Teramo. MAGGIO.FEST XXIV EDIZIONE

TEATRO DI CONFINE E NUOVE DRAMMATURGIE

Under 40

Progetto didattico della Cattedra di Laboratorio di Comunicazione Teatrale -Facoltà di Scienze della Comunicazione -Università degli Studi di Teramo

Mercoledì 13 maggio ore 21,00

Sala Conferenze Facoltà di Scienze della comunicazione

Campus Coste Sant’Agostino

 

”il Sindaco”

di

Flora Farina

con

Angelo  Tanzi

musiche Vito Quaranta  –  scene e luci Gianluigi Carbonara  –  progetto grafico Titti Lastilla

aiuto regia Vera Anelli  –  organizzazione Annamaria Carella

regia  Angelo Tanzi

Il sindaco. Una suggestione, una musica.

Poco più di dieci anni fa, una nave carica di profughi kurdi finisce il suo viaggio sulle coste di un piccolo paese della Calabria. Paese che diventa l’emblema di una condizione comune a molti altri paesi del sud Italia.

Gerardo, “il sindaco”, è il protagonista dello spettacolo. E’ l’uomo che tutti noi vorremmo essere in una determinata situazione, colui che agisce con il cuore, che crede nel prossimo e nella sua buona fede, che si scopre forte della forza che gli ispirano le persone che ama.

E come succede nei luoghi del cuore, quello che nasce dalla buonafede, dall’onestà e dalla verità vince, riesce, ha un buon esito….talmente buono che viene universalmente riconosciuto, conclamato, acclamato. Applausi, discorsi, telefonate, sguardi amorosi.

A scandire i tempi di questo racconto – in bilico tra fatto di cronaca, allarme sociale ed esperienza umana – c’è il sogno. E come in un sogno, anche qui tutto è vero e tutto è finto. Tutto diventa possibile, plausibile, credibile, ma anche l’esatto contrario. Fino al risveglio, che è soprattutto presa di coscienza, e che svelerà la realtà in tutta la sua ineluttabile condizione.

Rimane la certezza di aver intravisto, tra divagazioni oniriche, platee immaginarie, sigarette e qualche gatto, il tentativo vero e reale di una sfida all’intolleranza e all’incapacità di capirsi.

(Angelo Tanzi)

La vicenda che Gerardo racconta è ispirata ai fatti avvenuti alla fine del secolo scorso a Badolato, piccolo paese della costa ionica calabrese, spopolato dall’emigrazione italiana del dopoguerra.

Nell’inverno del 1998 sulle coste limitrofe al paese si susseguirono sbarchi di profughi provenienti dal Kurdistan turco. L’allora sindaco decise  di non ignorare quell’evento e di usarlo per ridare vita alla sua comunità. Aprì le case disabitate dei centri storici alle famiglie appena sbarcate dando vita così a una realtà multiculturale del tutto inusitata nel panorama italiano. Per i calabresi volle dire vedere i loro paesi di nuovo in vita, recuperare tradizioni di cui si stava perdendo la memoria e trovarsi all’improvviso al centro di un gran fragore mediatico e di una risonanza internazionale. Dopo alcuni anni tuttavia Badolato subisce un secondo spopolamento, data la grande povertà del territorio e la difficoltà di gestire la situazione. L’esperienza segna comunque l’intero paese, che decide di prendere lo status di “paese aperto”, in cui profughi e migranti, anche solo per riprendere fiato, possono sostare e essere accolti. In attesa che una nuova comunità si aggreghi di nuovo, magari questa volta per sempre.

 

Flora Farina (Roma 29/09/1974) Laureata con lode in Storia e critica del cinema presso la facoltà di Lettere dell’università La Sapienza di Roma. Dal 1991 al 1992 collabora come giornalista con alcune emittenti e giornali locali. Frequenta negli anni di università un corso di scrittura creativa. Inizia la sua attività teatrale come aiuto regista lavorando con registi quali Marco Mattolini, Giuseppe Patroni Griffi, Marco Sciaccaluga, Paolo Villaggio, Sergio Castellitto, Gianfranco Mingozzi, Piero Maccarinelli. Nel 1998 inizia a scrivere per il teatro debuttando al Festival di Todi con “Zota, la notte delle matite spezzate”. Nel 2005 fonda con il suo gruppo l’associazione culturale Teatroblue con cui mette in scena drammaturgie e testi originali. I suoi testi partono spesso da testimonianze, diari, memorie o opere di poesia per un teatro civile, affrontato usando meccanismi, dinamiche e analogie della dimensione onirica.

 

Angelo Tanzi

Nasce a Bari. Nel 1992 si trasferisce a Roma per frequentare la scuola di recitazione “La Scaletta”. Continua il suo percorso formativo studiando con: Tapa Sudana, Eugenio Barba, Jilles Coullet, Laura Curino, Enrique Pardo, Claudio Di Palma, Elena Bucci, Marco Sgrosso, Teatrino Clandestino, Danio Manfredini e altri.

