America Oggi – quotidiano italiano con sede in NJ – mette i propri giornalisti in “unemployment”. I contributi della Presidenza del Consiglio non bastano.

Gentile direttore,

con l’assenso dell’autrice Letizia Airos (direttore del network i-Italy.org), giro volentieri questo suo recente editoriale (del 23 aprile) sulla messa in “cassa integrazione” di tutti i giornalisti del quotidiano America Oggi. La nota affronta le cause di un tale epilogo, le analizza, e le mette in paragone al caso  di i-Italy, un piccolo “miracolo” cresciuto senza alcun aiuto di Stato, ma con il coraggio d’essere al passo con i tempi, con l’innovazione, con l’investimento sui giovani e sulla loro creatività. i-Italy è una realtà che conosco abbastanza da vicino, essendo uno dei collaboratori sin quasi dall’inizio della sua avventura. Ma l’analisi che Letizia Airos fa e il giudizio che ne trae, a mio parere, travalicano abbondantemente il caso particolare ed hanno un valore generale: il caso di America Oggi e quello di i-Italy sono uno specchio dove si possono riflettere tante altre realtà, nel mondo dell’informazione e anche oltre. Mi è venuto infatti da pensare alla situazione italiana dove c’è chi si ripiega sulle abitudini e sullo status quo, chi invece in mezzo alla crisi riesce ad affrontare il mare aperto dell’innovazione, con la creatività e con l’antico ingegno italico. Due atteggiamenti di fronte alla crisi, che potremo superare solo con sapendo osare vie nuove. In fondo, è questo il messaggio più promettente, pur in mezzo a tante difficoltà, che l’editoriale di Letizia segnala.
In calce è annotato il link dell’articolo, corredato da un ampio apparato di foto, dalle quali si può liberamente attingere, citandone la fonte.
Con viva cordialità
Goffredo Palmerini

Cosa riuscirebbe a fare i-Italy con quei contributi…

 

America Oggi – quotidiano italiano con sede in NJ – mette i propri giornalisti in “unemployment”. I contributi della Presidenza del Consiglio non bastano.
Noi andiamo avanti da anni senza. Crediamo che la crisi economica possa trasformarsi in una nuova opportunità per l’informazione. E pensiamo che questo dovrebbe capirlo anche chi destina questi aiuti. E voi cosa ne dite?

di Letizia Airos *

 

NEW YORK – Parto da due fatti. Apparentemente lontani tra di loro, ma legati all’argomento che voglio affrontare. Il primo è l’annuncio di “unemployment” per i giornalisti di  America Oggi, storico quotidiano in lingua italiana negli USA. Il secondo è l’intervista che Bruno Vespa ci ha fatto domenica scorsa e che andrà in onda su Porta a Porta.

Ciò di cui voglio parlare è la possibilità che la crisi economica, che sta sconvolgendo tutto il mondo, si trasformi in una nuova opportunità per l’informazione. E ne parlo perché i-Italy è nata nel 2008, proprio mentre scoppiava questa crisi.

 

Inizialmente eravamo solo su Internet ma poi, con grande passione e tante difficoltà, ci siamo consolidati diventando una presenza multicanale importante: in rete, in carta, in televisione e sui social network.

E’ un format ambizioso, per le sue caratteristiche innovative, per la sua indipendenza da grossi gruppi editoriali, e per la scelta di usare non solo l’italiano, ma soprattutto l’inglese per raggiungere un pubblico vastissimo: gli italo-americani, soprattutto i giovani, e gli americani che amano il nostro paese, che sono tantissimi.
Sono stati e sono anni duri, ma anche di grandi soddisfazioni. Dal New York Times che ci telefona per saperne di più su eventi italiani a New York di cui abbiamo scritto (appunto, in inglese), a un importante critico televisivo italiano che ci ha perfino additati come un modello per… la Rai!

