Editoria. Enrico Giuseppe Graziani “PRIMA CHE SCENDA LA NOTTE”

PER  PARLARNE…

di Tonia Orlando*

 

 

Era una promessa quella fatta ad Enrico Graziani, di recensire il suo libro “Prima che scenda la notte”, ero stata particolarmente colpita dal titolo molto evocativo, ma qualcosa mi ingessava, mi bloccava tanto da farmi attendere del tempo e, dopo un anno, finalmente ne parlo.

Pagine impegnative quelle di Graziani, più che lette, meditate, qualche volta introiettate al limite di un sottile malessere dell’anima per le vicende narrate, molto spesso crude, di quelle che fanno male, filtrate da una memoria quasi certosina, estremamente precisa, che scruta tutta una vita trascorsa, che ripropone con sfrontata verità, senza alcun ritegno, senza filtri, nella consapevolezza che le storie, anche le più aberranti, vadano narrate, condivise, forse, chissà, per lenirne il dolore.

Nel libro l’autore è come se vivesse nei panni del protagonista di un romanzo alle prese con una esistenza rocambolesca, intrigata ed avvincente e da una prima lettura ti poni la domanda se molti fatti siano più immaginati che vissuti, tanto appaiono a tratti assurdi. In realtà si tratta di un’opera complessa, come complessa è stata l’esistenza dell’autore, dove il ricordo non fa sconti e ci sembra di seguire le fasi di un film dove le scene appaiono studiate e la regia precisa al limite dell’inverosimile. Lo spaccato di un’epoca nella successione inesorabile di una memoria fluida, in un viaggio retrospettivo che si apre spesso ad interrogativi in una Italia che  tra le fasi e la fine del secondo conflitto mondiale, muove i suoi primi passi tra luci e tante ombre, alla ricerca di una sua identità. Le immagini sono dolorose, filtrate dagli occhi del giovanissimo autore che attraversa il suo tempo in cui gli uomini hanno smesso di sognare. Soldati italiani che tornano a casa laceri, madri e mogli sulla strada bianca e polverosa che mostrano foto di figli e mariti smarriti; paesi distrutti, strade sconnesse, attorcigliate come gomitoli, prive di parapetti ai lati di profondi precipizi, bambini all’interno di tuguri, assillati da mosche, nel sudiciume e povertà estremi. Il pianto per tragedie come quella del carico di cocomeri finito a marcire sotto il sole per un incidente in piena notte, quando un autocarro rimane con le ruote in aria, ai piedi della scarpata verso il mare e il corpo straziato di un uomo schiacciato dalla cabina rovesciata. Ma anche molta speranza fatta di incontri che orientano la vita dell’autore, narrazioni, esperienze, verità assolute come le teorie politiche raccontate da un giovane comunista con dentro gli occhi le immagini della Rivoluzione d’Ottobre e il desiderio di poter sconfiggere  “lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo” che regna sovrano nel mondo. I racconti ascoltati sugli eroi comunisti morti con il pugno chiuso alzato per riaffermare la propria fede politica, prima di cadere a terra ammazzati. La sassaiola con gli amici per aver sostenuto opinioni non condivise e ritrovarsi solo, a schivare il tiro incrociato delle pietre con il volto rigato di sangue. La consapevolezza di essere diverso da quelli che resteranno ragazzi di strada cresciuti alla “Scuola di miseria, privi di ogni artifizio e delle remore e dei pudori dei figli della classe media”, con  la risposta consapevole che soltanto studiando si possa dare  un corso nuovo alla propria esistenza, mentre questo agli altri è negato. La raccomandazione del padre Alfredo che di fronte ad un cugino che lo aggredisce, gli impartisce una piccola lezione di boxe raccomandandogli di reagire sempre ad ogni atto di violenza e sopraffazione difendendosi dai “figli dei signori” che protetti dal potere della loro famiglia finiscono per credersi superiori. E Alfredo che definisce “animali di bassa corte” i signori del paese che non si mostrano in piazza ma rimangono a passeggiare nei loro cortili interni e chiama “li caccinilli di li signuri” la corte di coloro, “caudatari e sicofanti” che obbedisce e vive all’ombra dei potenti. Una pedagogia spicciola, quindi, dove si è educati sulla strada, ma dove le disuguaglianze sociali fortemente palesi, finiscono per innescare nell’animo dell’autore dolore e risentimento per le diversità, come la frase della madre quando parla di un povero e dice :”n’te la carne sott’a la lenghe”; quando invece non sanno che “per amare davvero i propri figli, bisogna amare anche i figli degli altri”. La tendenza dei genitori che il proprio figlio “si riempia di cibo e non si preoccupi di inculcargli “un sentimento morale”. Viene fuori la necessità di lottare per la vita e abituarsi a non fare il “ fesso”, sapersi difendere e munirsi di una “solida corazza di egoismo” per andare avanti.

