Cultura & Società

Alambicchi dell’AURUM di Pescara all’inaugurazione della mostra “Ritratti poetici in controtempo” di Ginevra Di Matteo

Lunedì 18 maggio alle ore 17 e 30 presso la Sala degli alambicchi dell’AURUM di Pescara, con il patrocinio dell’Amministrazione Comunale di Pescara, sarà inaugurata la mostra “Ritratti poetici  in controtempo di Ginevra Di Matteo  – a cura di Massimo Pamio, con installazioni del regista teatrale Sabatino Ciocca e del videomaker Loris Ricci, letture degli attori Carlo Orsini, Alessio Tessitore e Alba Bucciarelli, elaborazioni di computer grafica a cura di Claudia Caranfa. Nel corso della manifestazione si ricorderà il poeta Marco Tornar, di recente scomparso. La mostra resterà aperta fino al 28 maggio.

– a Marco Tornar (Enrico), alle tue storie, ai tuoi sogni, ai tuoi versi che hanno cercato di imprimere sulla pagina il volto misterioso e sfuggente della bellezza

Nota di presentazione di Massimo Pamio – Uno scrittore di valore nazionale, Marco Tornar, non può non aver lasciato un segno, proprio lui che nei suoi romanzi cercava storie di autori dimenticati, come Mabel Lodge Luhan o Claire Clermont, oppure ne traduceva le opere: di Kate Field, di Vernon Lee, di Francesca Alexander. I poeti sono i veri clandestini, nella nostra società. Non a caso l’ultimo lavoro di Marco era sul tema dell’esilio degli scrittori nel presente. Di qui l’idea di tornare a Marco e al senso della poesia, che continua a donarsi e ad essere elaborato, nonostante tutto.

Nell’interrogare poeti di Pescara e provincia sul senso della poesia, chiedendo loro un aforisma e testi sull’argomento, nonché chiedendo loro di concedere all’istante del tempo fotografico il volto come un segno, i curatori della mostra Massimo Pamio e Sabatino Ciocca hanno intercettato ed elaborato un loro “senso” della poesia, che per ciascun poeta sta nel ripetersi ogni volta del miracolo della prima parola detta, per il lettore nell’ascolto dell’oracolo dell’Altro e infine per tutti nel realizzarsi di un’idea (quella della Poesia) nella folla dei parlanti. Il senso della poesia non è mai uno, ma trinitario.           Al centro della mostra una serie di totem con i volti dei poeti, a formare una foresta ideale della poesia. Ai lati, gli orizzonti, file di foto di bocche: la poesia è oracolo di Sé, è il linguaggio che, al suo confine, interroga il suo stesso essere.

Una mostra fotografica sul “(ris)volto” dei poeti, sul loro volto esibito come una contropagina intende celebrare, in modo non retorico, un manipolo di uomini che, attraverso la parola, cerca di mantenere il contatto con un mondo non noto, non evidente, oppure invisibile, altrimenti con un mondo in procinto di disfarsi, o che ha fretta di finire. I poeti sono sempre gli ultimi – quelli che credono nell’isola della nostalgia, ma anche nella povertà delle minime cose e delle illusioni, da sempre considerate la parte inferiore – bassa – del sociale, degli interessi, ma anche sono quelli che credono nella “trasgressione”, nel corpo, nel male, nell’incubo, nella ribellione e in tutto ciò che la società tende a controllare, ad espellere, a gettare ai suoi margini; tuttavia i poeti sono anche coloro che annunciano quel che verrà, profeti spesso inascoltati. Profeti di tragedie incombenti (la guerra oppure una pace ipocrita o un benessere omologanti, la distruzione della natura e delle altre specie viventi), di un modo romantico o dandystico o bohémien di comportarsi, i poeti sono comunque sempre “contro” l’establishment, sono la coscienza inquieta della società, sono gli esaltatori di innovazioni folli o sconsiderate (le automobili o perfino la guerra se ritenuta purificatrice e rinnovatrice come per i futuristi, pronti allo scandalo, alla provocazione, a “épater les bourgeoises”) di un raffinato estetismo che va a rompere gli schemi (come in Wilde o in D’Annunzio) o a difendere i lati più oscuri della psiche (da Carroll a Poe, da Novalis a Hölderlin, da Céline a Celan)  infine, martiri della verità, se, in definitva, ciò che distingue la poesia è la ricerca della verità – da un poeta ci si aspetta verità esemplari, la testimonianza più spregiudicata e sfacciata nei confronti di ogni tipo di deviazione del potere (Ken Saro Wiwa, Neruda, Lorca, Majakovskij, quanti i poeti uccisi per aver combattuto per la libertà!), ma anche e soprattutto la verità che appare ogni giorno nella nostra vita e che ci parla di un continuo manifestarsi nella quotidianità del miracolo; il “vero” poeta ci svela che perfino l’oggetto più insignificante e mai degnato di uno sguardo riserva sorprese e un’autenticità degna di essere conosciuta. I poeti sono maieuti, riescono a tirar fuori la verità nascosta nella nostra intimità e a farla palpitare e a renderla unica, irripetibile. Infine, sono gli inascoltati custodi di ciò che è essenziale nella nostra vita, la gioia, la spiritualità, l’amore, i poeti non sono “uomini di cultura” come spesso vengono categorizzati per spegnerne la portata dirompente di sognatori d’un mondo dove, non invasi da surrogati del vivere, si rinasce in ogni istante, per combaciare con gli altri, per irrompere negli altri, in una comunione vitalistica.

