Teramo. Il Presidente della Provincia scrive alla Ministra Azzolina: “A tre mesi dalla riapertura l’incertezza regna sovrana.

 Come faremo ad organizzare gli spazi per la didattica?”

Diego Di Bonaventura

Gentile Ministra Azzolina,

A tre mesi dalla sospensione delle attività didattiche e a pochi giorni dal termine dell’anno scolastico, mentre si succedono dichiarazioni in gran parte discordanti da parte dei componenti del Governo, dobbiamo registrare che il futuro degli studenti italiani resta del tutto indecifrabile, benché in quasi tutti i paesi europei le scuole abbiano riaperto o si stiano disponendo a farlo.

Pesanti incertezze gravano sull’annunciata riapertura a settembre. Le dichiarazioni del Governo si scontrano con le stringenti prescrizioni del Comitato Tecnico Scientifico, irrealizzabili per molti dei nostri nostri  istituti. E così mentre negli altri paesi europei  questa fase è stata pianificata per tempo e durante il lockdown sono state riorganizzate le scuole e rimodulate le classi, in Italia si è preferito lasciare a casa gli studenti, costringendo le famiglie e gli insegnanti ad un super carico di lavoro mentre gli enti locali non hanno ancora disposizioni chiare – e non velleitare e fantasiose – su come riorganizzare gli spazi.

Come Presidente di Provincia e sindaco di un piccolo comune, devo anche rilevare che non c’è stato alcun coinvolgimento degli Enti locali e dei territori per l’individuazione di spazi alternativi per la didattica, per evitare  il sovraffollamento delle aule e la rimodulazione degli orari dei mezzi di trasporto, indispensabili questi ultimi per eventuali scaglionamenti dei rientri.  In assenza di qualsiasi indicazione certa, il sottoscritto, così come tanti altri sindaci, si è mosso autonomamente, avviando una ricognizione sugli edifici esistenti per trovare nuovi locali da adibire all’attività didattica: lo stesso lavoro di ricognizione sarà effettuato dalla Provincia per quanto riguarda gli istituti di istruzione superiore.

Stanziare 38mila euro per  istituto  per: sanificazione, acquisto di termoscanner, attrezzare aree verdi, risistemare spazi interni, acquistare o noleggiare dispositivi informatici, gestione rifiuti e quant’altro, la dice lunga su quanto i tavoli ministeriali romani siano lontani anni luce dalla realtà della scuola italiana.

In molti Istituti superiori sarà impossibile garantire il distanziamento sociale semplicemente perchè non ci sono altre aule e altri spazi da utilizzare. Da queste parti, come saprà, immagino, siamo anche terremotati e molte scuole sono inagibili o in ricostruzione. I pochi fondi che abbiamo per la messa in sicurezza – quelli che abbiamo ottenuto dopo anni di proteste – non possono essere usati per queste nuove esigenze perchè sono già impegnati per la sicurezza antisismica.

Questo modo di procedere disorienta gli operatori del settore, le istituzioni locali, le famiglie che hanno ragazzi e bambini a casa con un orizzonte di tempo ancora molto incerto. Gli studenti sono stati fra i più penalizzati da questa emergenza Covid, con la sospensione sine die di un diritto fondamentale e costituzionalmente garantito: quello all’istruzione. Non nascondiamoci dietro un dito: la didattica a distanza, per parafrasare un dirigente scolastico, si è rivelata la corazzata Potemkin della scuola italiana.

Nonostante l’impegno e l’abnegazione con cui i docenti hanno cercato di compensare la situazione, si è scaricata un’enorme mole di lavoro sulle spalle delle famiglie e, in particolare, delle donne italiane, penalizzando ulteriormente le madri lavoratrici in un Paese già fanalino di coda in Europa per tasso di occupazione femminile. Questa situazione non è sostenibile e mi stupisce che il fronte progressista non abbia speso una parola sul persistere di una così evidente discriminazione.

Qui si è creata un’emergenza nell’emergenza: l’assenza di prospettiva sul mondo scolastico che non può prescindere dalla cognizione che la scuola è presenza, socialità, partecipazione, interazione orizzontale e verticale. La scuola catapultata in modalità Dad ha mostrato tutti i suoi limiti, lasciando indietro migliaia di alunni che non hanno potuto avere accesso  a un’istruzione di livello soddisfacente perché non disponevano di una rete veloce, di adeguata strumentazione tecnologica, di un sostegno in ambito familiare per colmare il gap culturale che si è andato così accumulando.
Così non va, cara Ministra: non si va avanti con rigidi protocolli prescrittivi concepiti nelle stanze dei bottoni da comitati di super esperti senza avere contezza della realtà. Se si vuole che questo Paese riparta e riparta tutto, senza lasciare indietro nessuno, soprattutto i cittadini di domani, bisogna riaprire al confronto con i diretti interessati. In questo caso con i dirigenti scolastici, con il personale docente, con le famiglie lasciate vergognosamente sole a fungere da ammortizzatore sociale, con le istituzioni locali, con i territori che hanno il vero polso delle situazioni.
Quando smette di ascoltare la politica esaurisce il suo ruolo che a questo punto può essere egregiamente assolto dagli asettici super Comitati tecnico-scientifici. Quando si disertano i tavoli e si fanno solo annunci spot a mezzo social non si rende un buon servizio a questo Paese. Cara Ministra, la scuola italiana deve riaprire tutta a settembre senza se e senza ma con modalità di buon senso e concretamente fattibili. Se non avete ancora soluzioni certe, mettetevi in ascolto di chi opera quotidianamente in questa realtà. Aspettiamo fiduciosi.

 

Diego Di Bonaventura

Presidente della Provincia di Teramo