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INTERVISTA AL MONTORIESE MARCO BOCCANERA , SEGRETARIO INTERREGIONALE DELLA FIM-CISL ABRUZZO MOLISE , L’ECONOMIA PUO’ RIPARTIRE DALLE TUTE BLU

 

«Sono sempre stato dalla parte delle tute blu, della povera gente e degli ultimi; per una forte ripresa  – Covid permettendo – in questo periodo occorrono politiche attive e un investimento basato sulla competenza e sulla formazione dei lavoratori», esordisce così Marco Boccanera, classe 1967, marito e padre di due figli: Stefano e Francesco. Studente universitario, il primo, impegnato, a sua volta, con l’Udu (il sindacato degli universitari); studente delle superiori e componente della locale Protezione Civile, il secondo: una famiglia, quella di Marco, dove il sociale è “di casa”. Dal 2017,  Boccanera è Segretario Interregionale FIM-Cisl Abruzzo e Molise; lo abbiamo incontrato, alcuni giorni fa, e amichevolmente gli abbiamo posto alcune domande.

Caro Marco, anche se ci conosciamo da sempre, essendo entrambi originari dello stesso paese, ci racconti un po’ della tua vita?

«Sono nato a Montorio al Vomano, quasi cinquantaquattro anni fa, in una delle poche case – allora! – in largo Rosciano, quando si nasceva ancora dentro le mura domestiche, con l’aiuto delle levatrici, e non in ospedale come accade oggi. Figlio di emigranti, i miei si conobbero e si sposarono in Svizzera, mio padre proveniva dalla cittadina teramana, invece mia madre, che da pochissimo tempo è passata a miglior vita, era veneta. Entrambi erano partiti per il Paese Elvetico, il cui sistema produttivo, in quel periodo (tra fine anni Cinquanta e inizio anni Sessanta), era soggetto a una forte domanda e, di conseguenza, a un grande bisogno di manodopera stagionale, quindi mamma e papà si ritrovarono a lavorare in un paese fuori dai confini nazionali con una realtà ostile nei loro confronti – erano malvisti, come lo sono oggi gli immigrati che arrivano in Italia – tanto da decidere di tornare in patria e stabilirsi a Montorio, dove abbiamo visto la luce io e mia sorella maggiore Marisa, nel periodo del cosiddetto “boom economico” o miracolo economico italiano. Mio padre andò a lavorare presso il Calzaturificio Parrozzani e ci si recava in bicicletta; mia madre, invece, aprì una modesta lavanderia sotto casa. Montorio, all’epoca, era un centro produttivo fiorente che dava lavoro a tutto il circondario e non solo ai suoi residenti. Per citare alcune aziende, ricordiamo la Società Terni (per la costruzione della centrale idroelettrica), la Miro Mobili (mobilificio), il Palazzo di Vetro (mobilificio), la Fornace dei F.lli Di Carlantonio (laterizi), la Saimer dei F.lli Di Donatantonio (scaffalature metalliche ed altro), il Mattatoio comunale, le macellerie locali che esportavano la carne persino in Vaticano e i tanti artigiani che popolavano l’intero centro storico».

Invece il tuo percorso lavorativo come è stato?

«Quando sono cresciuto io le cose erano cambiate, e di molto. Con l’apertura al traffico del Traforo del Gran Sasso d’Italia, nel 1984, Montorio aveva perso la sua centralità viaria, da e per Roma e la costa Adriatica. Prima per recarsi a L’Aquila, e quindi a Roma, bisognava transitare per la Strada Statale 80, l’odierna Strada Maestra del Distretto del Parco Gran Sasso-Laga, ora non più. Inoltre, molti non sanno che il tratto ferroviario Giulianova-Teramo, inaugurato nel 1884 (cent’anni prima), doveva collegare i due mari: l’Adriatico col Tirreno, passando per Montorio, Capitignano, L’Aquila e Roma e ciò avrebbe potuto creare le condizioni per una maggiore crescita ed un maggior sviluppo del nostro territorio. Comunque, anch’io, come i miei genitori, dovetti emigrare per cercare lavoro. Dopo il servizio militare, infatti, andai a lavorare ad Imola, in Emilia Romagna, in un’azienda metalmeccanica (anche questa era ed è emigrazione, quella interna allo Stivale, da sud a nord)».

Allora pure tu, all’inizio, hai fatto come i tuoi genitori. E il tuo incontro con il sindacato?