I poeti abruzzesi meritano di essere celebrati; sono tra i più validi in Italia, anche se, a causa della sudditanza economica e culturale dell’Abruzzo (e del Meridione) nei confronti del Nord, di Milano soprattutto, la capitale del potere industriale editoriale, risultano poco conosciuti. Volti che parlano delle verità nascoste, emarginate, derelitte, ma che, fieri di essere, si annunciano una volta per sempre al mondo declamando la loro interiorità ancora integra, ancora non intaccata da nessun morbo della globalizzazione: i poeti abruzzesi sono volti disadorni, d’una disappartenenza al sociale che solo pochi altri possono vantare; i loro tratti tradiscono il segno di una fedeltà a loro stessi e a un’ideologia inconsistente che li fa quasi santi: testimone del sacro, il poeta abruzzese è la sua terra eremitica, un separato testimone di vastità desolate aperte sull’orizzonte, laddove è già il sacro, è già il compiersi d’ogni miracolo, dall’alba al tramonto, nell’alba e nel tramonto.

La fotografa Ginevra Di Matteo ha interpretato con animo personale, ha letto, ha scavato in quei volti la loro vocazione e la loro autentica voce: un clamore sommesso, una timidezza esplosiva e una sfrontatezza curiosa che si annunciano, una risata interiore ma pronta, un silenzio che si è appropriato di quel volto per sempre, una mano che accarezza la propria vita e quella dei libri, un colorato segno d’arte, un primo piano dialogico, che chiarisce le complessità riducendole al sovrapporsi di tempi d’infanzia,  di maturità e di altre estensioni, uno sguardo profondo che raccoglie in sé lo sguardo di mille altre esistenze e le tramanda proprio in quell’istante che concede all’osservazione del fotografo, cioè dello spettatore. L’osservazione è tutto, i ritratti sono il terreno dove la parte diabolica e quella divina che convivono in ogni poeta sono resi evidenti, risolti che siano, oppure confliggenti o ineffabilmente complicati. Ginevra ha studiato i volti, li ha guidati affinché rivelassero la loro interiore espressione, il loro segno indelebile, il loro marchiare la vita ed esserne ustionati, grazie a una precisa strategia, ad un affettuoso coinvolgimento psicologico e a un’implacabile artiglio tecnico è riuscita a indurre il poeta a concedersi, a scrivere insieme col fotografo la pagina del suo volto, a crearla ex novo. E’ la persona che “fa” la foto; il poeta stesso a trovare, di fronte a un lettore di volti, un’intuizione verbale, una particolare dimensione: la propria. Grazie a coloro che si sono prestati, Annamaria Albertini,  Luisa Angeloni, Antonella Antinucci, Franca Arborea, Matteo Auciello, Vittorina Castellano, Giacomo Castelli, Daniele Cavicchia, Maria Pia Chiappino, Maria Gabriella Ciaffarini, Chiara Coppa Zuccari, Margherita Cordova, Giada Cucciniello, Mariangela D’Albenzio, Maria D’Alessandro, Federica D’Amato, Luciano De Angelis, Angelo Del Vecchio, Maria Grazia Di Biagio, Tino Di Cicco, Luigi Di Fonzo, Nicoletta Di Gregorio, Silvia Di Lorenzo, Anna Grazia Di Martino, Francesco Di Rocco, Manuel Dominioni, Chiara Fiori, Anna Gatto, Ubaldo Giacomucci, Barbara Giuliani, Giancarlo Giuliani, Sara Iannetti, Bibiana La Rovere, Carlo Lizza, Giovanni Lufino, Elena Malta, Dante Marianacci, Alessandra Marrone, Cristina Mosca, Maria Piera Pacione, Leda Panzone Natale, Franco Pasquale, Marco Pavoni, Luciana Piccirilli Profenna, Daniela Quieti, Cinzia Maria Rossi, Raffaele Rubino, Mara Seccia, Bruno Spadaccini, Santino Spinelli, Magda Seta, Stevka Smitran, Marco Tabellione, Marco Tornar, Mirella Tucci, Lucio Vitullo.

