Cultura & Società, In rilievo

CARNEVALE MORTO – LA TRADIZIONE RITORNA TRENT’ANNI FA LA PRIMA EDIZIONE DELLA RINATA PROCESSIONE DI MONTORIO AL VOMANO

 

Nel nostro Abruzzo, ci sono tanti modi per festeggiare il Carnevale. Ogni paese, persino il più piccolo, ha le sue tradizioni e le sue relative varianti, anche con riti propiziatori. In genere, il Carnevale prende il via il 17 gennaio, giorno di Sant’ Antonio Abate, per culminare nell’ultima settimana, prima della Quaresima, con scherzi, balli in maschera e carri allegorici. In questo periodo dell’anno ci si maschera, ci si traveste, sembra che si voglia camuffare la propria identità e magari, per un momento, ingannare la vita stessa.

A Montorio al Vomano, la sera delle Ceneri, giorno successivo al “martedì grasso”, si organizza anche la Processione del Carnevale Morto. Oggi si terrà la prima sfilata, mercoledì invece la Processione del Carnevale Morto. Secondo Manlio Patriarca, studioso e autore de Llu bbèlle Mendurje nustre (La bella Montorio nostra), pubblicato dalle Edizioni Eco nel 1989, tale tradizione «sorse intorno al 1928-29 ad opera di alcuni giovani insofferenti del regime di quei tempi, perciò malvista dalle autorità. Dopo pochi anni fu proibita. Fu ripresa nell’immediato dopoguerra con enorme successo». E quindi questa manifestazione – forse unica nel suo genere in tutto l’Abruzzo – sarebbe nata in quegli anni e non prima, come alcuni hanno affermato, erroneamente, diversi anni fa facendola risalire addirittura alla notte dei tempi. Difatti, spulciando i giornali della provincia teramana dell’epoca, cioè negli anni a cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, non si ha alcuna notizia a tal riguardo, vengono riportate solo cronache di “festini” tenuti in casa dei vari De Panicis, Patrizii e di altre facoltose famiglie montoriesi di quei tempi. I veglioni, come affermava il medico e storico Quirino Celli nel suo Memorie e Glorie di Montorio al Vomano (Edizioni Eco, 1978), si festeggiavano in una saletta a piano terra dell’ex convento dei Domenicani, in via Beretra, vicino la piazzetta antistante la scalinata della chiesa di S. Filippo Neri; oppure nei locali del Cinema Italia (poi diventato Cinema Moderno ed ora Sala Civica) nell’odierna piazza Ercole Vincenzo Orsini. Memorabile il veglione del Carnevale del 1929 (l’anno del “grande nevone”) quando, a causa dell’eccezionale nevicata, la gente che era andata a ballare rimase intrappolata all’interno del Cinema, adibito a sala da ballo per l’occasione. Ci volle un bel po’ di tempo, e di lavoro, per creare un varco nella coltre bianca della piazza, prima di far ritorno nelle abitazioni.
I festeggiamenti terminavano la sera, o meglio, la notte di “martedì grasso”. Le prime edizioni della Processione del Carnevale Morto, invece, si svolsero negli ultimi anni Venti dello scorso secolo, la sera del primo giorno di Quaresima. Carnevale, impersonato da un fantoccio, veniva trasportato in una bara (alla fine di tutta la manifestazione veniva buttato dal cinquecentesco ponte sul fiume Vomano, vicino alla chiesetta della Madonna del Ponte) accompagnato dall’ultracentenaria Banda Città di Montorio al Vomano, con la famosa marcia funebre di Chopin che tuttora viene eseguita, e da un “mesto” corteo di giovani, i quali declamavano, in rima e in dialetto locale, vizi e virtù dei propri concittadini; tanto che, alcuni decenni dopo, «fu nuovamente proibita», scrive ancora Manlio Patriarca, «per effetto di una querela di un forestiero, il quale non gradì la satira che decantava le prosperose bellezze della consorte. Né il magistrato, forestiero anche lui, seppe capire che quella “satira” era solo un complimento espresso verso chi, forse, non la meritava». Così, verso la fine degli anni Cinquanta, le satire vennero completamente abolite. Nel 1975, invece, il cotto sul bollito, un’altra denuncia pose definitivamente fine alla Processione del Carnevale Morto: in quell’anno si pensò di “esportarla” a Teramo e sfilare per le vie della città – senza richiedere nessuna autorizzazione alle autorità – col risultato che nove montoriesi dovettero comparire davanti al giudice per vilipendio alla religione di Stato.
Domenica 14 febbraio 1988, e cioè trent’anni fa, grazie alla tenacia e alla volontà di poche persone, che in una decina di giorni prima avevano costituito l’associazione Pro Carnevale (coadiuvata più tardi dalla Pro Loco), capeggiata dai compianti – ma non dimenticati – Gianni Celli e Alfredo Tertulliani, Montorio riebbe il suo Carnevale. Nella parata dei tanti carri allegorici, che sfilarono per le strade del paese in un’esplosione di musica, luci, colori, coriandoli, caramelle e risate a crepapelle, ce n’era uno con una sala parto, che rappresentava, appunto, la rinascita del Carnevale montoriese e, con esso, la relativa tradizionale Processione del Carnevale Morto. L’edizione del 1989, in segno di lutto, fu annullata per la prematura scomparsa dell’amato Sandro Pellanera (1941-1989), “il Sindaco della gente”, come spesso veniva chiamato da tutti quanti. Dopo, nel 1990, ci fu la seconda edizione e via discorrendo. Da circa quindici anni a questa parte, l’intero appuntamento carnascialesco è diretto dall’attore teatrale Vincenzo Macedone e nel 2016 la manifestazione ha visto pure la partecipazione di Alvaro Vitali, il popolare Pierino cinematografico, con la moglie Stefania Corona, che gli faceva da spalla nelle sue numerose gag improvvisate. Anche l’antropologa lancianese Lia Giancristofaro, autrice di numerosi studi sul folklore e sull’emigrazione abruzese, si è interessata a questo variegato fenomeno con una ricerca approfondita.
Questa longeva tradizione, che nonostante tutto va ancora avanti imperterrita, altro non è che un altro tassello che contraddistingue la montoriesità.
Pietro Serrani
Pubblicato sul quotidiano teramano “La Città” del 11.02.2018

 

image_pdfimage_print
Condividi:

Leave a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Controllo anti spam: * Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.