ATRI RESPIRA STORIA. Glorie e meraviglie di un sito incantato

 

Il parco della Villa comunale emana un mix di profumi inebrianti, i turisti fotografano da vicino fiori ed essenze che ornano le aiuole, tutte accuratamente ben curate. Sono tedeschi della Baviera arrivati sin qui per un tour tra le città d’arte più belle d’Italia, con guida turistica e macchina fotografica tra le mani. «Hanno conosciuto Atri attraverso una visita al British Museum» sottolinea Mimma Centorame, assessora al Turismo che aggiunge: «Molti suppellettili ed oggetti rinvenuti nella nostra città furono acquisiti dalla collezione Hamilton nel 1777». Della trimillenaria Atriil gruppo saanche che fu citata da storici famosi (“Tito Livio und Plinio”) e che la signoria degli Acquaviva, a partire dal XV secolo, legò per quattro secoli la sua storia a quella della città, che riassume nelle vestigia dei suoi monumenti il passaggio delle diverse civiltà che ne compongono la storia.

Fu proprio Tito Livio a definire l’antichissima Hatria, la città degli Adriani, «Tuscorum Colonia», come dimostrerebbero vasetti di bucchero e buccheroidi ivi trovati; questa città, che gli storici considerano di origine siculo-illirica, assegnandone agli Etruschi solo una specie di protettorato, nei tempi remoti superava per popolazione ed importanza la stessa Interamnia, l’attuale Teramo, grazie anche al suo fiorente commercio marittimo. La grandezza preromana di Atri è confermata anche dalle monete recanti il nome della città di cui si parlava poc’anzi: su di esse è raffigurato un cane, simbolo del dio Adrano, venerato dai Siculi.

La città consta di due parti, l’una compresa entro l’antica cerchia di mura con andamento ellitico, eretta nel 1528, l’altra si stende al di fuori di essa. Il primo incontro con la città è a Piazza Duomo, spazio suggestivo ove si affacciano splendidi edifici religiosi ed imponenti palazzi nobiliari che vanno dal periodo rinascimentale e Barocco sino allo stile Liberty e che insistono su Corso Elio Adriano, intitolato all’omonimo imperatore. Dal cuore della città inizia il «percorso giubilare» che, dopo una visita al Teatro comunale (inaugurato il 25 aprile 1881: ricalca all’esterno la “Scala” di Milano, mentre all’interno ricorda il “San Carlo” di Napoli), al convitto vescovile e all’Episcopio, prende corpo con la maestosità della Cattedrale, costruita da Raimondo Di Poggio e Rainaldo da Atri nel 1260 in sostituzione di una delle sette chiese al mondo ad avere una Porta Santa e la correlata indulgenza plenaria. Si tratta di una chiesa romanica a cinque navate eretta verso la seconda metà del XII secolo. I lavori si conclusero nel 1305 mentre il campanile, di cui fu autore Antonio da Lodi, fu finito nel 1502. L’elegante e maestosa facciata presenta, sopra il portale un magnifico rosone a forma di una maestosa ruota; l’interno è a tre navate, e presenta un’abside quadrata. La volta è caratterizzata dai deliziosi affreschi di Andrea De Litio, di Lecce dei Marsi, ciclo di affreschi del Presbitero (o coro dei Canonici) che rappresentano una delle più alte espressioni dell’arte rinascimentale dell’Italia centro-meridionale e che raccontano storie del Vangelo e la vita di Maria e Gesù con uno stile misto tra il tardo gotico e la scuola fiorentina. In sagrestia sono conservati un bel polittico a tre nicchie ed artistici armadi in legno finemente scolpiti. Degni di essere visitati sono la cisterna romana del II secolo d.C. ed il magnifico chiostro, con le sue colonne di cotto che conducono alla cripta, in origine un’antica conserva d’acque dell’età romana.

L’antica Hatria-Picena dette il nome al mare Adriatico sin dal tempo delle civiltà italiche prima dell’invasione dei Romani; nella prima metà dell’Impero, Atri si collocò tra le colonie augustee con il titolo di «Veneria», una delle 28 «celeberrime et frequentatissime», ricordate dallo stesso Augusto. Proprio con Adriano (117-138) Atri ebbe sul trono romano un suo cittadino, perché tale egli si considerava, ricordando che «i suoi maggiori erano passati in Spagna al tempo degli Scipioni. Publio Elio Adriano, pur nato a Roma nel 76, aveva esercitato in Atri la carica censuaria di quinquennale», scrisse don Bruno Trubiani. All’epoca il geografo greco Strabone ricorda la presenza di un approdo marittimosulla costa al servizio della retrostante città, i cui fiorenti commerci hanno consentito sin dai primordi un’apertura di ampio respiro su tutta la cultura del Mediterraneo.