Insomma siamo considerati sotto molti aspetti una “best practice”. E lo dobbiamo a due cose: il contributo volontario di una parte dei giornalisti, scrittori e intellettuali, italiani e americani, e una redazione molto giovane, ma con il pallino della qualità e la voglia di distinguersi dai tanti bloggers amatoriali che vanno in giro con una telecamerina digitale. Per non parlare del prezioso sostegno offertoci da due importanti istituti universitari americani: il John D. Calandra Italian American Institute (CUNY) e la Casa Italiana Zerilli-Marimò (NYU).
E così andiamo avanti testardi, privi di contributi statali, alla costante ricerca di fondi in mezzo a una crisi devastante.
Un giornale che non si è saputo trasformare

 

Ma veniamo ad America Oggi. Il quotidiano nacque nel 1988 in contemporanea alla chiusura di un altro storico giornale dell’emigrazione italiana, Il Progresso ItaloAmericano. Diretto da una cooperativa di ex dipendenti de Il Progresso appunto, rappresentò allora un vero salto per l’informazione italiana in America. Grazie all’intuizione di utilizzare i computer e le prime tecnologie nuove per l’epoca; e grazie poi, soprattutto, alle generose sovvenzioni ricevute dalla Presidenza del Consiglio, nell’ordine di milioni di euro.

Così America Oggi ha potuto rappresentare per anni un importante punto di riferimento per la comunità. Ma purtroppo questo quotidiano non è riuscito a stare al passo con i tempi e con le trasformazioni dei suoi stessi lettori, e soprattutto dei loro figli, che ormai non parlano più l’italiano, anche se adorano l’Italia. Il numero di copie vendute piano piano declina, i servizi originali sono diventati sempre più rari rispetto a quelli costruiti sulla base dei comunicati, e il destino del giornale si è legato all’esaurimento anagrafico della vecchia emigrazione italiana.

 

Poi è arrivata la crisi, e i contributi della Presidenza del Consiglio negli ultimi anni sono stati ridotti. Anche se continuano a rappresentare, a mio avviso, un cospicuo aiuto ancora oggi. Un aiuto che, se ben amministrato, potrebbe dare la serenità necessaria per un lavoro quotidiano, non affannato dalla ricerca di fondi. E potrebbe garantire soprattutto i compensi dei collaboratori.

 

Ma ci vorrebbe una realtà diversa, una vera vocazione che America Oggi sembra aver perso, occorrerebbe uno spirito diverso, una capacità di cavalcare l’onda innovativa delle nuove tecnologie. Come quello che il quotidiano nato dopo il Progresso, aveva alla sua nascita, vent’anni fa. E invece la proprietà ha deciso di licenziare tutti i giornalisti…

Bruno Vespa, Il Volo, e noi…
Ma cosa c’entra Bruno Vespa in questo ragionamento? Vi spiego. Mi ha intervistata nel corso di un tour americano organizzato per una puntata speciale di Porta a Porta dedicata ai ragazzi de Il Volo. Grande lavoro di squadra, quello di Rai Uno.

E’ stato interessante vederli agire qui a New York. Il successo del noto giornalista e quello dei giovani cantanti giustificherà certo, in termini di share, quello che hanno investito. Ma mentre li vedevo lavorare — ad esempio nel ristorante Ribalta, trasformato per l’occasione in studio televisivo — non ho potuto fare a meno di riflettere sulla mia esperienza.

Guardavo le loro telecamere, le luci che utilizzavano, le persone nello staff. E pensavo: “Come ha fatto i-Italy ad arrivare fin qui? Come abbiamo fatto a realizzare contenuti di qualità con tante risorse in meno?” La passione è indispensabile, ma certo non basta. Il segreto sta nella creatività e nell’utilizzo oculato delle risorse a disposizione.
Fondamentale il contatto con chi ci legge in rete e in carta, ci vede in TV, con la vita reale del territorio. Con i giovani. E mi sono ricordata come abbiamo realizzato tre anni fa la nostra prima intervista, in carta e in video con i ragazzi de Il Volo, che ebbe un grande successo. E’ un buon esempio per capire cosa voglio dire.