Alterna alla prevalente attività teatrale partecipazioni a film per la televisione (RAI, MEDIASET, TSI) e speakeraggi radiofonici (Radio3Rai). Ultimi lavori (2014): “Francesco” regia L. Cavani, prod. RAI e “Squadra Mobile” regia S. Zarmandili, prod. MEDIASET. Collabora, tra gli altri, con: Giancarlo Sepe, Giancarlo Nanni, Claudio Remondi, Riccardo Caporossi, Maurizio Panici, Michele Mirabella, Marco Mattolini, Corrado Pani, Orso Maria Guerrini, Maurizio Micheli, Manuela Kustermann, Nello Mascia, Mariano Rigillo, Monica Guerritore

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mercoledì 20 maggio ore 21,00

Sala Conferenze Facoltà di Scienze della comunicazione

Campus Coste Sant’Agostino

 

rottami

di e con Emanuela Guaiana

regia  Filippo Dini

disegno luci Pietro Sperduti

scenografia e costumi Maria Teresa Padula

produzione Teatroblue

 

 

Cinque personaggi, una prostituta, un matto, un cane, un lavapiatti straniero e una donna morente. Tutti sono in attesa, in attese segnate dal destino, da ciò che vivono, dalla loro lotta personale del proprio diritto all’esistenza. Sono soli, ma parlano sempre con qualcuno, e in questo dialogo immaginario, spesso frammentato, intravediamo un filo comune che li percorre e sostiene tutti. Con leggerezza si dimenano dentro ad una realtà comune che è quella di una periferia abbandonata e degradata, rimanendo sempre in contatto con la parte  più estrema di loro stessi.

“rottami” sono tutte le anime che si aggirano ai margini, che camminano inconsapevolmente al confine, che aspettano qualcuno che li ascolti e li possa salvare, riuscendo con uno slancio di forza a sopravvivere. L’amore senza il veicolo della parola da parte degli animali ( il cane), l’allegria feticcio di chi batte (la prostituta), l’inadeguatezza che diventa follia (Nello), il lavoro disagiato ed essere sfruttati ( Tiego ), la vecchiaia e la morte (Eterna).

 

Emanuela Guaiana

Nasce a Roma. Nel 1996 si diploma al Liceo Classico e nel1997-1998 frequenta il corso di Recitazione presso il Centro Studi “Enrico Maria Salerno”.

Dal 1996 inizia la sua carriera di attrice.

Recita in:  “Mi piaci perché sei così” diretto da Gabriele Pignotta;rottami” di e con Emanuela Guaiana diretto da Filippo Dini.  Teatro Qurino di Roma,  teatro Cometa Off di Roma, teatro Arvalia di Roma,  Teatro Civico di Sinnai Sardegna, Teatro Comunale di Oppido Lucano in Basilicata; “ italo e fernanda” di federico Pacifici;  “SKYLIGHT” scritto da David Hare diretto da Riccardo Serventi Longhi; “ANTRAGEDIAGONE”   scritto e diretto da Emanuela Guaiana per il festival di Armonia;  “ Il RISCATTO”    diretto da Giampiero Rappa ( Compagnia Gloriababbi Teatro );  “ ANTIGONE”  diretto da Carlo Orlando e Nicola Pannelli; “  TUTTO COME PRIMA”  cortometraggio scritto e diretto da Federico Pacifici 2007;“  ANTRAGEDIAGONE”  autrice, Testo  finalista al Premio Enrico Maria Salerno 2007; “  LETTURE CLASSICHE “   Letture di Marziale e Giovenale per Le antiche Case Romane del Celio a Roma, progetto a cura di Laura Nardi;  “ TRANSITO”  di Flora Farina per la regia di Daniele Petruccioli;“ Il RISCATTO ”  scritto e diretto da Giampiero Rappa ( Compagnia Gloriababbi Teatro) per il  Festival di Asti  e Le Vie dei Festival 2006-2007;  “ RICCARDO III ” diretto da Filippo Dini (Compagnia Gloriababbi Teatro); “  ROTTAMI ” diretto da Eva Cambiale scritto e interpretato da Guaiana Emanuela; “  IL COLORE BIANCO ” diretto da Giorgio Barberio Corsetti e Fatoù Traoreé per le Olimpiadi di Torino 2006; “ L’AVARO ” di Moliere, interpretato e diretto da Gabriele Lavia (Compagnia Lavia); “  ZIO VANJA ” di Cechov, regia di Fortunato Cerlino (Compagnia Fattore K); “  LES SUBLIMES ” Compagnia HVDZ regia di Guy Allocherie durante il festival di confine

METAMORFOSI fra teatro e circo diretto da Giorgio Barberio Corsetti; “ SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZ’ESTATE ” di W: Shakespeare, regia di Andrea Battistini (Teatro Stabile di Genova); “ L’ANIMA BUONA DEL SEZUAN ” di B. Brecht, regia di Marco Sciaccaluga (Teatro Stabile di Genova); “ UNA STAZIONE DI SERVIZIO ” di Gildas Bourdet, regia di Massimo Mesciulam (Teatro Stabile di Genova); “ Agata e la tempesta ” di Silvio Soldini; “ IL VIZIETTO ” di PATRONI GRIFFI con PAOLO VILLAGGIO e JONNY DORELLI; PUNTATA ZERO regia di ROBERTO CENCI con LA PREMIATA DITTA.

