Manocchia militare

Lino Manocchia prima di partire per gli USA
Lino Manocchia prima di partire per gli USA

Pasquale, Omero, Marino Manocchia, per tutti Lino, nasce all’alba (3,00) di un freddo mattino a Giulianova alta il 20 febbraio del 1921, nell’abitazione di Via XX settembre (centro storico) è il primogenito del giornalista e scrittore, il Cav. Francesco Manocchia, poi scomparso nel bombardamento su Giulianova del 29 febbraio del 1944, e di Filomena Spadacci, d’origini toscane. Quel giorno, davanti all’ufficiale dell’anagrafe si presento il papà Francesco con due suoi amici come testimoni: Tommaso Lattanzi, impiegato e Pasquale Galantini, proprietario. Dal matrimonio di quest’ultimi, nacquero anche i suoi tre fratelli: Franco, giornalista del Corriere della Sera; Omero (poi morto per malattia a 17 anni) e Benito (per tutti Benny), corrispondente della Rusconi dagli USA. In realtà il vero nome di Lino è Pasquale (nome del nonno paterno), Omero (nonno materno) e Marino (lo zio paterno di Pittsburgh). Anche se in famiglia lo chiamavano tutti con il diminutivo di Pasqualino, ma per tutti era semplicemente, Lino. L’infanzia a Giulianova viene vissuta soprattutto con i nonni paterni, Pasquale, noto calzolaio della città (poi morto all’età di 94 anni) e della nonna, Lucia Macellaro, casalinga (abitavano dietro l’odierna scuola elementare Edmondo De Amicis, in Via Diaz).

Piazza dove morì il papà di Lino
Piazza dove morì il papà di Lino

Si narra che aveva accarezzato il sogno della vita eclesiastica tanto da costruirsi un altarino in casa dove recitava preghiere e andava a suonare le campane nel vicino Duomo di San Flaviano. Tanto fu che il padre in una delle tante trasferte romane per lavoro contatto personalmente il cardinale Alessio Ascalesi (Afragola, 22 ottobre 1872 – Napoli, 11 maggio 1952) per farlo entrare al seminario di Teramo dove rimase solo due anni. Non mancheranno le occasioni per frequentare i nonni materni in Toscana, nel borgo di Montefollonico, frazione del Comune di Torrita di Siena ed anche a Montepulciano, dove viveva la zia, sposata con un ricco commerciante di stoffe. A Giulianova, gli amici più cari che frequentava erano: Carlo Marcozzi (poi sposato con la Branciaroli), Guido Pompei, Renato Campeti, Ernesto Ciprietti, l’affezionato Giancola e poi Giorgio De Santis, figlio del Sindaco, il geometra Bruno Solipaca, Dante Paolini (giocatore di serie A negli anni 40’/50), Poliandri, Rossi, Epimerio Taffoni, quest’ultimi noti sportivi giuliesi. Intanto il padre, cerca di investire i suoi risparmi nell’ acquisto di una cartoleria/edicola in città ed anche un piccolo appezzamento di terra. Nel frattempo la famiglia si sposta, vicino alla Chiesa di Sant’Anna, dietro il Torrione ed infine, alla fine degli anni ’30 nel palazzo dietro il Comune, dove viveva anche Renato Morganti, padre della sua maestra Maria. Finite le scuole del regno, si iscrive al Regio Istituto Tecnico Industriale “Raffaele Pagliaccetti in  Piazza Vittorio Emanuele II (oggi Piazza della Libertà), diretto dal Dott. Marucci. Alla fine degli anni ’30, quasi diciottenne, ebbe modo di conoscere e frequentare l’Avv. Attilio Re. Le prime battute dell’Avvocato furono profetiche: “perché non scrivi come tuo padre francescuccio, scrivi sul nostro Giulianova calcio. Se sbagli ti aiuto io”. Arrivò quel giorno, la squadra vinse e dovette mantenere la parola data. Poco dopo si recò al Caffè di Germano, nel cuore di Corso Garibaldi, l’Avvocato lesse l’articolo ed approvò. Scese in tutta fretta le scalette che conducono al lido e trasmise, con l’unico telefono pubblico, tutto l’articolo alla redazione.