I luoghi delle indulgenze. La Porta Santa è la prima porta a destra della Cattedrale ed è, in base ad una bolla indulgentiarum, legata da secoli alla concessione di indulgenze ai fedeli che l’attraversano con le cosiddette passate. Si apre una volta l’anno, il 14 agosto, e tutti gli anni sono migliaia i fedeli a transitare pregando attraverso la Porta Santa. A pochi metri, la chiesa dedicata a Santa Reparata, patrona della città, è aggiunta alla Cattedrale: nell’interno viene conservato un altare barocco coperto da un baldacchino in noce, il tutto opera dello scultore atriano Carlo Riccioni. La chiesa del Santo Spirito è invece ubicata nella zona di Capo d’Atri, ed è nota anche come Santuario di Santa Rita. Considerata come secondo centro di culto a livello nazionale dopo Cascia, nel settembre 2020 è stata elevata a Santuario e da quel momento il turismo religioso ha fatto registrare dati importanti, offrendo così una immagine di grande spessore religioso e culturale per la città ducale. «Anche papa Francesco ha contribuito fattivamente – ha ricordato Mons. Antonio Bartolacci, Rettore del Santuario – poiché ha donato al Santuario la possibilità di una seconda indulgenza plenaria per un Ottavario nella ricorrenza dell’elevazione, il 12 settembre».Ma il senso della devozione è caratterizzato anche dalle numerose chiese presenti nelle vicinanze del centro storico. La chiesa di Sant’Agostino – realizzato nel XV secolo da maestri napoletani, conserva un meraviglioso timpano che rappresenta Dio Padre; la chiesa di San Domenico, edificata nel 1322, conserva tre grandi tele di Giuseppe Preposti e un maestoso organo dall’involucro barocco; la chiesa di Sant’Andrea, un bel portale attribuito a Rainaldo Atriano, la chiesa di San Nicola, edificata verso la metà del III secolo da maestro Giovanni su incarico di papa Lucio III. Infine, la chiesa di San Francesco, stile gotico con interno a croce latina che conserva stucchi di ottima fattura e la Cappella votiva di San Liberatore, tempio edificato per commemorare i caduti nella Grande Guerra (’15-’18). Annesso alla chiesa di Santa Chiara si trova il monastero delle Clarisse, nella cui cappella sono conservate le reliquie di San Massimo e Santa Ercolana.

Atri sotterranea.

Il Palazzo degli Acquaviva. Camminiamo. Cinta da possenti mura, nella parte nord della città si snoda un percorsobelvedere che spazia contemporaneamente dal mare alla montagna a 442 metri s.l.m., e che ci conduce fino all’unica porta superstite della città: Porta San Domenico recante lo stemma della casata Acquaviva d’Aragona con unleone rampante coronato rievocando tacitamente tutta l’eleganza e la bellezza del tempo. Oggi l’antica residenza dei Duchi di Acquaviva è il palazzo municipale. Già centro tra i più importanti d’Italia in epoca medievale, fu con il ducato degli Acquaviva che Atri raggiunse il suo massimo splendore in ambito artistico ed architettonico, in perfetta sintonia con il suo degno e fastoso passato, almeno fino al 1757, con la morte dell’ultima erede. Dall’aspetto maestoso, esternamente, dopo essere entrati nell’ampio cortile con robuste colonne, si accede nel piano superiore dove può essere visitato il salone, austero ed elegante, dove oggi si riunisce la Giunta comunale.

I musei. La visita alla città di Atri non può dirsi regolarmente realizzata senza aver osservato il Museo capitolare. Consta di undici sale, la cui maggioranza riguarda l’arte sacra. Dopo le sale dedicate agli scaffali, ai paramenti e alle stoffe, si arriva alla quarta che si riferisce alla pinacoteca e che conserva una tela, Flagellazione, di Fernando Yanez de Almedina mentre nella successiva può essere ammirata una maiolica di invetriata di Luca Della Robbia. Nelle altre sale sono conservate le ceramiche dei grandi maestri di Castelli (centro specializzato nel settore, in provincia di Teramo), e l’oreficeria sacra con una croce processionale e preziosi calici. E poi ancora gli incunaboli, le sculture lignee e quelle in pietra. Visita d’obbligo anche per il Museo archeologico, dove sono esposti i reperti emersi dagli scavi effettuati sul territorio cittadino. Tre sale: nel primo, elementi architettonici decorativi provenienti dal tempio italico di Colle San Giorgio; nel secondo, strumenti legati alla preistoria del territorio abruzzese e nel terzo i corredi rinvenuti in 22 sepolture appartenenti a nuclei familiari locali. Bellissimo anche il Museo Etnografico (oltre duemila pezzi), mentre in piazza del Duomo possono essere ammirati reperti archeologici preromani.

