Giulianova. UNA SAGACE CIVETTA

 

di Lucia Denise Marcone

La civetta comune – Athene noctua Foto di Walter De Berardinis

 

 

 

Una divertente vignetta che mi è capitato di leggere diceva più o meno così:

“Maestro, insegnami, cosa ha ispirato il vostro bisogno di aiutare il prossimo”

Il maestro attento e serissimo risponde: ”Constatare che ogni felice in più è un rompi  in meno”.

Basterebbe questo scopo ad ispirare una “vita buona” e a rispettare il prossimo come avrebbe detto Socrate, filosofo ateniese, uno che con le elucubrazioni ci faceva colazione.  Basti citare alcune delle sue massime per capire che era un genio assoluto. Per principiare cito questa:  “ Sposati ! se trovi una brava moglie sarai felice; se ne trovi una cattiva, sarai filosofo.”  Io direi che possa valere anche al contrario, che ne dite ?

Mi è sempre piaciuto Socrate, noto per l’affermazione “So di non sapere” e per le idee “rivoluzionarie” donate al pensiero filosofico universale e alla cultura greca e poi per trasmissione a quella latina e a quella occidentale.

Il suo contributo più importante è stato il metodo d’indagine noto come “la maieutica” socratica, per questo viene ritenuto il padre fondatore della filosofia.

Maieutica significa “arte praticata dalla levatrice” (l’ostetrica); egli con una geniale analogia attribuisce al maestro una funzione “maieutica”, con la cui affermazione intende che non si possa insegnare niente a nessuno ma si possa solo tirar fuori ciò che ciascuno ha in se.

Mi direte che se uno ha una testa vuota, hai voglia per il maestro a sperare … e in parte è così ma non per i motivi che supponete.

Socrate era un maestro molto ironico, carismatico e paziente, dunque le sue lezioni si svolgevano sotto forma di “dialogo” e l’allievo era incoraggiato a tirar fuori i propri pensieri, assolutamente personali e a differenza del metodo consueto che li obbligava a subire le lunghe lezioni di retorica, diritto e persuasione, Socrate li incoraggiava a rispondere alle sue domande, ad interloquire in  un serrato dialogo e al termine venivano alla luce le piccole verità (come una nascita).  Pertanto dobbiamo attribuire a Socrate il merito di aver posto in luce uno dei compiti più importanti dell’insegnamento per cui insegnare non è imprimere conoscenze ma aiutare gli studenti a sviluppare le proprie competenze a partire dai dati conoscitivi, attraverso le abilità pratiche.

Molti ritengono, dunque, che anche la filosofia, saggiamente usata, possa diventare uno strumento terapeutico e di coaching per la sua capacità di “generare le verità interiori”.

La sua battaglia fu contro “ i sofisti”,  i saccenti dell’epoca (che a quanto pare non mancano mai) che facevano sfoggio della loro presunta “verità” con il popolo credulone, mentre Socrate andava sostenendo che la verità assoluta non esiste in quanto: “… la vera saggezza sta in colui che sa di non sapere, perché chi sa pensa di sapere più dell’altro che pensa di sapere” ecc ecc…. Il significato di questo paradosso è quello di voler dimostrare che, partendo dall’ammissione della propria “ignoranza” intesa come conoscenza non definitiva, si possa entrare in uno stato emotivo che induce ad acquisire conoscenze che a quel punto sarebbero reali e non illusorie.

Capisco che star dietro ad un filosofo sia più o meno come guidare una moto su un sentiero di montagna, impervio, ma volendo portare a casa un concetto, riassumerei parafrasando: “se sai di non sapere è meglio”.

La storia finisce tristemente e pensare che egli stesso lo aveva detto: …Sii più saggio degli altri, se riesci; ma non andare mai a dirglielo” e Socrate finisce per essere condannato per “empietà”, anzi accetta il proprio destino con coraggio, rifiutandosi di rinnegare le proprie idee e bevendo la cicuta. Fu il primo grande martire della cultura ma il suo errore di valutazione ha consentito a tutti noi di   “ non temere le idee”, anzi ricercarle con il lume della ragione.

Mi piace ricordare Socrate in questi giorni in cui è stata salvata una civetta da sicura morte. La civetta, per la sua capacità di vedere al buio fu scelta dalla Dea Athena come simbolo sacro e per estensione viene collegata alla filosofia.