Lino e Benny Manocchia
Lino e Benny Manocchia

Quel primo articolo gli consentì di prendere la tessera d’ingresso al campo. Il padre, severo, insistette per non farlo continuare, è gli ripeteva sempre: “ con questo mestiere ci si muore di fame”. Ma lui serafico rispondeva: “Ma papà, tu sei un morto di fame!”. Poi iniziò le cronache della famosa Coppa Alleva, in occasione della festa della Madonna dello Splendore del 22 aprile e la sua partecipazione a bordo della splendida Lancia Lambada di Pierino De Felice, con tanto di premiazione con la banda di Introdacqua, diretta dal noto maestro Di Rienzo. Poi tutte le cronache del calcio giuliese: vero, vivo, combattuto sempre nella lealtà, quello di Paolini, Taffoni, Poliandri, Rossi, contro squadroni del calibro della Maceratese, Sambenedettese, Fermana, Teramo, Chieti, Vasto ed altre.

Strano destino quello di Lino, un bel giorno la sua famiglia ricevette dai due fratelli paterni (Gino e Marino Manocchia, proprietari di una fabbrica di tabacchi in Pennsylvania) i biglietti che li avrebbe portati in America. Ma la nonna, Lucia Macellaro, di instabile salute, convinse suo padre a restare a Giulianova.

Con l’avvento del Fascismo, ma anche durante la sua formazione scolastica, partecipò con i movimenti giovanili dell’epoca. Con il tema “Guardo in alto, ammiro e penso”, partecipò agli Agonali Fascisti per le scuole giuliesi, piazzandosi ai primi posti. Poi ci furono le selezioni provinciali a Teramo. Arrivò prima, ma dopo un consulto della giuria, fu retrocesso al secondo posto con un diploma e il primo premio andò al nipote di un funzionario di stato. Si presentò anche agli Agonali sportivi della provincia, partecipò ai cento metri con un paio di scarpette bianche da ballo, mentre il rivale teramano, Lanciaprima, arrivò prima, ma con delle vere e proprie scarpe da ginnastica. Mestamente di accontentò del secondo posto tra gli applausi dei presenti. Dopo la fine della scuole superiori, trovò posto a Torino come supplente (Italiano e Tecnologia).

Finito il periodo torinese, il padre lo iscrive al Regio Collegio Aeronautico “Bruno Mussolini” di Forlì, per istradarlo ad una sicura carriera militare nella Regia Aeronautica Italiana. Un bel giorno, in visita al Regio Collegio, arrivò il Duce in persona, da buon giuliese si fece avanti per stringergli la mano. Al termine della visita ufficiale, il redattore dell’EIAR (l’agenzia di stampa governativa) dettò il resoconto della visita, ma il suo collega aviere, preso dall’emozione non riuscì ad affilare una parola. All’ora il Colonnello lo chiamò e gli chiese di trascrivere il resoconto. Poi, dopo la stesura, lo stesso Mussolini lo visionò e si congratulò con lui e chiese chi era quel bravo ragazzo. Quando rispose con nome e cognome, il Capo del Fascismo sorrise ed esclamò: “…sei il figlio di Francesco?”. Infatti, il padre, allora era il corrispondente da Teramo per il “il Popolo d’Italia”, il quotidiano del Partito Nazionale Fascista. Poco dopo, allo scoppio la guerra, inquadrato nella Regia Aeronautica Italiana, verrà trasferito a Mostar, nell’ex Jugoslavia. Ebbe modo di incontrare con il concittadino, Elio Fracassa, già esattore delle giocate delle lotterie di stato. Dopo la resa dell’Italia dell’8 settembre, e dopo una lunga odissea dentro i vagoni merci, come giovane sottotenente, fu internato in uno stalag nelle zone di Francoforte sul Meno, in Germania. L’internamento era stato così duro, che anche oggi fatica a ricordare quei terribili giorni di sofferenza.