E’ attrice inoltre nella trasmissione  MONOLOGHI prodotta dalla R.A.I per RAISAT

Partecipa a diversi spot pubblicitari (gavazza,star, canone RAI 2011/2012,Pagine Gialle per la regia di Gabriele Muccino e Paolo Virzì);

Dirige il seminario-studio per il festival Inequilibrio esploso 2008 Armunia teatro ed è Assistente alla regia di Marco Mattolini in “CROMOSOMA SIGFRIDO” nell’ambito del Festival Di Todi 1999

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ARTE

16  ∙ 23 maggio

Torre Bruciata, Via Antica Cattedrale

COSMOGONIE

Ivano Pardi

 

Opening Sabato 16 maggio ore 18,30 – Magda White Music Performer

Orari Fr 18,00-20,00 Sabato e Domenica 11,00-13,00/18,00-20,00

Con artisti come Ivano Pardi da Castelli, lo splendido borgo abruzzese delle ceramiche storiche, il critico non deve fare troppa fatica. Non deve inventarsi acrobatiche chiavi interpretative, ammantare di riferimenti dotti e digressioni letterariamente forbite ciò che è spesso incolto, anche sanamente; fare, in fin dei conti, quello che molti artisti vorrebbero dai critici, fornire pubblica giustificazione a qualcosa che in molti casi sarebbe ingiustificabile, se non per la gratificazione individuale di chi l’ha generata. Con Pardi, invece, ci sono le opere a parlare per loro conto, guadagnandosi il proprio uditorio senza bisogno di ulteriori intercessioni… Al critico resta solo l’assecondamento esegetico… Si tratta, in realtà, di una condizione ideale, per niente limitativa, specie nei confronti della propria coscienza intellettuale…Se diciamo che Pollock o Burri ci toccano, così come potremmo dirlo comodamente per Pardi, è perché attribuiamo a quel certo modo di comunicare un significato. Nel caso di Pardi, poi,  concordo che il significato non solo ci sia, ma vada riportato a quanto di più ardito si possa concepire, la simulazione del processo primario con cui si è formata la materia dell’universo, ponendolo come novello alchimista – in un autoritratto all’antica del 1995, Pardi si raffigura con un’aria vagamente stregonesca, alla Cagliostro, malgrado l’abito rinascimentale – che ancora vuole contendere alla scienza moderna il primato nell’intuizione delle ragioni del mondo. Tutto, nelle opere cosmogoniche di Pardi, sembra succedere un momento dopo il Big Bang, quando l’energia infinitamente espansa finalmente comincia a contrarsi, i gas a condensarsi, dando luogo ai primi agglomerati di materia, le prime concrezioni oscillanti ancora tra la seconda e la terza dimensione, i primi nuclei da cui si svilupperà la vita. E tutto, in questa fase di totale divenire, sembra prospettare diversi universi possibili, quello che è diventato, ma anche quello che sarebbe potuto essere, se solo gli ingredienti nel crogiolo si fossero spostati verso un estremo piuttosto che un altro. Niente sembra ancora escluso, nel panta rei ancora non-mondo di Pardi, con i grumi di materia in piena azione che si aggregano su distese planari a definire geografie immaginarie, e le infinite varietà di magma cromatico a associarsi liberamente, ora come colate bloccate, miracolosamente esentate dalla forza di gravità, ora sparpagliate da nuove deflagrazioni generatrici, liberatrici di forza incandescente, fin quando dal caos originario non iniziano ad individuarsi le prime idee platoniche di quello che sarà poi l’universo finito, l’acqua, l’aria, la terra, il fuoco, la luce che si separa dalla tenebra. Affascinante, a pensare che si tratta di processi immaginati, rappresentazioni dell’irrappresentabile per le quali non sai dove finisca il probabile e cominci la sua elaborazione lirica. Nel riproporre la genesi, Pardi incarna il mito più elevato dell’artista, il ri-creatore dell’universo che si serve dell’unico, vero strumento riconducibile alla pietra filosofale, facendosi emulo per eccellenza di Dio. Neanche Cagliostro avrebbe aspirato a tanto.

Vittorio Sgarbi

 

Ivano Pardi,nasce a Castelli(TE).Consegue la maturità artistica all’Istituto  Statale D’Arte per poi completare la propria formazione artistica per poi diplomarsi presso l’Accademia di Belle Arti di L’Aquila frequentando i corsi di Ceroli,Marotta,Cascella, Brunori,Guerrini ed atri.

L’artista opera all’interno di un laboratorio,carico di storia e di tempo,che fu la cinquecentesca bottega di Orazio Pompei celebre ceramista locale.  Si dedica da anni ad una produzione artistica contemporanea utilizzando diversi materiali,prevalentemente olio e tecniche miste su vari supporti.Fotografo, è attivo anche nella lavorazione della ceramica e della maiolica   .Dal 2004 avvia una pittura materica che trova nello spessore “aggrumato” del colore il segno della sofferenza e delle lacerazioni del mondo;è stato per alcuni anni membro del Museo della permanente di Milano e tante sono le sue partecipazioni a qualificate rassegne collettive e personali in Italia (Roma,Milano,Bologna,Pescara, Palermo, Torino ecc) e all’estero (Parigi,Madrid,Londra,New York,Belgrado ecc). Nel 2011 partecipa alla 54° Biennale di Venezia Padiglione Italia a Torino, é presente nelle fiere D’Arte Contemporanea di Reggio Emilia, Massa Carrara,Genova,Verona,Forte dei Marmi,Padova,Stoccarda ottenendo vari riconoscimenti. Hanno scritto di lui i critici:Vittorio Sgarbi, Letizia Piattella,Antonio Rosada,Paolo Levi,Donato Conenna,Alberto Veca, Filippo Maria Ferro, Giulia Sillato, Joan Lluis Montanè, Manuela Valleriani e altri. Molte sono le pubblicazioni su libri e riviste di pregio. L’artista attualmente vive e lavora a Castelli.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La sezione Musica è dedicata con affetto alla memoria del caro amico M° Francesco Sanvitale.