Le Grotte e i Calanchi. Sul belvedere “Domenico Martella” i reporter fissano i proprio zoom: i calanchi rappresentano per loro una singolare scenografia di queste rocce argillose, solcate in profondità, e verticalmente, sino ad assumere margini appuntiti. Leggono le guide il gruppo di tedeschi, dove si ricordano i calanchi come una rappresentazione delle bolge dantesche. I Calanchi costituiscono la forma più suggestiva e spettacolare del paesaggio collinare adriatico, delle vere e proprie sculture naturali simili al paesaggio lunare. Essi si estendono per circa 600 ettari, appena ad Ovest e Sud-Ovest di Atri. Le morfologie dei calanchi. Oggi Riserva Naturale, permettono di visitarle senza difficoltà e con percorsi semplici e poco faticosi.Non a caso ogni anno migliaia di visitatori ne animano gli spazi alla ricerca di una vera esperienza Wild in Abruzzo, magari abbinata a ottimo cibo locale.

Ci si sposta in zona nord-ovest, perché una visita alle Grotte non può mancare. Qui ad Atri vengono definiti “li muri”, fanno parte dell’ampio sistema Ipogeo che caratterizza tutto il territorio delle Terre del Cerrano. Sono raggiungibili attraverso una ripida gradinata a circa 800 metri da porta Macelli. Si tratta probabilmente delle prime abitazioni scavate nella roccia dagli originari frequentatori della zona. In seguito, in epoca romana, sembra che siano state utilizzate per realizzare una cisterna per la raccolta delle acque filtranti, come risulterebbe dall’utilizzo dell’opus signinum. Questa è la dottrina più accreditata, che vuole che le grotte costituissero una grossa riserva d’acqua, mantenuta a bassa temperatura grazie alla posizione interrata. Una leggenda narra che le grotte, avendo cinque entrate e cinque uscite, sarebbero in realtà l’estensione della mano di S. Reparata che, durante un terribile terremoto, tenne fra le sue mani la Città di Atri impedendole di crollare.

Le tradizioni popolari. Il profumo che emana la storia di questa città trova significativa testimonianza nelle tradizioni popolari, rimaste intatte nonostante l’imperante globalizzazione. Nei secoli, Atri ha conservato intatte le sue tradizioni popolari, sovente accompagnate da feste popolari con sagre, canti, manifestazioni religiose e profane. Il giorno dell’Immacolata (7-8 dicembre), la città assume un aspetto particolarmente interessante con “I Faugni”,storica tradizione già richiamata nel penultimo articolo dell’antico Statuto Municipale: «ut aiunt con faugni di canne». Un corteo chiassoso si snoda fra vicoli e viuzze con delle fasce di canne secche accese: il chiasso festoso servirebbe a svegliare tutti coloro che non partecipano alla veglia per invitarli a parteciparvi. L’avvenimento continua con la solennità della processione in onore dell’Immacolata e si conclude, dopo la celebrazione della Santa Messa, con una festosa e simpatica manifestazione che termina con l’incendio di un fantoccio femminile “la pupa”, che arde emanando allegri e rumorosi botti. In questo periodo dell’anno, durantela vigilia di Natale è rimasta la tradizione degli “zampognari o ciarmellari” che, vestiti da pastori, attraversano le vie del paese fermandosi di casa in casa per cantare la loro novena. “La notte di Natale è festa municipale: s’adora lu Re divine che è Gesù Bambine”, ricordano i più anziani della città ducale. Il 17 gennaio è il giorno dedicato alla festa di Sant’antonio Abate: il santo celebrato non è il santo di Padova, ma l’abate di Kòma d’Egitto, vissuto nella seconda metà del III secolo in ritiro nel deserto dopo aver ceduto tutti i suoi beni ai poveri. Sant’Antonio è il protettore del fuoco e degli animali; per questo, soprattutto i contadini, gli sono molto devoti, dato che la morte di un animale domestico è considerato una grande disgrazia (“Ancora oggi nelle stalle dei contadini non manca mai un’immagine del Santo”, ricordano ancora gli stessi anziani).