Dopo tre anni di dura prigionia, viene rimpatriato, ma fa l’amara scoperta che suo padre è morto a causa di un ennesimo bombardamento angloamericano su Giulianova. La bomba, caduta il 29 febbraio del 1944, aveva centrato in pieno il palazzo (dietro l’odierna sede comunale). Morirono molti condomini e per fortuna si salvarono la Madre e i suoi tre fratelli. Tra l’altro, uno dei fratelli, Benito, fu colpito da ben 30 schegge. Poi gli anni duri della ricostruzione, venticinquenne, con una vita tutta da inventare, con i primi lavori con il Comune di Giulianova, organizzando eventi per le feste d’estate, un modo per aiutare la madre ed i suoi tre fratelli più piccoli. Innamoratosi della sua concittadina, Ada Di Michele, figlia di emigranti italiani già negli USA, nata nell’Ohio, sfocerà in matrimonio il 15 luglio 1948, nella parrocchia del lido. Intanto aveva ripreso le collaborazioni con diverse testate giornalistiche italiane, molte delle quali dirette dai colleghi di suo padre Francesco. Ma anche a livello locale seguiva le vicende della sua città. Come quella dell’Avv. Riccardo Cerulli, che voleva “annettere” la frazione di Cologna (Roseto degli Abruzzi) a Giulianova. Poi la battaglia giornalistica in favore della salvaguardia dell’ex Colonia Rosa Maltoni Mussolini. C’erano anche le grandi serate al Kursaal, dove allestiva delle splendide serate con cantanti, sfilate di Miss, orchestre e balli, tutto intorno al mitico Trenino di Santa Fè, un trenino dove venivano approntati dei mini locali per servire gli avventori; successivanete cambio nome in “Il Calipso Fiorito” e poi la famosa “Lanterna Blu”; dove si esibirono i migliori cantati dell’epoca: Mina, Jula De Palma, Peppino Di Capri, Nicola Arigliano, Nico Fidenco, ecc. Nonostante l’impegno e la voglia di riscatto, per Lino si profilava la via dell’espatrio per accarezzare il sogno americano. Era nei primi giorni di marzo del 1949, quando, con il piroscafo Vulcania si imbarcò a Napoli insieme alla moglie (tratta Genova-Napoli-New York) alla volta degli USA. Salutò Giulianova con una serata indimenticabile a casa di Bruno Solipaca ed in compagnia di Giorgio De Santis, Dante e Renato Granata, Claudio Gerardini, Carlo Marcozzi e Renato  Lattanzi.