MUSICA

Giovedì 21 maggio

Sala San Carlo- Museo Archeologico  ore 21,00

ARTURO VALIANTE E AGUACERO
in concerto

 

Arturo Valiante pianoforte ● Ermanno Dodaro contrabbasso ● Francesco Consaga sax soprano-flauto traverso ● Glauco Di Sabatino batteria

Programma

  • Danza para estrella Radiosa  (Ermanno Dodaro)
  • La creatura  (Arturo Valiante)
  • Portrait  (Francesco Consaga)
  • Mary (Ermanno Dodaro)
  • Chiacchiere (Arturo Valiante)
  • Chinan Cocha (Ermanno Dodaro)
  • A piazza in Piscinula ( E.Dodaro,  A.Valiante, F.Consaga)
  • Frascineto (Ermanno Dodaro)
  • Balena d’aprile (Ermanno Dodaro)
  • Mujer (Ermanno Dodaro)
  • Isabella (Ermanno Dodaro)
  • Acque (Ermanno Dodaro)
  • L’uomo baleno (Francesco Consaga)
  • Si balla sui monti della Xora  (Ermanno Dodaro)

Arturo Valiante Diplomato in pianoforte classico e in musica jazz nei conservatori di Teramo e Bari, ha  studiato musica jazz nei seminari estivi con i  maestri  G.Gaslini, E. Pierannunzi, F. D’Andrea e Luca Flores.  Ha suonato con Massimo Urbani, Paolo Fresu e Karl Potter in festival e rassegne in tutta italia.  Ha accompagnato cantanti come Phillys Brandford, Christal White, Josette Martial, Awa Ly, Lily Lathueru, Linda Valori con le quali  ha registrato alcuni album e composto brani originali.

E’ autore di musiche per spettacoli prodotti dal  Teatro Euclide, Ambra Jovinelli e Teatro Colosseo di Roma e colonne sonore di alcuni film. Nell’ambito della musica pop ha collaborato con Paolo Mengoli,  Mia Martini, Giorgia, Pino Daniele, Gianluca Grignani, Michele Zarrillo,   Mietta e molti altri. Ha lavorato come pianista accompagnatore all’Accademia nazionale di danza a Roma e come insegnante di musica jazz e ha tenuto seminari sull’improvvisazione e musica d’insieme in molte città

Collabora da anni con il chitarrista-produttore Fabio Massimo Colasanti con il quale ha realizzato numerosi progetti musicali come Aladin’s, colonne sonore e sonorizzazioni per documentari e video. Fa parte del gruppo musicale Asì quartet,  con Ermanno Dodaro, Luca Caponi e Francesco Consaga,  Latin Jazz Axè con Harvey Kaiser  e  Cyber Alice una formazione  di Alberto Tebaldi. Ha molti album all’attivo e tantissime altre partecipazioni discografiche con i più interessanti musicisti italiani.  Dal 2008 collabora con Rocco Papaleo nei suoi spettacoli teatrali (Basilicata coast to coast, Una piccola impresa meridionale e altri) esibendosi nei maggiori teatri italiani; nel 2012 prende parte al Festival di Sanremo e sempre con l’attore partecipa a O Scià a Lampedusa con Claudio Baglioni e  al premio Gaber di Viareggio con la band, accompagnando artisti come Nada, Pieraccioni, Siria e Marco Alemanno.  E’ autore di alcuni brani della colonna sonora del film Una piccola impresa meridionale (Warner) e con l’omonimo spettacolo nei primi mesi del 2015 è stato in tour in tutta Italia.

Aguacero (in spagnolo acquazzone…) è un quartetto acustico con un impatto sonoro che propone un temporale musicale. Contatto sonoro che attraverso un percorso lirico, ma mai invasivo, accompagna l’ascoltatore in un mondo di suggestioni semplici e coinvolgenti. Causticità, tenerezza armonica e colori sono le parole d’ordine che distinguono il repertorio di brani originali di Ermanno Dodaro  , Arturo Valiante  e Francesco Consaga  supportati dalla eccellente ritmica di Glauco Di Sabatino

Francesco Consaga Si è dedicato a lungo allo studio ed alla ricerca   timbrica nel campo dei sassofoni, sviluppando nel corso degli anni una  sonorità ed uno stile molto   personali. Diplomatosi in flauto traverso sotto la guida di Edda Silvestri, studia jazz ed improvvisazione iniziando presto un’intensa   attività concertistica nell’area jazz della capitale. Collabora come musicista di scena con Lina Wertmuller allo Auditorium Parco della Musica in Roma e  con Patrick Rossi Gastaldi e Cinzia Gangarealla ,e con altre compagnie teatrali in alcune rassegne naziononali ed europee. Scrive musica per diversi  spettacoli teatrali e per la   televisione italiana (RAI). Pubblica albums per etichette italiane e spagnole con  Edoardo Bignozzi e Tommy Caggiani, nel trio” Monastyr” ecc. e con il quartetto Asicomolasflores” con  Ermanno Dodaro , con il pianista Federico Laterza.

Con il quartetto ASI partecipa alle più importanti rassegne jazz nazionali Attualmente fa parte del quartetto ASI, del duo HOLOGRAMDUO e suona in diversi spettacoli di Rossana Casale.

