Cultura & Società, In rilievo

Giulianova. Marialuisa De Santis: 7 su 7, un artista al giorno, Chiara Crescioli

Oggi vi propongo un’artista estremamente raffinata e colta, Chiara Crescioli che, nata e formatasi artisticamente a Firenze, attualmente vive e lavora a Fiesole.

Elementi della sua comunicazione artistica sono immagini simboliche e  archetipe  capaci di legare  in modo indissolubile il passato al presente creando situazioni magiche e atmosfere intense e struggenti.  Tanto si mescola nella sua pittura e tanto sollecita la nostra mente: così forme angeliche o aureolate, sospese nel nostro immaginario più spirituale ed immateriale  sono avvicinate a foglie, fiori , alberi fortemente radicati nella terra e nella quotidianità.

Le figure sono quasi sempre femminili e non si fatica di fronte all’accostamento con la natura a ricordare che la donna nell’antichità era spesso rappresentazione dei cicli stagionali legati al rinnovamento della vita. Di fronte al suo Eden ci prende la nostalgia di un mondo e di un equilibrio che non ci appartengono più.

Marialuisa De Santis*

Della sua arte scrive Chiara Crescioli:

 

Rappresento ciò che rimane dopo l’osservazione, oltre lo sguardo; quello che è radicato nel mondo a cui appartengo alla mia terra e alla mia cultura. La pittura è per me un “linguaggio” dell’uomo, carico di potenza spirituale, esistenziale, culturale che dovrebbe essere riconosciuta come tale nella sua assoluta contemporaneità. Mi interessano segni e simboli che hanno accompagnato gli uomini nel tempo.

Mi attraggono per qualche motivo, l’effimero del mondo della moda e la grande vanità che la circonda Gli sguardi senza tempo delle modelle che sfilano come residui di una post umanità, e per contro, mi affascinano soggetti sacri, ex-voto, totem zoomorfi e antropomorfi inseriti in tabernacoli, urne e reliquiari come custodi di storie, leggende, tradizioni e credenze popolari di un passato quasi impolverato e tralasciato, ma del quale sento profondamente il bisogno, come punto fermo da cui si può ripartire.

Il Barbagianni del Diavolo ad esempio, è il titolo di un’antica leggenda dell’Appennino tosco-emiliano.

È uno spunto di riflessione sul concetto di sacro. Non ha importanza tanto il racconto, quanto piuttosto quello che esso può suscitare nell’immaginario collettivo. Quanto in una storia si possa ritrovare un senso di appartenenza ad una terra e quanto sia stretto il legame che unisce uomini, animali e oggetti passando attraverso simboli di un mondo lontano ma che comunque in qualche modo continua a far parte dell’uomo e che troppo spesso è dimenticato o utilizzato in maniera confusa o addirittura sbagliata. Certe immagini stanno lì, fisse e immobili dentro di noi e aspettano soltanto un soffio che possa farle riemergere. Mi chiedo perché si conserva la reliquia di un santo, o il primo dentino che cade. Qual è il potere di simili oggetti. E che cos’è che tocca nell’intimo l’animo umano? Quanto incide la sfera religiosa? E quanto questa si mescola a superstizione e magia e appunto alla leggenda, e allo stretto legame con la terra? E quanto c’è di reale nel simbolo stesso.

Le misure dei miei lavori variano spesso dal grande al piccolo e sono andate in certi momenti, sempre più riducendosi nella ricerca di un dialogo più intimo, e nell’idea di una qualche dimensione sostenibile dell’arte e per trasportare l’osservatore in una dimensione intima dove non servono urla ma soltanto silenzio per trovarsi e capire. Ogni piccolo lavoro cerca di essere “prezioso” come l’immagine di un santo nel portafoglio, o come la candela che si accende davanti alla foto di chi non c’è più o a una valigetta dei segreti che i bambini nascondono sotto terre o nella cavità di un albero.

*Direttrice del MAS-Museo d’Arte dello Splendore di Giulianova e Critico d’Arte

 

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