Arrivato a New York, visse un periodo nel Bronx, nel quartiere “Piccola Italia”, poi nella zona del Westchester, oggi nota zona residenziale. All’inizio si arrangiava facendo il macellaio con il suocero (già cittadino americano), ed inseguito, con un cuoco sorrentino aprì un ristorante “da Capri”. Uscito fuori dal mondo della ristorazione, per via degli inizi di collaborazioni con la “Voice of America” e anche come corrispondente dall’estero per giornali italiani. Iniziò anche con la tv americana, presentando un programma televisivo settimanale sulla rete “Wevd” e uno radiofonico sulla “Whom”. Mentre, si stavano aprendo le porte dei famosi studios americani con le “prime” mondiali del mondo della celluloide. Numerosi e tanti, furono gli attori ed attrici che ha intervistato e conosciuto dei quali conserva ancora preziose foto. Ha incontrato ed intervistato personaggi come: Frank Sinatra, Dean Martin, Perry Como, Rocky Marciano, Juan Manuel Fangio, Mario Andretti e tanti altri illustri personaggi. Durante il lavoro con Voice of America, Manocchia ha avuto modo di intervistare cinque Presidenti americani: Eisenhower, Kennedy, Johnson, Carter e Clinton. Manocchia trovava anche il tempo per inviare, tramite la Voice of America, servizi regionali per l’Abruzzo, con la Rai di Pescara, allora diretta dal noto giornalista Dino Tiboni. Iniziò come corrispondente del “Messaggero” di Roma, il “Secolo XIX” di Genova, la “Gazzetta di Mantova”, ed altri. Poi l’incontro con il grande giornalista Luigi (Gino) Palumbo che lo portò a “Sport Sud” e poi al “Corriere della Sera”, dove collaborò per nove anni, per poi passare alla “Stampa” di Torino. E’ stato anche cofondatore di “Stadio” di Bologna, assieme a Remo Roveri ed altri, poi divenuto “Stadio-Corriere dello sport”, la cui collaborazione continuò anche dagli Stati Uniti con interessanti reportage. E’ stato inviato speciale di importanti testate, narrando della “SAC”, la Linea aerea strategica degli Usa, un paio di lanci di satelliti in coppia col compianto collega Ruggero Orlando, ricevendo anche dalla Commissione della Rai il più alto elogio per una sua trasmissione sull’anno geofisico. Senza trascurare di intervistare tanti abruzzesi in America, narrando le loro “odissee”. Corrispondente ventennale con i settimanali automobilistici “Rombo” (con il giornalista teramano  Marcello Sabbatini, recentemente scomparso), “Autosprint” e “Controsterzo”, ora concentra la sua attività, malgrado le numerose primavere, ancora pubblica i suoi lavori su Internet. La sua famiglia è nata nel giornalismo, dopo Lino, emergono Franco, ex redattore del “Corriere della Sera” e poi Benny (Benito), anch’egli dagli Stati Uniti per la “Rusconi”. Manocchia ha avuto numerose offerte per scrivere qualche libro sulla sua attività americana e soprattutto sui 40 anni ad Indianapolis” la famosa 500 miglia, la corsa più spettacolare del mondo. Oggi Manocchia vive a Cambridge nello stato di New York, insieme a suo figlio Adriano (sposato anche lui con la giuliese, Teresa Schiavi), noto artista e suo nipote Adriano Jr, manager del reparto ricerche della Cornell University di Ithaca a New York. Nonostante l’età, sfidando spesso i disagi dei voli aerei, segue le varie manifestazioni motoristiche delle quali è un noto esperto, incontrando famosi attori americani, appassionati di motori, una passione nata da un’intervista a Tazio Nuvolari, prima di una Coppa Acerbo a Pescara. A cavallo della fine degli anni ’90 e gli inizi degli anni 2000 inizia una fitta corrispondenza via mail e via cavo con il sottoscritto, poi sfociata nella collaborazione con il mio giornale giulianovanews.it e successivamente con il giornale online diretto dal collega Ludovico Raimondi, giulianovailbelvedere.it. Successivamente inizia le collaborazioni abruzzesi con News Italia Press; la Gazzetta del Sud africa; primadanoi.it, abruzzopress.info del collega Marino Solfanelli,  Nell’aprile del 2008, proposi un riconoscimento pubblico a Lino tramite la Regione Abruzzo con il premio Aprutium e al Comune di Giulianova, con una targa di riconoscimento, ma senza esito in entrambi i casi. Nel dicembre 2014 fui più fortunato, grazie alla mia proposta e all’impegno profuso del Presidente dell’Ordine dei giornalisti d’Abruzzo, Stefano Pallotta e la commissione giudicatrice della XIII edizione del Premio Polidoro ritenne di assegnare un encomio per la carriera al “nostro” Lino Manocchia. La cerimonia di premiazione si svolse venerdì 12 dicembre, presso l’auditorium Bper a L’Aquila con la prestigiosa presenza del Presidente onorario dell’Accademia della Crusca, Prof. Francesco Sabatini e la presenza delladirettrice della Artemia, Maria Teresa Orsini che ritirò il premio. In realtà a Lino il 24 ottobre 2013, a Giulianova, durante la presentazione del suo volume  dal titolo “Lino e il microfono”, fu omaggiato dalla sua Giulianova grazie proprio alla casa editrice Artemia Editrice diretta da Maria Teresa Orsini. Oltre agli innumerevoli riconoscimenti durante la sua professione ricevuti nella sua straordinaria carriera, Manocchia, il 23 aprile 1946, a firma del Ministro della Casa Reale Lucifero Falcone (Falcone Lucifero dei marchesi di Aprigliano (1898-1997)), fu nominato Commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia. Oltre all’encomio, anche la la mia testata online www.giulianovanews.it ha ritenuto di omaggiare il giornalista giuliese con una targa di merito consegnata a L’Aquila nel 2014, che recita la seguente frase: “al decano dei giuliesi Lino Manocchia, dedico questa frase di Enzo Anselmo Ferrari (Modena, 18 febbraio 1898 – Modena, 14 agosto 1988) “Sono i sogni a far vivere l’uomo. Il destino è in buona parte nelle nostre mani, sempre che sappiamo chiaramente quel che vogliamo e siamo decisi ad ottenerlo.” Con l’opera “La lotteria, un campo tedesco per prigionieri di guerra” al commendatore Lino Manocchia vinse il premio “MONTEFIORE NEL MONDO”, era il 28 Settembre alle ore 15.00 presso il Teatri Malatesta di Montefiore Conca. Da non dimenticare le uniche due biografie pubblicate su Lino: una del sottoscritto sull’annuale storico “Madonna dello Splendore” e successivamente dall’amica e collega, Alida Scocco Marini nel secondo tomo di “Conosciamoci e facciamoci conoscere”; Poi lAccademia Culturale Internazionale di San Giovanni Crisostomo, presieduta dal Presidente, Giuseppe Del Zoppo il 17 agosto 2013, presso la sede del Centro Culturale San Nicola a Pescocostanzo (AQ), in occasione del Premio culturale Internazionale, “ SAN GIOVANNI CRISOSTOMO “ premiarono me e Lino per l’attività giornalista