Ermanno Dodaro .Roma 17/12/1963.Contrabbassista, compositore.. Si diploma  in contrabbasso  al Conservatorio LICINIO REFICE  di Frosinone. Studia  composizione con il Maestro Roberto Jantorni. Collabora  come musicista e compositore con: Lina Wertmuller, Lucia Poli, Giorgio Albertazzi,Pino e Claudio Insegno,Rocco Papaleo Maddalena Crippa,Luca Zingaretti. Scrive le musiche di scena per gli spettacoli :Falstaff e le allegre comari di Windsor(regia di Gianni Caliendo) Donna Flor e i suoi due mariti (regia di Emanuela Giordano) ,La commedia di Orlando (regia di Emanuela Giordano). Ha fondato il quartetto “Así” insieme a Francesco Consaga, Arturo Valiante e Luca Caponi, insieme ai quali ha pubblicato tre CD l’ultimo dei quali “Así” distribuito dalla EMI. Come contrabbassista e autore di canzoni collabora con Tosca e Rossana Casale.

Glauco Di Sabatino Nato a Teramo in una famiglia di musicisti, nel 2010 consegue il diploma di percussioni presso il Conservatorio di Bari. Numerose le esperienze con musicisti locali in generi che vanno dal pop al rock, dal funk al jazz. Ha partecipato a diverse trasmissioni radiofoniche e televisive di importanti emittenti abruzzesi e nazionali (Radio 1). Ha suonato con Luca Bulgarelli, Fabrizio Bosso, Javier Girotto, Renzo Ruggieri, Marco Siniscalco, Massimo Moriconi, Daniele Scannapieco, Andrea Braido, Jerry Popolo, Irio De Paula e con i cantanti Antonella Ruggiero, Piero Mazzocchetti e Fabio Concato. Ha collaborato anche con gli attori Mariangela D’Abbraccio, Milo Vallone, Maurizio Mattioli. Attualmente collabora col cantautore Goran Kuzminac e suona nel trio del fratello Paolo Di Sabatino con cui incide stabilmente dal 2008 per l’etichetta giapponese Atelier Sawano e nel dicembre 2009 ha effettuato un tour in Giappone. Suona stabilmente con il gruppo Tango ot not tango (con Davide Cavuti, P. Di Sabatino, J. Girotto, M. Siniscalco, Le Gran Tango String Quartet e la partecipazione straordinaria di Paola Turci e degli attori Michele Placido e Caterina Vertova). Nel 2012 ha suonato la batteria con un set jazz in Giverny della cantautrice Grazia Di Michele. Ha all’ attivo un cd a proprio nome dal titolo Inside the Groove. Nel 2014 uscirà per la casa editrice SINFONICA JAZZ un suo metodo didattico.

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CINEMA

 

I cento anni di Orson Welles

Giovedì 7 maggio

Sala SanCarlo – Museo Archeologico

Ore 21,00

                

Orson Welles nel centenario della nascita (6 maggio 1915) e nel trentennale della morte (10 ottobre 1985). La celebrazione di un genio precoce e precocemente giunto a un successo senza pari, come attore e regista di teatro e  come conduttore di una trasmissione radiofonica destinata a passare alla Storia, non solo dello spettacolo. Cineasta esordiente con un contratto hollywoodiano che gli lascia carta bianca (un unicum!) e firmatario, a ventisei anni, di un film che già all’uscita viene considerato il  film per eccellenza, il più bello della storia del cinema: Citizen Kane (1941), secondo Bogdanovich avanti di 40 anni per quanto riguarda linguaggio, innovazioni, complessità di scrittura e di scrittura filmica. Poi una lunga parabola discendente, fatta di film sottrattigli, rimontati, massacrati, incompresi, scomparsi, iniziati e mai conclusi. E di genialità mai arresa. Nei suoi film, profeticamente, l’ascesa e la caduta, il trionfo e il crollo caratterizzano già i memorabili personaggi da lui incarnati: Kane, Arkadin, Quinlan, Michael O’Hara, Macbeth, Othello. Un gigante del ‘900 Orson Welles, l’emblema dell’artista avanzato e ribelle, glorificato quanto ostacolato, celebrato e incompreso, magnificato e disprezzato.

 

THE HEARTS OF AGE (Usa, 1934) – regia: Orson Welles, William Vance – sceneggiatura: Orson Welles – interpreti: Orson Welles, Virginia Nicholson, William Vance, Edgerton Paul, Blackie O’ Neal – dur: 8’

Una donna siede accanto a una campana, un uomo al suo fianco aziona la corda che la suona. Un uomo elegante appare, seguito da altre figure. La campana suona a morto? E chi è morto?

Un film, ha detto Welles, “da vedere a casa la domenica pomeriggio”. Ma è difficile essere d’accordo con un’affermazione così semplicisticamente riduttiva – e tanto frequente in Welles, sempre intento a fishing for compliments. The Hearts of Age rivela quanto gli seguisse e personalizzasse le “lezioni” del cinema d’autore dell’epoca: (…) il film ha una struttura surreale, in cui però conferiscono diversi elementi e diverse “scuole” cinematografiche, da Murnau a Griffith, da Stroheim a Lon Chaney, dal primo Buñuel all’avanguardia francese degli anni ’20 ecc. E, naturalmente contiene in nuce buona parte del cinema futuro (montaggio, luce, inquadrature ecc.) e della “teatralità” (trucco, gusto dell’apparire vecchio a 19 anni, sdrammatizzazione del senso della morte ecc.) del Welles che conosciamo, da Citizen Kane in poi.