La poesia abruzzese ha espresso qualcosa in più del suo semplice evocare, ha creato, nei volti, le ultime maschere sacre della poesia.

Nella mostra c’è una foto di Claudio Carella scattata a Marco Tornar (al secolo Enrico Ciancetta) che aveva aderito all’iniziativa ma che è improvvisamente venuto a mancare. Marco era non solo poeta ma anche scrittore di valore nazionale, studioso d’arte, appassionato testimone d’una generosità che si incarnava in una fase di rinnovata passione per la creaturalità. I personaggi dei suoi romanzi sono persone storicamente vissute, della cui esistenza Marco si era innamorato, vivendole a sua volta fino in fondo: Marco era stato Mabel Lodge Luhan, Enrico VII di Lussemburgo, Claire Clermont, e anche Kate Field, Vernon Lee, Francesca Alexander, Henry James di cui aveva tradotto le opere. In uno, era mille volti, in una, Marco era mille esistenze, o forse ne era la loro reincarnazione, fatto sta che la sua sensibilità vivissima, romantica e ottocentesca, lo rendono figura indimenticabile, uscita in modo inatteso dal quadro della vita, cogliendo ancora una volta di sorpresa tutti noi, rimasti qui, semplici spettatori di un’eternità che egli adesso coglie e non può che suggerirci, stavolta senza parole.

Ginevra Di Matteo, psicologa, nata a Piano Vetrale nel Cilento, ha tenuto una mostra dal titolo “Namasté”, reportage sul Nepal.

Massimo Pamio, poeta e saggista, è direttore del Museo della Lettera d’Amore, museo unico al mondo che è ospitato nel Palazzo Valignani di Torrevecchia Teatina. Nominato nel 2007 Cavaliere dell’Ordine “Al Merito della Repubblica Italiana”, per meriti culturali. Studioso di letteratura moderna, ha pubblicato in volume numerose opere di saggistica e di poesia.

Sabatino Ciocca, regista di prosa, collabora con Enti e Istituzioni regionali e nazionali (ATAM, TSA, Istituto di Cultura Francese). È socio fondatore della cooperativa teatrale Quarta Parete e della Residenza Teatrale Theatria; autore e programmista regista RAI; regista di opere musicali per l’Ente Lirico d’Abruzzo; autore e coordinatore artistico di progetti sulla drammaturgia regionale: D’Annunzio e l’Abruzzo, in collaborazione con la Fondazione Il Vittoriale; Confessione generale, sulla vita dello scrittore Giuseppe Mezzanotte; La Penna di Tartarin, sulla vita di Edoardo Scarfoglio, prodotte dalla Regione Abruzzo; La Voce dei Silenzi, orazione civile sulla morte del giornalista Antonio Russo, pièce commissionatagli dalla Fondazione Russo per il “Premio Giornalismo e Reportage di Guerra” a lui intestato. Come Direttore della Scuola di Recitazione e della Compagnia di Prosa del Teatro Marrucino di Chieti ha allestito numerose opere teatrali.

Loris Ricci studia l’utilizzo e lo sviluppo della musica digitale applicata al computer, collaboratore fisso presso alcuni studi di registrazione. Turnista al fianco di numerose formazioni di musica pop, ha accompagnato Aleandro Baldi. Ha partecipato al corso di musica per film del M° Ennio Morricone tenuto dal M° Sergio Piersanti, ai seminari estivi del Berklee College dell’Umbria Jazz Festival. Il suo primo cd: “The rings of fire“, ispirato alla saga di Tolkien, con i “Doldrums”, Tino Tracanna, Davide La Rovere e Ivano Sabatini. Ha partecipato a “Donne in Jazz” con i Doldrums e la cantante italo-australiana Carla Civitella. Ha suonato nell’opera buffa del M° Franco Mannino “ANNO DOMINI 3000” come solista ai sintetizzatori nell’orchestra del teatro Marrucino, diretta dal M° Rodolfo Bonucci. Ha partecipato al festival internazionale di Ostia Antica, al festival jazz di Pescara con i Doldrums, suonando con Antonio Onorato. Ha composto colonne sonore per il teatro, per: “Le Baccanti ” di Euripide, “La guerra spiegata ai poveri” di Flaiano, “L’Inferno” di Dante “L’opera dello straccione” di Havel, etc.

 

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