 

Lino Manocchia: “Rifarei tutto, ma cancellerei i dolori della guerra”. Mentre scrivevo questo breve profilo biografico, gli ho chiesto: ricominceresti da capo senza cambiare nulla? Lui mi ha risposto: “Certo che accetterei. Ma cancellerei la parentesi della prigionia in Germania e la perdita di mio padre sotto le bombe. La vita mi ha dato tanto ed io le sono grato insieme alla Provvidenza che mi ha guidato, aiutato e sorretto,  facendomi acquisire una esperienza favolosa. Ringrazio anche il dono della capacità di volgere in gioco le più crudeli avversità di comunicare col pubblico, in un sapiente dosaggio di ruoli. La mia vita è un romanzo multicolore, bello, reso affascinante dalla moltitudine di soggetti incontrati e trattati.” Credo, alla luce di quanto raccontato, che questo illustre giuliese, ultra 90enne ed ancora in attività, abbia una miscela esplosiva di estro e di calcolo, di impulsività e scetticismo, condito dalla spregiudicatezza che accomuna molti giuliesi conosciuti fin adesso. Eppure non c’è stato interlocutore più amabile, agguerrito e conversatore come lo è lui. Uno che si reputa “artigiano” della penna. Un cronista chiaro nell’esposizione dei fatti raccontati. Che magnifico istrione questo Lino Manocchia,  nato a Giulianova quasi 96anni fa. Credo che la Città di Giulianova lo debba onorare con un encomio pubblico per aver portato il lavoro e la laboriosità di noi giuliesi fuori dai confini nazionali e con la speranza che lo faccia il CRAM Abruzzo per un abruzzese che ha onorato la sua regione.

Non so se farà piacere e se leggera questo mio pezzo Lino, il “monello” come lui e il collega Ludovico Raimondi amano spesso chiamarmi, spera che i posteri possano in seguito rileggere e riscoprire chi della giuliesità prima e l’italianità dopo, ha dimostrato di farsi valere fuori dai confini regionali; mentre scrivo quest’ultime righe penso a mio fratello Arino che ha dovuto emigrare per realizzarsi niente di poco meno che a Tokyo e alla sfortunata sulmonese Fabrizia Di Lorenzo che aveva appena accarezzato il sogno di realizzarsi fuori i confini nazionali. Non me ne voglia Lino, ma a queste due ultime persone va il mio pensiero di abruzzese e giuliese.

 

 

 

 

*giornalista e fondatore della testata giornalistica giulianovanews.it




Mutignano (Pineto). L’abruzzese Stefano Costantino morì, nel 1925, nella costruzione del “Welland Ship Canal” in Canada.

Pescara, 4 marzo 2017

L’abruzzese Stefano Costantino morì, nel 1925, nella costruzione del  “Welland Ship Canal” in Canada. Era nato a Mutignano frazione di Pineto (TE) il 21 febbraio del 1895. Una ballata, scritta da Jimmy Loftus, divenne poi  “La ballata di Costantino”.