Claudio M. Valentinetti (Orson Welles – Il Castoro Cinema, Editrice Il Castoro)

 

TOO MUCH JOHNSON (Usa, 1938) – regia: Orson Welles – soggetto: William Gillette – sceneggiatura e montaggio: Orson Welles – interpreti: Joseph Cotton, Virginia Nicholson, Arlene Francis, Edgar Barrier, Ruth Ford, Orson Welles, John Houseman  – dur: 66’

All’epoca in cui venne girato, Welles era dedito principalmente al teatro, avendo già rappresentato una rivisitazione in chiave moderna del Macbeth e lo spettacolo omonimo di William Gillette. La trama ruota attorno ad un personaggio principale, il vero Johnson, che si trova continuamente perseguitato da altre due persone che assumono la sua identità. Il film, nonostante fosse definito una delle opere preferite del regista, non fu completato a causa dei grossi problemi finanziari del giovane Welles. Tuttavia, avendo a cuore il progetto, il cineasta conservò le bobine del mediometraggio nella sua villa di Madrid quando, nel 1970, a causa di un incendio, il film fu bruciato e lo stesso regista dichiarò di aver perso l’unica copia della pellicola. Invece, il 7 agosto 2013, a Pordenone, sono state ritrovate le bobine della pellicola all’interno di un magazzino, successivamente restaurate dalla Cineteca del Friuli

 

Maggio Italiano∙ Cinema d’autore

LAMBERTO SANFELICE

Martedì 12 maggio

Multisala Smeraldo

Ore 21,00

 

Omaggio a un nuovo autore, il cui cinema è fatto di acqua e di pietra, che mette insieme la vita e la morte, il trionfo della prima e il superamento della seconda. Dove nei nervosi momenti statici il paesaggio interiore trova corrispondenza e contrasto nell’aspra o rigogliosa natura esterna, circoscrivendo l’elemento mutevole, durevole, e raccontando l’espansione di un sentire pietrificato e tuttavia mai immobile, il lento, inevitabile sgretolarsi del dolore in liquido ristoro. Un cinema di immagini fluide, dal movimento circolatorio, sangue e linfa che dissolvono vecchie ferite e celebrano il rinascere, il formarsi, la luce della crescita. Al centro de Il fischietto e di Cloro, l’adolescenza e la giovinezza come iniziazione ed elaborazione del lutto. I rispettivi personaggi femminili sperimentano l’esistenza passando da una modalità di essere all’altra: sono già l’espressione di un racconto/cinema interiori volti a ricongiungere il corpo scisso con l’ambiente, l’anima spezzata con lo spirito.

IL FISCHIETTO (Italia, 2012) regia e sceneggiatura: Lamberto Sanfelice–fotografia: Michele D’Attanasio – montaggio: Consuelo Catucci – scenografia: Daniele Fabretti – interpreti: Maria Vittoria Rossi, Thomas Trabacchi, Silvia D’Amico, Maria Antonietta Chiarelli, Luciano Scordari – prod: Armando Ticconi –  Ang Film / Asmara Films – dur: 15’

La storia di una bambina, Giulia, di fronte ad un evento traumatico e il suo personale percorso di accettazione.

È un film che affronta, in maniera originale e delicata, il tema dell’elaborazione del lutto da parte di una bambina, Giulia, che ha da poco perso entrambi i genitori e il suo amato cane Elliott. Giulia solitaria e silenziosa è immersa in un proprio mondo immaginario fatta di visioni, parole e gesti ripetuti per cercare di sfuggire alla sofferenza che le stringe il cuore. Sanfelice decide allora di esorcizzare il dolore della bambina mettendolo in rapporto con la natura, la fattoria, campi di lavanda che sembrano infinti, luoghi lontani e incontaminati dove è possibile abbandonarsi e trovare conforto. E Il fischietto è l’appiglio di Giulia, un piccolo oggetto di congiunzione, una linea immaginaria tra la vita e la morte, ciò che ancora le fa sentire la presenza dei suoi cari e di Elliott, ora suo amico immaginario. Se il tempo della vita finisce, quello dei ricordi resta con noi, nelle piccole cose, nelle visioni di un altro mondo in cui rifugiarsi.

Andreina Di Sanzo (www.goodshortfilms.it)

CLORO (Italia, 2015) regia: Lamberto Sanfelice – sceneggiatura: Lamberto Sanfelice e Elisa Amoruso – fotagrafia: Michele Paradisi – montaggio: Andrea Maguolo – scenografia: Daniele Fabretti – costumi: Francesca Di Giuliano – interpreti: Sara Serraiocco, Ivan Franek, Giorgio Colangeli, Anatol Sassi, Piera Degli Esposti – dur: 98’

Jennifer ha diciassette anni, un fratellino e un padre caduto in depressione dopo la morte della moglie. Virtuosa del ‘cloro’, si allena nelle piscine di Ostia per partecipare alle prossime gare nazionali di nuoto sincronizzato. Ma la sua vita sopra la superficie dell’acqua è complicata. Il padre ha perso il lavoro e hanno dovuto lasciare il mare per la montagna abruzzese, dove lo zio Tondino gli ha messo a disposizione una baita vicino a un vecchio hotel dismesso. Precipitata in una realtà ostile, a causa del clima e della distanza dai centri abitati, Jennifer prova comunque a fare funzionare le cose, accompagnando il fratellino a scuola, accudendo il padre, tenendo vivo il sogno e allenati i muscoli. Occupata come cameriera presso un albergo, scopre molto presto la presenza di una piscina, dove ogni notte continua gli allenamenti. Il tentato suicidio del padre, la fragilità infantile del fratello e l’incontro con Ivan, il guardiano venuto dall’est che la osserva allenarsi di nascosto, cambieranno il suo sguardo e le sue priorità.

