In rilievo, Storie giuliesi

Giulianova. I reperti archeologici giuliesi ritrovati e scomparsi

GIULIANOVA. FRAMMENTI DI STORIA DAGLI ARCHIVI – 29.
di Sandro Galantini*
Nel dicembre 1875, precedendo di poco la seconda venuta di Theodor Mommsen nel Teramano per una serie di ricognizioni nei siti di Hatria, Interamna e Castrum Novum, in un suo fondo a sud della chiesa dell’Annunziata, al lato dell’attuale ponte ferroviario sul Tordino, l’ingegnere Gaetano de Bartolomei riportava alla luce un frammento di collo di anfora recante la scritta C. IVLI MARCELLI ed un’antefissa rappresentante in bassorilievo un Genio che conduce una biga. Ciò che sollecitava però la sua maggiore attenzione era un recinto di grosse mura laterizie, intervallate da piccoli incavi architravati, con una lunga gradinata sotterranea formata da enormi mattoni. In tutto cinque rampe «discendenti entro terra, ritorcendosi ad angolo retto», per 38 gradini complessivi. La scoperta dei ruderi, riportata dal “Corriere Abruzzese”, aveva creato l’opinione popolare che il fabbricato fosse un luogo di pena o un trabocchetto. A detta del neretese Domenico de Guidobaldi, illustre archeologo e Ispettore agli scavi che ne dava comunicazione a Giuseppe Fiorelli, la struttura era invece un tempio riferibile, insieme con gli altri reperti, al periodo in cui Nerone aveva dedotto a Castrum Novum l’ultima colonia.
Nell’ottobre 1877 sempre Gaetano de Bartolomei rinveniva, nel corso dei lavori di dissodamento di un altro suo fondo a Terravecchia, grandi lastre quadrilunghe di travertino larghe 0,80 centimetri e lunghe circa 2,50 metri. In questo caso però era opinione del de Guidobaldi, il quale ne riferiva al Fiorelli con una nota del 29 marzo 1878 approntando anche uno scritto al riguardo pubblicato sul periodico napoletano “La Scienza e la Fede”, che si trattasse dei resti della distrutta chiesa medievale di San Flaviano.
Nel 1878, altra scoperta da parte del de Bartolomei. Ad emergere dalle profondità della terra, seppellita in un terreno comunale posto ad est dell’attuale cimitero comunale oltre l’odierna via Gramsci, era un’iscrizione latina larga 1,25 metri e alta 67 centimetri. Sarebbe stato, da quel che sappiamo, l’ultimo ritrovamento ottocentesco. Tuttavia di molti di quei reperti non si sarebbe avuta più traccia. Come scomparsi, o irrintracciabili, risultano quelle «reliquie di antichità» cui faceva cenno Gaetano Ciaffardoni nel suo libro Breve cenno di Castro e Giulia del 1861: dai due grandi stipiti di marmo giacenti sulle pareti nord-ovest del Duomo di San Flaviano all’iscrizione di L. Vettio «sistente nell’attual Convento de’ Cappuccini» al frammento «in cui leggesi L.Septimius Pracco» che al tempo si conservava in quello che era il «casino» dei Palma, l’attuale villa di Serafino Cerulli-Irelli.
* Storico e Giornalista
Tu, Elso Simone Serpentini, Simone Gambacorta e altri 12
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