«Il mio primo incontro con il sindacato fu proprio in Romagna, ero stato assunto da un’impresa che produceva carrelli per la spesa ai supermarket, e incappai – proprio il primo giorno di lavoro – in uno sciopero a livello nazionale, per gli aumenti salariali. Anzi, un sindacalista, di cui non riferisco la sigla di appartenenza, si scagliò contro di me come un energumeno, dicendo che era anche un po’ colpa mia, immigrato dal sud, che lavoravo a basso costo. Dopo, per fortuna, mi si avvicinò un membro di un altro sindacato – della Fim-Cisl – e mi rincuorò, rassicurandomi che non avevo nulla a che fare con quello sciopero, inoltre mi aiutò a cercare un modesto alloggio con annesso ristorante economico, lasciandomi, in caso ne avessi avuto bisogno, anche un suo recapito telefonico. Fece tutto questo senza chiedermi nulla in cambio. Fu lì che, per la prima volta, mi iscrissi ad un sindacato».

E poi?

«Dopo questa prima esperienza lavorativa tornai a casa e, passato un po’ di tempo, dopo vari lavoretti saltuari, entrai nelle Trafilerie Emiliane Sud di Basciano. Durante il primo colloquio di lavoro, l’addetto al personale mi confidò che questa azienda doveva essere impianta sul territorio di Montorio, ma, come abbiamo visto poi, non fu così. Nel frattempo, memore dell’esperienza imolese ed essendo figlio di operai e contadini, mi appassionai al sindacato e, in seno alle Trafilerie, mi candidai come rsu (rappresentante sindacale unitario) e venni eletto col massimo dei voti, anche se c’era chi mi remava contro. Da rsu, quindi, entrai nel direttivo della Fim-Cisl di Teramo e seguivo, con passione e trasporto, le direttive imposte dalla mia organizzazione sindacale, rivendicando diritti negati e soprusi all’interno della mia stessa impresa metalmeccanica, facendomi portavoce delle istanze e delle proteste dei miei colleghi lavoratori e cercando sempre una quadra, una soluzione pacifica col direttivo aziendale. Sì, perché un vero rappresentante sindacale fa contrattazione e riesce sempre a risolvere i problemi, come detto poc’anzi, in maniera pacifica e civile. Quindi, dopo vari anni, mi fu proposto di uscire in distacco sindacale e fui eletto segretario del Fim-Cisl di Teramo, per entrare poi, nel 2017, nella Segreteria Interregionale Abruzzo e Molise. E oggi sono un sindacalista a tempo pieno, lavoro per la mia sigla e seguo molte vertenze con impegno e dedizione».

Qualche nome?

«Beh, ho seguito la vertenza della Betafance di Tortoreto; questa azienda – sanissima – rischiava la delocalizzazione, invece grazie al nostro lavoro, sindacati e lavoratori uniti, siamo riusciti a salvare 150 posti di lavoro. Dopo, non so, mi viene in mente l’Atr di Colonnella, un’eccellenza, il polo del carbonio, dove la crisi era già iniziata col segretario che mi aveva preceduto e noi stiamo ancora lottando, con le unghie e con i denti, per cercare di salvare il salvabile, di risollevarla. La Selta di Tortoreto, che è andata in amministrazione straordinaria per una scelta scellerata della vecchia proprietà, indebitandosi notevolmente e mettendo sul lastrico più di 280 dipendenti che, comunque  avevano un know-how di tutto rispetto e un’esperienza consistente sulla cybersecuruty ed altro».

Insomma, non ti fermi mai!

È l’attività sindacale che, purtroppo, non si ferma mai, non ha stagioni e non ha ferie; mi ricordo che nella scorsa estate non sono andato in vacanza, ho trascorso quel periodo insieme agli operai della Betafance, dove, peraltro, ho imparato tante cose stando con loro. Questo tipo di esperienza ti arricchisce la vita e ti dà la forza per andare avanti e per affrontare le avversità in modo diverso. In un’altra occasione, sotto il periodo natalizio, sono stato con i lavoratori dell’Atr e ho pianto e gioito con loro, sì perché in questo lavoro ci sono anche tante amare sconfitte e non sono tutte battaglie vinte in cui si gioisce. Siamo tornati a fare anche volantinaggio come si faceva negli anni Settanta. La mia vita è stata sempre così, sin da piccolo ho lottato sempre contro le ingiustizie, i soprusi; e nel sindacato, che mi appassiona sempre di più, mi è stata data questa opportunità e l’ho messa in atto. Ho perseguito un obiettivo: da semplice iscritto, all’inizio, sono arrivato a ricoprire la carica più alta sul territorio provinciale. Questo è quello che volevo fare e che sono riuscito a fare, nell’arco della mia vita. Il sindacato mi ha dato tutto, mi ha fatto capire la fratellanza, la solidarietà e, appunto, essere vicino agli altri e aiutarci l’un l’altro. Mi auguro che la gente si riavvicini di più al sindacato, perché il sindacato è nato per gli ultimi, per i diseredati, per la povera gente e per coloro i quali non si occupa mai nessuno».

 

Pubblicato già su La Città, settimanale di Teramo, del 18 luglio 2021

 

pietro.serrani@tin.it

 

 

 

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