Cloro tenta un delicato equilibrio tra il lato emotivo dei suoi personaggi e il contesto socioeconomico italiano visto come un acquario quasi inviolabile. Ogni decisione di Jenny è (stata) mossa dalla crisi economica, dalla perdita del lavoro del padre, dal dramma degli sfratti, insomma tutti temi urgenti che il film fa sentire come echi fuori campo. Non sono gli eventi che interessano a Sanfelice, ma solo gli effetti che questi eventi hanno avuto sui suoi fragili personaggi. Non è il sogno di Jessica che si mette in scena (i campionati italiani), ma le flebili tracce di quel sogno che resistono come un fiore sotto la neve del suo esilio. E allora: avendo come evidenti referenti le atmosfere di una nobile autorialità europea à la fratelli Dardenne, pedinando silenziosamente la ragazza sino a sfiorare lievi astrazioni visive à la Céline Sciamma, questo è un buon esordio che con notevole fiducia nel cinema tenta di affidare ancora alle immagini e al “paesaggio” (fisico e interiore) ogni giudizio etico sul nostro tempo.

Pietro Masciullo (Sentieri Selvaggi, 11 marzo 2015)

 

 

LAMBERTO SANFELICE Completati i suoi due primi corti GettingFired e HolySunday nell’estate del 2009 alla New York University, Lamberto Sanfelice torna in Italia per collaborare con la Ang Film alla realizzazione dei contenuti per la web tv Mugma. Nel 2012 dirige Il fischietto, cortometraggio finanziato dal MiBac.Cloro, la cui sceneggiatura è stata selezionata al MFI Script Film Workshop 2013 (programma MEDIA) è il suo primo lungometraggio.

 

 

 

 

 

 

La Grande Guerra

 

Giovedì 14 maggio

Università degli Studi di Teramo- Campus Coste Sant’Agostino-

Aula Tesi – Facoltà di Scienze della Comunicazione

Progetto di didattica teatrale del corso di Laboratorio di Comunicazione Teatrale

Ore 17,30

introduce prof. Andrea Sangiovanni

legge Mauro Di Girolamo

La prima guerra mondiale, quella con cui si inaugura davvero il ‘900 e segna un’era, mai più conclusasi, di massacri indiscriminati. Il 23 maggio 1915, in cambio di riconoscimenti territoriali, l’Italia, fino ad allora neutrale, entra nel sanguinoso conflitto, dichiarando guerra all’Austria-Ungheria e inaugurando una lunga serie di cruenti battaglie con forti e sanguinose perdite. Il cinema della Grande Guerra coincidente con essa è essenzialmente un’arma ulteriore, quella, subdola, della propaganda e della menzogna. L’immagine in movimento, che all’epoca ha luogo soltanto su grande schermo, sperimenta le sue risorse persuadenti, orienta e manipola, indirizza e stravolge. Non a caso, un personaggio precorritore del marketing, e in qualche modo stella del cinema, come D’Annunzio (firma le didascalie di Cabiria, impronta il gusto – appunto “dannunziano” – dei grandi cine-melodrammi dell’epoca), svolge un ruolo importante nel convincere i neutralisti a diventare interventisti.  Eppure dagli stessi schermi di guerra, con coraggio e in controtendenza, la lingua della Pace, in opposizione all’immagine acritica, eroica e miticheggiante della maggior parte dei film, comincia a farsi strada. Abel Gance e Thomas H. Ince per primi. Poi, a conflitto appena concluso, Charlie Chaplin, David Wark Griffith, prima di King Vidor, Frank Borzage, Georg W. Pabst, Lewis Milestone.

CIVILIZATION (USA, 1916) – regia: Thomas H. Ince, Raymond B. West, Reginald Barker – sceneggiatura: C. Gardner Sullivan – fotografia: Joseph August, Clyde de Vinna, Irvin Willat, O.M. Gove, Dal Clawson, Charles Kaufman, J.D. Jennings – mo: Del Andrews, Irvin Willat – mus: Victor Schertzinger – prod: Thomas H. Ince – Kay Bee / Triangle – dur: 96’

Il re di Wredpryd è un guerrafondaio e prepara piani di guerra. Un altro amante degli eventi bellici è il conte Ferdinand che ha progettato un sottomarino per distruggere il nemico. Ma Katheryn Haldemann, un’attivista pacifista, lo convince a convertirsi ai suoi ideali. Così, Ferdinand, nel corso di una battaglia in mare, si rifiuta di attaccare il nemico e fa invece affondare la propria nave. In un supremo sacrificio per la pace, Ferdinando muore annegato. Gli scienziati del re recuperano il suo corpo e lo riportano in vita. Ma, ormai, Ferdinand ha dentro di sé lo spirito di Cristo: il conte diffonde ovunque messaggi di pace.

