Cultura & Società, In rilievo

Giulianova. Marialuisa De Santis: 7 su 7, un artista al giorno, Ricardo Aleodor Venturi

UN ARTISTA GIOVANISSIMO

di Marialuisa De Santis*

Ricardo Aleodor Venturi è un artista che nonostante la giovanissima età (è nato a Pesaro nel 1996)  si è già imposto all’attenzione di autorevoli critici. E mi fa davvero piacere terminare con lui questa piccola rubrica 7 su 7 ; mi sembra infatti che parlare di un artista così giovane e così dotato sia un segno di speranza rassicurante.

I primi lavori che ho visto di lui sono quelli che Venturi chiama “cartoni”. Qui vi propongo l’Autoritratto del 2013 (Penna, tinte e paglia di Vienna su cartone da imballaggio) che ha vinto il Primo Premio sezione Grafica, del  Lynx al Museo Revoltella di Trieste.

Un altro autoritratto che mi ha colpito è quello del 2016 che è entrato a far parte della collezione di un architetto di Macerata Feltria.

Amarissima l’ironia di Made in Italy . Amici per la pizza, evidentemente realizzato su cartone d’asporto per pizza e selezionato per il Premio Arte al Palazzo Reale di Milano nel 2017.

Vi mostro poi due opere che si muovono nell’ambito del concettuale Illuminazione domestica e Pioppo protetto. E per ultima la Madonna del Laudato si’, opera “costruita” su due piani, plexiglass dipinto con olio e  cartone da imballaggio disegnato con penna e matite colorate.

Per i Cartoni l’artista mi ha inviato uno scritto che riporto qui di seguito integralmente e che in fondo racconta tutto il suo percorso e la sua evoluzione molto meglio di come potrei farlo io. Allora mi limito a sottolineare poche cose: la grande capacità tecnica, disegnativa; l’ironia intelligente, a volte  dolorosa; la vena creativa indomita e sincera spesa per confrontare il naturale con l’artificiale e per un elogio della lentezza. La leggerezza dell’arte di Ricardo Aleodor Venturi, citando Calvino “non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”.

I Cartoni

Questo gruppo di lavori realizzati tra il 2013 e il 2017 si presenta come il primo amore; sperimentale, affascinante, romantico e certamente anche un po’ingenuo, ma con un suo clima, come un respiro agitato e per questo personale. Si aggrappa su di esso tutto il peso delle paure, delle responsabilità e delle irresponsabilità di un tempo dove l’incertezza e la situazione economica incutevano una certa sconfitta spirituale. Anni importanti in cui ho scoperto il mio colore. Il marrone.

Una storia che si presenta da sé; i suoi materiali e ciò che è rappresentato denotano un gusto in costante ricerca di una presentazione formale solida. Ritrovandomi infine come felicemente incastrato tra una consapevole figurazione e la scoperta di un materiale in cui rappresentarsi. Il confronto e il dialogo tra contenitore e contenuto si apre verso il rapporto che troviamo anche in profondità e superficialità. Una ricerca realizzata con materiali poveri e umili come il contesto in cui ero inserito. Ero rigido e non sopportavo la grana della tela, la sua flessibilità e forse il fatto comune e magari anche corretto di tappa o percorso accademico che tutti prima o poi avrebbero dovuto affrontare come formazione.

 Ero inebriato da studi mai affrontati prima come l’Arte Povera; rimanendo alquanto legato al suo peso percepito, togliendo la realtà perché soffocata dal troppo reale. Mi ritrovavo nella sua materialità, ma non nella sua conclusione. La mia mente però si muoveva anche in un’altra direzione, sottomessa dall’eleganza e dal romanticismo di certe avanguardie storiche e mosso dalla sinuosità del segno, tentavo di trovare in esso una propria idea dell’io.

Collegando questi due aspetti, mischiando un certo vecchio sapere ormai digerito come il disegno alla conoscenza della materia e della poesia intrinseca negli oggetti, andavo via via a scoprire chi ero. Un percorso lungo e a fatica superato. Il cartone con le sue pelli mi portava a scoprire sempre più strati e a giocare con essi come con la carne di un essere umano. Quasi come uno scienziato, armato di cutter, strappavo qui lo sfondo, là un vestito, mostrando il contenitore ossia il corpo del personaggio ritratto.

Arrivando in un punto senza ritorno; in cui la piattezza del cartone vergineo la materia del cartone martoriato, in cui si intravede il suo spirito ossia la linearità da cui è composto, non stimolava più la mia curiosità, con gran sorpresa, giunsi al muro o alla parete, a ciò insomma che sorreggeva e che stava tutto intorno al quadro. Punto fondamentale non solo della mia ricerca giovanile, ma più in generale di tutto il mio pensiero. Ciò che sostiene il quadro, il bianco del muro.

Tutto diventò più leggero e allo stesso tempo più complesso. Evidenziavo attraverso la sottrazione. Toglievo per mostrare. Non più addizione, ma sintesi. Unendo il segno ricco, esuberante e non privo di un certo narcisismo al silenzioso e più timido muro che si nasconde dietro ogni opera.

Arrivai al bianco grazie alla parete e non attraverso la tela.

Nessun gesso acrilico, ma semplice vernice da imbianchino.

Parlo di un grande, immenso bianco che vive in tutto lo spazio e non solo in un suo frammento.

Un dettaglio sottile, ma che caratterizza e illumina un’intera ricerca.

*Direttore del MAS-Museo d’Arte dello Splendore Giulianova

e Critica d’Arte

 

 

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