 

Il Volo viene da noi in redazione per un’intervista nel corso di uno dei suoi primi tour americani. Era in inglese e per loro era importante. Non avevamo ancora uno studio adeguato per realizzarla. Dirò di più avevamo in quel momento solo un microfono “lavalier” (di quelli a pinzetta, che si applicano sotto il bavero della giacca). Non era neanche wireless… e poi avevamo una sola telecamera! (ora siamo più attrezzati, non vi preoccupate:-)

Ma come fare a farli parlare tutti e tre, creando qualcosa di diverso, di non noioso insomma? L’idea fu di metterli seduti su tre sedie vicine, con uno schermo bianco dietro, e farli alternare ad ogni battuta. Parlava uno per volta, quello seduto al centro. Un solo microfono, una sola telecamera, ma tutti e tre vicini e divertiti dentro lo schermo.
Ritmo veloce, atmosfera movimentata. Il gioco era fatto. Poi la comunicativa e la simpatia de Il Volo ha ha dato il resto. Ma è solo uno dei tanti accorgimenti, piccole uscite di genio dei miei collaboratori.

 

Realizzare ogni settimana mezz’ora di televisione non banale è una bella sfida. Anche ora che abbiamo più telecamere full HD, qualche microfono, a volte affittiamo le attrezzature per girare in qualità cinematografica. Abbiamo scelto di rendere ricco il programma con segmenti diversi e più servizi, in diverse location. E di dare sempre il massimo. Ma non può costare un occhio della testa. E si può fare!

Si gira con la telecamera sulle spalle, si prende la metropolitana, si chiede la partecipazione di amici che fanno parte dell’ambiente intellettuale italiano di New York. E poi ognuno in redazione è consapevole di dover svolgere i ruoli più diversi, affrontare — e risolvere — imprevisti di tutti i tipi. Abbiamo anche una 500 tricolore disegnata da Massimo Vignelli per andare in giro, ma non la utilizziamo sempre. A New York garage e parcheggi sono spesso proibitivi.

 

E’ un po’ forse il ritorno alle origini. Una televisione di poche risorse, ma che per fortuna oggi ha la tecnologia dalla sua parte. Ogni miglioramento nell’attrezzatura è stata per noi una piccola vittoria.

E lo stesso per il nostro magazine in carta. I costi ci sono, ma si abbattono integrando i contenuti prodotti per la rete e per il video. Lo impaginiamo noi, in base ad una griglia predisposta da un ottimo grafico romano. E alla fine una professionista corregge gli errori e da’ il suo tocco artistico. Perché qualità ed eleganza vengono prima di tutto, specie per degli italiani.

 

E infine i social network, in particolare Facebook, che è il più adatto al nostro modo di comunicare. Affianca la nostra vita e ci segue ovunque con foto e video. Li curiamo uno per uno i nostri “amici” di Facebook, e in poco tempo sono quasi 125mila e postano migliaia di commenti al giorno, intervengono, interagiscono.
E’ una grande sfida, specie per una redazione in buona parte italiana che vuole parlare anche a un pubblico americano. Una sfida che investe i campi più vari, fino alle traduzioni, ai sottotitoli per la televisione, ogni volta bisogna studiare come porgere la nostra cultura e renderla comprensibile. Una sfida che naturalmente ha i suoi costi. Qui dobbiamo tantissimo alla presenza di collaboratori  italo-americani, fondamentale per questa mediazione culturale e non solo linguistica. E siamo anche orgogliosi di esserci guadagnati alcuni contratti per servizi di promozione del Sistema Italia da parte del Ministero degli Esteri, attraverso il Consolato. Piccole cifre con pochi zeri, e soprattutto non finanziamenti ma contratti, che abbiamo onorato stralavorando. Ma è stato un aiuto importante per noi e un riconoscimento del ruolo che svolgiamo.

 

Allora la domanda sorge spontanea. Cosa potremmo fare noi con quei contributi che ad altri non bastano? Me lo sono chiesta e lo chiedo a voi. Io penso che… voleremmo. E sono sicura, dopo qualche anno quei soldi non servirebbero più. Perché l’Italia con la sua cultura è il miglior prodotto da vendere, in America e nel mondo, e la migliore storia da raccontare.

 

Bisogna saperlo fare. E volerlo fare.
Noi speriamo di farcela e crescere nei prossimi anni. Dico ‘speriamo’, la prima cosa di cui sono consapevole è l’incertezza con cui si deve oggi avere l’umiltà di vivere.

 

 

*direttore i-Italy.org

http://www.iitaly.org/39568/cosa-riuscirebbe-fare-i-italy-con-quei-contributi