 

 

 

 

 

 

 

I Maestri

Manoel De Oliveira, cinema e utopia

Venerdì 15 maggio

Sala SanCarlo-Museo Archeologico

Ore 17,00 Porto della mia infanzia (2001) 62’

Ore 18,00 Ritorno a casa (2001) 90’

Ore 21,00 Un film parlato (2003) 96’

introduce Leonardo Persia

 

Pensavamo fosse immortale Manoel de Oliveira  (Porto, 11 dicembre 1908 – Porto, 2 aprile 2015). L’unico regista la cui esistenza si è protratta dal periodo del muto (il primo Douro, Faina Fluvial, 1930) al primo quindicennio del 2000, attivo fino alla fine (l’ultimo O Velho do Restelo è stato presentato all’ultimo Festival di Venezia). Ma che soprattutto è risultato iperattivo, lucido, ispiratissimo e sorprendente a partire da una certa, avanzata, età. Dagli anni ’90, all’età di 82 anni, quando comincia a firmare un film l’anno, qualche volta più di uno, tutti straordinari per qualità e modernità, oltre che per il tocco inconfondibile e sperimentatore, capace di mescolare cinema e letteratura, pittura e musica, teatro e filosofia, tentando ogni possibile, nuovo inedito percorso espressivo e sbalordendo tutti per intelligenza, sottigliezza e visionarietà. Un cinema dove si filma (e si vede) la Parola, si dà voce ai fantasmi, ci si inerpica nel futuro, facendo risorgere, come fosse appena nato, un Passato mai sopito di Storia, letteratura, di archetipi e di visioni della vita. Un cinema che interroga costantemente lo spettatore, stimolandolo, stupendolo, estenuandolo e ipnotizzandolo.  E con la capacità di inglobarlo nello stesso inesausto catalogo di fantasmi e di illusioni presenti sullo schermo: in quella vita rappresentata in tutto il suo misterioso manifestarsi, visibile e invisibile.

RITORNO A CASA (Je rentre à la maison) (Francia / Portogallo, 2001) – regia e sceneggiatura: Manoel de Oliveira – fotografia: Sabine Lancelin – montaggio: Valérie Loiseleux – interpreti: Michel Piccoli, Catherine Deneuve, John Malkovich, Leonor Silveira, Antoine Chappey – dur: 90’

Il film fu girato nel 2001 quando il regista Manoel de Oliveira aveva compiuto 93 anni. Alcuni critici ritennero che il film trattasse i problemi della solitudine, della vecchiaia e del ritiro dall’attività lavorativa. Nel commento al film contenuto nel DVD di Ritorno a casa il regista Manoel de Oliveira rivela che, banalmente, lo spunto per il film fu un evento di cui fu testimone: un attore famoso il quale, trovandosi in imbarazzo in un provino, disse che se ne sarebbe tornato a casa a riposare; e la propria casa è in grado, isolandolo dal mondo esterno, di proteggere un individuo, come il ventre materno è in grado di proteggere il nascituro. Ritorno a casa fu presentato in concorso al 54º Festival di Cannes. Dal punto di vista tecnico del film furono ammirate soprattutto la recitazione di Piccoli; la tecnica del controcampo, utilizzata dal regista soprattutto nei confronti del protagonista; l’integrazione fra teatro e cinema che risulta, a giudizio del critico Roberto Nepoti de la Repubblica, «un caso unico a nostra memoria di un film in cui teatro e cinema, anziché entrare in contrapposizione o in metafora, risultino perfettamente complementari» (Roberto Nepoti, «Piccoli nella fabbrica dei sogni della vita», la Repubblica, 9 giugno 2001).

 

PORTO DELLA MIA INFANZIA (Porto da Minha Infância) (Portogallo, 2001) – regia: Manoel de Oliveira – sceneggiatura: Julia Buisel, Manoel de Oliveira – fotografia: Emmanuel Machuel – montaggio: Valérie Loiseleux – interpreti: Jorge Trêpa, Ricardo Trêpa, Maria de Medeiros, Manoel de Oliveira, Leonor Silveira, Estela Cunha – dur: 62’

«Porto» è il nome della città natale di Manoel de Oliveira, il quale peraltro nel 1931 dedicò alla città il suo primo film: Douro, faina fluvial. Il film, più che documentario, può essere definito come la rievocazione nostalgica della Oporto dell’infanzia e della giovinezza del regista, effettuata attraverso memorie personali, fotografie della città, ricordi, testimonianze, canzoni dell’epoca, spezzoni cinematografici soprattutto da Douro, faina fluvial e da Aniki Bóbó, scene dallo spettacolo Miss Dollar nel quale recitò lo stesso Oliveira interpretato qui da un suo nipote, partecipazione di Agustina Bessa-Luís che legge alcuni suoi testi, partecipazione di alcuni attori con i quali Oliveira ha lavorato in passato.

UN FILM PARLATO (Un filme falado) (Portogallo / Francia / Italia, 2003) – regia e sceneggiatura: Manoel de Oliveira – fotografia: Emmanuel Machuel – montaggio: Valérie Loiseleux – Interpreti: John Malkovich, Catherine Deneuve, Irene Papas, Stefania Sandrelli, Leonor Silveira, Luís Miguel Cintra,  Filipa de Almeida – dur: 96’

Rosa Maria, giovane insegnante di storia, viaggia insieme alla figlia Maria Joana in una crociera che le porterà dal Mediterraneo fino a Bombay, dove incontrerà il marito. Durante la crociera madre e figlia attraversano la storia visitando Ceuta, Marsiglia, Pompei, Atene, Istanbul e l’Egitto. Sulla nave si uniscono al tavolo del capitano insieme a tre persone famose di differenti nazionalità. Ma una strana minaccia incombe sulla crociera e sui passeggeri.