In rilievo, Storie giuliesi

Giulianova. Quella mala pianta della negromanzia.

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 57.
di Sandro Galantini*
Come già accaduto nel secolo precedente, anche nel ‘600 appare diffuso nella diocesi di Teramo l’inquietante fenomeno della negromanzia.
Molte infatti, come aveva scritto con toni apocalittici il vescovo aprutino Giambattista Visconti nella sua relazione del 15 dicembre 1621, le maliarde, le negromanti e persino le streghe. Le conseguenze di questa opera malefica, secondo il vescovo, erano tra l’altro i gravi peccati carnali contro natura come gli incesti, pare numerosi al tempo.
A Giulianova incesti non sono documentati, almeno stando alle carte della corte di giustizia vescovile e di quella secolare. Diffusi erano piuttosto i concubinaggi, anche con ragazze giovanissime, e i bambini «spurii», nati cioè da relazioni extraconiugali. La vera piaga era però quella delle «affatturazioni», che a Giulianova aveva assunto dimensioni ragguardevoli nel 1622 coinvolgendo in una torbida storia, rispettivamente come parte lesa e in qualità di teste, un sacerdote, Agelio Scalabrino, ed un benestante, Francesco Talucci.
Non mancavano inoltre, a completare la situazione, le paganeggianti credenze negli auspici tratti dai serpenti e dagli uccelli. Insomma, un quadro a tal punto fosco da spingere i Gesuiti, impegnati in una solertissima opera missionaria, a venire a Giulianova nel 1628 per estirpare la mala pianta della negromanzia.
Benché sostenuti dal clero locale, e in particolare dall’arciprete di San Flaviano don Domenico Porfiri che aveva messo a loro disposizione la chiesa madre, i Gesuiti ebbero il loro bel daffare. Come apprendiamo infatti dal libro Istoria della Compagnia di Gesù, pubblicato nel 1757 dal gesuita Saverio Santagata, a Giulianova operava una «certa vecchietta» che, vantandosi di avere ricevuto da Dio il dono della premonizione, ricorrendo ad una colomba prediceva eventi futuri o nascosti, felici oppure infausti. La sua fama di indovina, già solida, si era poi ulteriormente rafforzata quando aveva esattamente predetto l’improvvisa morte di un uomo in apparenza sano. I Gesuiti avevano iniziato la loro missione giuliese proprio tenendo nel duomo di San Flaviano una pubblica arringa contro la fattucchiera. Ma in città era evidentemente molto e diffusamente radicata la considerazione nei confronti di questa sorta di Sibilla giuliese se, scrive Santagata, «poco mancò» che alcuni tra i più ottusi e convinti non uscissero dalla chiesa «infastiditi e scandalizzati».
La tenacia dei Gesuiti, la loro forza argomentativa e la capacità di persuasione esercitata più sui singoli che in altri incontri pubblici, alla fine vinse. Per cui la stessa fattucchiera, a fronte di un sostegno che ormai si era sgretolato, nel fare ammenda «dolente ancora si dimostrò delle spregiate ordinazioni de’ sacri canoni». Una vittoria, si potrebbe quindi dire, su tutta la linea da parte dei Gesuiti. I quali peraltro intensificarono, grazie alla raccolta massiccia di elemosine da parte degli stessi cittadini, il suffragio per le anime del purgatorio con la celebrazione di una messa settimanale perpetua unitamente ai rintocchi notturni «ad excitandos animos ad veneranda nostri Reparatoris vulnera quinquies Angelica salutatione et oratione Dominica».
* Storico e Giornalista
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