 welland

Stefano Costantino nacque a Mutignano frazione di Pineto (TE) il 21 febbraio del 1895. La madre Lucia D’Isidoro era nata a Silvi e lì probabilmente risiedeva la famiglia. Infatti al suo arrivo ad “Ellis Island”, nel 1923,  gli fu attribuita come città di provenienza proprio quella di Silvi. Stefano, aveva 28 anni, quando attraversò l’oceano, sul transatlantico “Conte Rosso”, per giungere negli Stati Uniti. La prima destinazione fu la  Pennsylvania dove era già arrivato, qualche anno prima, il fratello più grande  Giovanni “John” (nato probabilmente nel 1887). Stefano andò a lavorare in miniera. Dopo qualche tempo gli capitò di leggere un annuncio: “si cerca  manodopera per la costruzione di un grande canale in Canada”. A Stefano non sembrò vero. Poteva lasciare, finalmente, il buio soffocante della miniera per andare a guadagnare più soldi. Firmò il contratto con un’agenzia, salutò il fratello e partì destinazione Canada. Andò a lavorare nella sua costruzione di una delle più imponenti realizzazioni: il “Welland Ship Canal” un canale navigabile che collegando il Lago Ontario al Lago Eire consentiva di bypassare le “Niagara Falls” (le Cascate del Niagara). La costruzione del “Welland Ship Canal” implicava, purtroppo, una grave pericolosità. Quando fu terminata la sua realizzazione  si contarono ben 137 lavoratori caduti. In questo tragico elenco ci sarà, purtroppo, anche il nome di Stefano Costantino. Era il 30 maggio del 1925 e Stefano ed il collega George Spencer stavano lavorando al “Lock 3 – Section 2”.  Quando, all’improvviso,  si staccò dall’alto un gigantesco blocco di cemento che travolse i due lavoratori. George Spencer, riportò solo diverse fratture, ma miracolosamente salvò la vita. Non ci fu nulla da fare per lo sfortunato ragazzo abruzzese. Rimase  sepolto sotto le macerie ed i rottami di una barriera che lo avrebbe dovuto proteggere.  Naturalmente, anche se era evidente l’assoluta carenza di credibili misure di sicurezza, l’inchiesta stabilì la fatalità come accidentale. L’azienda portò testimonianze, assai discutibili, di un avvertimento dato dal caposquadra e non udito dal povero ragazzo. Stefano Costantino lasciò nel dolore la moglie, Bettina, un figlio e due figlie. Oltre alla madre, al fratello John che viveva in Pennsylvania ed altre 3 fratelli che erano rimasti in Italia.  Nella piccola ed umile casa di “St. Catharines” dove l’aveva ospitato Camillo, un suo cugino, si recarono tutti i lavoratori e i cittadini per onorare la memoria di questo sfortunato ragazzo e lasciare un contributo solidale alla famiglia. Ci fu un episodio che merita di essere raccontato. Solo qualche giorno prima Jimmy Loftus, giornalista e scrittore, che da tempo seguiva i lavori di quella che lui amava definire “Big Dich”, aveva scritto una struggente ballata “The Great Saint’s Medal”. In questa Jimmy raccontò la morte di un lavoratore e il miracoloso salvataggio di un altro Tutto sembrò essere la descrizione, incredibilmente esatta, di quello sarebbe poi divenuta la tragedia di Stefano Costantino. Per tutti quella divenne “La ballata di Costantino”. Dopo tanti anni il Governo Canadese ha deciso di realizzare un monumento che ricordi le vittime del “Welland Ship Canal”.

Geremia Mancini – Presidente onorario “Ambasciatori della fame”.




La nuova scultura di Guadagnuolo per la Festa della Donna 2017

La nuova scultura di Guadagnuolo per la Festa della Donna 2017

Francesco Guadagnuolo - Femminicidio, quel che resta per non dimenticare. Part. Francesco Guadagnuolo - Femminicidio, quel che resta per non dimenticare

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La Festa della donna  ritorna ogni anno per richiamare all’attenzione sia le battaglie sociali, economiche e politiche del mondo femminile, sia le violenze e discriminazioni di cui sono ancora argomento in tanti angoli del mondo. Ed per questo  in occasione della Festa della donna 2017, sarà presentata l’opera scultorea di Francesco Guadagnuolo intitolata “Femminicidio, quel che resta per non dimenticare”, la quale vuole rivolgere l’interesse su questa ferita della società contemporanea, purtroppo ancora più contingente e, indurre le nuove generazioni ad un comportamento di aiuto e di educazione vicendevole.

L’opera punta a stimolare il mondo interiore, indicando la congettura retrograda di chi crede ancora la donna, un oggetto da padroneggiare. Il disastro di talune relazioni sentimentali e atteggiamenti esaltati, spinti fin oltre ad eccessi, hanno dato vita a delle battaglie di sensibilizzazione da parte di tante Associazioni benefiche.