La quaresima, che segue il Carnevale, continua, ancora oggi, a essere un periodo di astinenza e di penitenza; in questo periodo non si fanno feste e non ci si sposa, perché come vuole la tradizione, questo è un periodo di attesa di tempi migliori. Nelle chiese di Atri, durante la Quaresima, si tiene la stessa cerimonia per tre giorni consecutivi, chiamata delle “quaranta ore”, ed ha termine nella domenica di passione. Particolare solennità assume il giovedì Santo, dedicata alla visita dei cosiddetti Sepolcri. La Patrona, Santa Reparata, si celebra il primo lunedì dopo Pasqua. Secondo la tradizione la protettrice di Atrisalvò la città in due occasioni: la prima fu quando, assieme alla Vergine Maria, con delle spade infuocate, liberò miracolosamente la città dagli invasori Saraceni; la seconda, invece, in occasione di un terribile terremoto. La Passione, periodo pasquale, si tiene il giovedì delle Ceneri, con rappresentazioni teatrali molto suggestive tese a valorizzare le bellezze della città.

C’è poi la Processione del Venerdì Santo, con processione lungo le strade del centro storico e l’Ascensione (Cristo Risorto), quaranta giorni dopo Pasqua, giorno in cui si mangiano latticini di vario tipo perchéil latte come l’acqua, ha un potere purificatorio.L’Assunzione di Maria Vergine si ha invece nei giorni 14 e 15 agosto, giorno in cui si ripete il rito dell’apertura della porta Santa. In questo giorno si svolge anche una particolare festa folkloristica, la sfilata dei carri. È una manifestazione molto suggestiva che richiama parecchi turisti, e ricorda le sfilate che anticamente si facevano a maggio. I carri, trainati da buoi, sono addobbati con fiori, rami ed altri oggetti decorativi, anche i buoi sono decorati, portando i paramenti della festa.

Anche in questa stagione estiva, così come per le ventidue precedenti edizioni, ha riscosso enorme successo il Festival Internazionale “Duchi d’Acquaviva”: Una edizione straordinaria e ricchissima di appuntamenti – commenta il Direttore artistico, Algino Battistini – caratterizzata dall’apertura all’innovazione e alla contaminazione di generi, con tantissime novità quali l’istituzione del Concorso Internazionale Note di Talento, la rappresentazione dell’operetta La Vedova Allegra, i Concerti Musica con Vista, i Concerti Anniversario, Giovani Talenti in Concerto: 34 eventi, compresi per la prima volta spettacoli di danza e teatro, che avranno come protagonisti artisti di assoluto livello internazionale e giovani musicisti già affermati, con appuntamenti dedicati anche alla musica contemporanea”.

SIBATER.Nel visitare in lungo e in largo la città e le sue più importanti frazioni (Casoli, Fontanelle, San Giacomo, Santa Margherita), alcuni musicisti non hanno ritenuto affatto peregrina l’idea di insediarsi in queste zone, magari per rilassarsi e provare brani musicali senza lo stress della città. Un progetto del comune è relativo al recupero di cento casolari diroccati, inseriti nel progetto Sibater, ossia Banca della Terra, progetto cofinanziato con fondi strutturali.

Il tour è terminato, almeno per oggi e il gruppo ritorna là dov’era partito. C’è da scoprire il porto di età romana venuto a galla nel 1982, porto ancora inesplorato perché immerso nei fondali del Parco Marino della Torre di Cerrano. Torre che si scorge proprio da questa incantevole Villa comunale e che induce il gruppo di turisti tedeschi a fotografare in lontananza ed a prendere accordi per il giorno successivo. Ma la giornata non è affatto terminata. Li attende una sontuosa cenna, con assaggi di primi piatti (spaghetti alla chitarra con polpettine, le scrippelle, le virtù), le costatine d’agnello, gli arrosticini, il pecorino, il Pan Ducale, tutti rigorosamente annaffiati da un Montepulciano anch’esso profumatissimo. Dal belvedere della Villa si osserva la Torre, ma è il mare Adriatico, l’Amarissimo di dannunziana memoria, a mostrare al gruppo una vera e propria cartolina che contrasta con le vette del Gran Sasso, sempre severe, sempre maestose, una protezione naturale per questa meravigliosa città e per questa meravigliosa regione Abruzzo.

Paolo Martocchia

 

04 agosto 2022