Dicevamo che Socrate, uomo pio e saggio, ha pagato con la vita per qualcosa che era l’altra faccia della verità, che non è la menzogna, altrimenti egli avrebbe usato le armi della confutazione e della “reductio ad absurdum” per smontare le menzogne.

Vi racconto un paio di aneddoti per farvi capire di cosa si parla.

 

Durante una cena, alcuni genitori si lamentavano dello scarso rendimento dei figli a scuola e s’interrogavano su come fare a indurli a studiare. C’era tanta preoccupazione nei loro volti e temevano che non avrebbero fatto l’università, che non avrebbero avuto una vita serena con un lavoro redditizio e il tenore di vita alto ecc ecc. allora io gli ho chiesto: “Dunque, ditemi, pensate che lo studio sia necessario per il lavoro e per la realizzazione?” “ e loro: “ che domanda poni? Certo? Perché non è stato così per te ? per noi? Per tanti ? È tramite lo studio che siamo riusciti a crearci un’indipendenza, nelle professioni, nelle attività commerciali, artigianali, come cittadini e come genitori? Non credi ?”.                   “E’ evidente” rispondo “lo studio è uno strumento utile e non potrei pensare ad una vita senza studio”. “Aspetta” risponde uno dei papà presenti“ io ho avuto i miei genitori che non hanno studiato, eppure sono passati dalla terra al commercio, garantendoci tutto il necessario e facendoci crescere felici; non sono d’accordo con voi!”. Ne nasce una discussione infervorata e a quel punto dico che forse la “verità” è che non esiste una verità sullo studio perché l’elemento determinante nella riuscita si trova altrove. “ Fui incalzata: “Qual l’elemento determinante?”. Prendiamo tutte le storie, di tutti i tempi, di tutte le famiglie e vediamo qual è l’elemento in comune: si tratta certo di una cosa ovvia ma non banale, ed è la motivazione. Tuttavia si tende sempre a collegare lo studio a obiettivi materiali o a bisogni essenziali, non considerando che alla maggior parte degli adolescente, dei primi importa poco e i secondi vengono soddisfatti dai genitori, dunque cosa resta per motivare allo studio uno studente?.

Basta entrare nella loro mente per capire che essi vivono per condividere, dimostrare, entrare in relazione, essere accettati, partecipare, contribuire, crescere e in definitiva sentirsi felici.

Molti insuccessi scolastici sono figli del “protocollo prestazionale” o di un “rating di performance” indotto da una cultura industriale e non in sintonia con il mondo emotivo dei ragazzi.

Essi vogliono sentirsi degli sperimentatori, degli eroi, degli innovatori, dei sognatori a seconda del carattere che hanno.

Se riuscissimo a partire dalla domanda “Cosa provi nel fare questa cosa? Cosa dovrebbe cambiare perché ti diventasse piacevole?” e ancora “di cosa avresti bisogno per ottenere il risultato sperato?”, anzicchè un banale “devi studiare” o un ancor più  riprovevole “solo se studierai ti comprerò ciò che desideri, ti farò uscire ecc. ecc..”.

L’altro esempio è relativo ad un evento in cui ho visto quel cervello vuoto di cui parlavamo.

Un’auto che tenta di uscire dal parcheggio adagio perché c’era un cane sdraiato, lasciato incustodito dal suo padrone che stava conversando con la commessa del negozio. All’improvviso il signore esce di corsa con lo sguardo terrorizzato convinto che la signora avesse travolto il molosso. L’espressione del signore era realmente impaurita ma io ci ho letto altro, la convinzione che potesse esistere un essere umano che di proposito uccida il suo cane, in una parola quell’uomo è schiavo della sua paura e non fatico a credere che provi paura nel perdere la moglie (anche se si occupa di altre) o di perdere i soldi (sarà avaro) o di perdere la stima degli altri (sarà ipocrita o sleale) o di farsi dominare dalla famiglia (sarà il bancomat familiare) o di placare quella paura assecondando sempre gli altri. Insomma la sua paura lo ha preso per mano dall’infanzia e non l’ha più lasciato.

L’apprendimento si recupera con la motivazione, la paura è il rigor mortis.

Ecco queste sono le teste vuote che nessun maestro riuscirà a fertilizzare.

(C) Lucia Denise Marcone