E poi il ruolo delle ragazze, delle donne, delle madri, il più delle volte distrutte da maldicenze e giudizi negativi se appartenenti a famiglie operaie, definite “ciandelle” e la vicenda della giovanetta che la famiglia tiene in casa come domestica, costretta a mangiare su un tavolino in disparte, con le spalle girate al resto della famiglia che mangia al tavolo grande, per non vedere la mamma che passa ai propri figli qualche leccornia e fa loro segno “di non darlo a vedere alla piccola cameriera”. Oppure quando parla della nonna Geltrude, figlia di un ambulante che vivrà la sua vita all’interno di un negozio di stoffe dove si era chiusa dalla terza elementare, tanto da essere chiamata “monaca di negozio”, ma che leggeva molto e scriveva lettere a quanti restavano analfabeti. La triste vicenda vissuta con una prostituta, una bracciante agricola rifugiata in una stamberga del paese, giovanissima, con il suo bambino. L’autore ne rimane colpito ed inizia con lei una relazione quasi ossessiva che lo renderà sempre più inquieto e scontento. La poverina morirà di leucemia a ventitré anni e il bambino le sarà strappato dalle braccia e portato in un brefotrofio.

Il collegio, il distacco dalla famiglia, le amicizie, la solitudine, l’ossessione del peccato della carne, il tema della purezza e l’attenzione da parte di qualche prete nei confronti di allievi indifesi che ne rimarranno vittime; i superiori che fingono di ignorare con la solita ipocrisia tipica delle organizzazioni religiose. Successivamente gli anni della giovinezza, il fascino della lettura fatta su in montagna con il fratello e l’incontro con i grandi della letteratura come Feodor Dostoievski, capace di scavare nell’animo umano e raggiungere profondità mai sperimentate prima. E la lettura dei grandi classici da Plutarco a Dante, Ariosto, Leopardi, Manzoni, Tolstoj, Cechov, Pasternak, Marquez,  dalla quale l’autore viene trascinato come un “travolgente fiume narrativo” di cui ancora oggi sente la potenza al punto da avere la consapevolezza che sono ancora molte le lacune da colmare. Di qui il timore di Graziani di non fare in tempo a raccogliere  i messaggi che i grandi libri contengono e godere “di tutti questi depositi di bellezza”, capaci di dare un senso di pienezza all’umana esistenza “prima che scenda la notte e il suo io si dissolva nel nulla”.

Curatore: A.Riccardi, Editore: Robin, Collana: La Biblioteca del tempo Anno edizione: 2013 Pagine: 478 p., Brossura EAN: 9788867401499
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*Tonia Orlando vive a Lanciano dove insegna Lettere in un Istituto di Scuola Superiore. Giornalista Pubblicista versatile e curiosa, da anni coniuga eventi storici con quelli letterari. Scrive articoli su riviste e attraverso lo studio negli Archivi si è dedicata per oltre un quindicennio alla ricerca del “territorio” che ha esplorato sotto l’aspetto storico, antropologico ed artistico-culturale. Si occupa di Poesia e di scrittura per l’infanzia. Ha pubblicato:” I racconti del vicoletto”  (Carabba, Lanciano 2013), “Come gli aquiloni” (Armando, Roma 2016), “Sotto un cielo di miele” (Tabula fati, Chieti 2017), “Un angioletto senza ali”( Tabula fati, Chieti 2019).