L’interesse dell’opera scultorea di Guadagnuolo cela proprio ciò che è compendiato in “drammaticità“, l’apparente normalità che, rivestita da un’apparente maschera, cela appunto il dramma. Questo dramma sopravvissuto da tante donne, si identifica in questo caso in una testa di donna spoglia, di un colore blu distinto, seducente, rifinito, che vibra come il cuore rosso inserito nell’opera malgrado l’espressione del volto sospeso. Quindi la presenza del colore blu e del rosso nella scultura di Guadagnuolo servono a sottolineare il carattere drammatico della circostanza. Un “mezzo busto – manichino“, dal seno formoso, svela un corpo che diviene come mutilo quando il legame relazionale, si trasfigura in aggressività. In esso sono assemblati vari oggetti, come il teschio rosso, in basso, al centro, che è simbolo di un destino al quale la donna va incontro senza saperlo, che separa il rosso sangue delle scarpe ormai entrate nel collettivo come simbolo di violenza alle donne. Ciò che resta – la borsetta, gli occhiali, il reggiseno, il telefono, l’orologio, il profumo, evocano la vita quotidiana femminile.

L’opera ci vuole comunicare come dietro quel busto-manichino, visto come un oggetto, ci sia un corpo pensante che vive di sentimenti ed emozioni. La scultura densa di una carica emotiva è simbolo di una transrealtà corporea che si concretizza attraverso un gioco di pieni e di vuoti. Tutto questo è immerso in un silenzio che evidenzia la dimensione senza tempo. L’opera scultorea dell’artista mantiene una sua prospettiva e si compone su diversi piani, in un palcoscenico enigmatico.

L’artista ci vuole esortare alla necessità della formazione dell’uomo nella sua sfera affettiva sin dall’infanzia, affinché acquisisca la consapevolezza del rispetto della persona dell’altro sesso e della vita stessa. Con questo obiettivo si è scelto di presentare l’opera presso una Scuola del Lazio. Infatti, in occasione della Festa della Donna, martedì 7 marzo 2017, alle ore 10,00 nell’Aula Magna “Duilio Cambellotti” dell’Istituto “Giacomo Matteotti” di Aprilia (LT), sarà presentata la nuova scultura di Francesco Guadagnuolo. Interverranno: la Dott.ssa Anna De Fazio – Vicepresidente dell’Associazione “Io non ho paura” di Roma, dove Presidente è l’attrice Maria Grazia Cucinotta, la Dott.ssa Francesca Malatacca – Psicologa e Psicoterapeuta, in qualità di Direttore Scientifico dell’Associazione e il Maresciallo Michele Piccione del Comando dei Carabinieri di Aprilia.




Giulianova. Il 7 marzo al Kursaal “Donne, tra sogno e triste realtà”, convegno sullo sfruttamento delle donne.

Il prossimo 7 marzo al Kursaal di Giulianova Lido, a partire dalle ore 8,
si terrà il convegno “Donne, tra sogno e triste realtà” a cura
dell’assessorato per le Pari opportunità del Comune e del Dipartimento
di accoglienza turistica dell’Alberghiero “Crocetti” di Giulianova.
Dopo i saluti del sindaco Francesco Mastromauro, della vice con delega
alle Politiche sociale Nausicaa Cameli, di Marilena Andreani, presidente
della commissione pari opportunità e di Alessandra Genco, consigliera di
pari opportunità regionale, moderati da FiammettaLocandina convegno donne tra sogni e triste realta
Ricci,dell’università di Teramo, interverranno Michela Manente,
avvocato dell’associazione “On the road”, e frà Loris
D’Alessandro, frate dell’Ordine dei frati minori di Palermo. Al
dibattito parteciperà anche Laura Pratesi, primo dirigente della Polizia
di Stato, responsabile della Divisione anticrimine questura di Teramo.
“Il convegno giuliese – dichiarano Cameli e Andreani – è un’occasione per
fare il punto sulla condizione di moltissime donne che si vedono strappare
e cancellare il loro sogno di avere una vita dignitosa e migliore. E
invece, purtroppo, molto spesso quello che ritenevano un’occasione di
riscatto diviene un vero inferno perché la realtà che vivono è del tutto
diversa. Sfruttate lavorativamente oppure adescate e fatte prostituire. In
ogni caso scivolando in una condizione di forte marginalità e di disagio.
Un mondo sommerso che deve invece sollecitare la massima attenzione anche
e soprattutto dei giovani”.
Verranno rilasciati crediti formativi per gli avvocati e per gli assistenti
sociali.