Teramo. Ad Alternativa Cinema il capolavoro di Francesco Rosi “Le mani sulla città”

 

Leone d’oro alla Mostra di Venezia 1963,

fotografia del maestro teramano della luce Gianni Di Venanzo

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Lunedì prossimo, 23 febbraio, la rassegna d’essai Alternativa Cinema della multisala Smeraldo di Teramo propone il capolavoro di Francesco Rosi “Le mani sulla città”, Leone d’oro alla Mostra di Venezia 1963, nella versione restaurata a cura della Cineteca di Bologna nell’ambito della sua iniziativa di recupero dei classici “Il cinema ritrovato”. Il restauro compiuto dal laboratorio dell’istituto bolognese ha in particolare riportato alla nitidezza originaria la magnifica fotografia di Gianni Di Venanzo, il maestro teramano della luce che fu collaboratore del regista napoletano in altre quattro pellicole: “La sfida” (1958), “I magliari” (1959), “Salvatore Giuliano” (1962), “Il momento della verità” (1965). Con “I magliari” e “Salvatore Giuliano” Gianni Di Venanzo vinse il Nastro d’argento per la migliore fotografia. La proiezione è anche un omaggio al maestro Rosi, scomparso lo scorso gennaio.

Proiezioni ore 18.00 e ore 21.30, biglietto 5 euro. Info: 0861 415778, www.multisalasmeraldo.net.

 

Scheda

 

Le mani sulla città

 

Regia: Francesco Rosi Soggetto: F. Rosi, Raffaele La Capria Sceneggiatura: F. Rosi, R. La Capria, Enzo Provenzale, Enzo Forcella Fotografia: Gianni Di Venanzo Montaggio: Mario Serandrei Scenografia: Sergio Canevari Musica: Piero Piccioni  Interpreti: Rod Steiger (Edoardo Nottola), Salvo Randone (Luigi De Angelis), Guido Alberti (Maglione), Angelo D’Alessandro (Balsamo), Carlo Fermariello (De Vita), Marcello Cannavale, Alberto Canocchia, Gaetano Grimaldi Filioli (amici di Nottola) Produzione: Lionello Santi per Galatea Nazione: Italia Anno: 1963 Durata: 105′. Restauro: Cineteca Bologna, in collaborazione con Société Cinématographique Lyre e Galatea.

 

«C’è un’immagine del mio film che sembra essere all’origine della definizione dell’operazione Mani Pulite meritoriamente avviata e condotta nel Paese a opera della magistratura: i consiglieri comunali di Napoli, accusati di malgoverno e di corruzione, levano in alto le mani protestando la loro estraneità: “Le nostre mani sono pulite”». (Francesco Rosi)

 

Edoardo Nottola, consigliere comunale di destra e imprenditore immobiliare, vuole avviare un grosso progetto edilizio in un nuovo quartiere di Napoli. Il sindaco, anch’egli di destra, ottiene a questo scopo dallo Stato un contributo di 300 miliardi di lire. Nel frattempo la società Bellavista, diretta da Nottola, eseguendo dei lavori in un vicolo di un quartiere popolare del centro, provoca il crollo di un vecchio edificio ancora abitato. I consiglieri comunali di sinistra, stanchi della corruzione che regna nella gestione del Comune, esigono la costituzione di una commissione d’inchiesta che rappresenti tutti i partiti politici. I giornali dell’opposizione denunciano Nottola quale responsabile dell’incidente. Ma questi non si scoraggia, lamentandosi anzi con Maglione, capofila della destra, perché l’operato della commissione lo costringe a tenere bloccati i lavori. Nottola vorrebbe che il Comune dichiarasse pericolante l’intera zona, in modo da poter demolire tutti gli edifici della strada. Benché preoccupato per le imminenti elezioni comunali, Maglione accetta la proposta di Nottola grazie ai contributi finanziari che quest’ultimo assicura al suo partito. Ma, spaventato dallo scandalo in corso, chiede all’imprenditore di ritirare la propria candidatura alle elezioni; Nottola rifiuta e chiede anzi di essere nominato assessore, in modo da poter controllare l’attribuzione delle gare di appalto in materia edilizia. La sua richiesta viene respinta, e allora Nottola convince alcuni consiglieri del suo partito a candidarsi con lui nelle liste del centro. Alle elezioni la destra perde la maggioranza a vantaggio del centro, e Nottola,  grazie all’accordo tra le due parti politiche, diventa assessore. Il suo grande progetto immobiliare viene inaugurato in pompa magna, alla presenza di un ministro e un cardinale.

La città di Napoli costituisce una delle più feconde fonti d’ispirazione nell’opera di Francesco Rosi (Napoli 1922 – Roma 2015). La ritroviamo infatti anche in La sfida (1958), Lucky Luciano (1973), Cadaveri eccellenti (1976), Tre fratelli (1981). […] Le mani sulla città, denunciando la speculazione immobiliare e smascherando i meccanismi che permettono agli interessi politici ed economici di coincidere, analizza un fenomeno comune a tutte le metropoli, ma che a Napoli raggiunge un’eccezionale gravità: «Napoli – ricorda Raffaele La Capria – è stata una delle città più devastate da una speculazione immobiliare oscena; era una città bellissima e sono riusciti a rovinare tutto, anche la salute e la vita dei suoi abitanti». Francesco Rosi: «L’aspetto negativo della speculazione immobiliare non consiste soltanto nella distruzione della città e nell’aspetto caotico che essa assume, ma anche nella distruzione di una cultura a vantaggio di un’altra in cui l’uomo non trova più posto». Esponendo alla luce del sole gli ingranaggi dei giochi di potere, Rosi pone il problema dei rapporti tra morale e politica. Per chi detiene il potere la questione è presto risolta: fare politica significa addentrarsi in un campo in cui la morale tradizionale non ha più valore e dove contano soltanto l’opportunismo, la corruzione, la capacità di manovra. Per conquistare il potere e conservarlo, ogni metodo è ammesso. I discorsi demagogici e le prebende servono solamente a ottenere il consenso degli elettori in un sistema che è ormai soltanto un simulacro della democrazia. L’esercizio del potere, se praticato senza controllo, conduce a ogni genere di abuso e trasforma il cittadino in schiavo. Così si creano fortune colossali trasformando i terreni agricoli delle periferie in foreste di cemento, devastando il centro della città, sostituendo le case antiche con ignobili edifici che sconvolgono il tessuto urbano e costringono le classi più disagiate a trasferirsi. Sostenuto dall’interpretazione espressionista di Rod Steiger e di Guido Alberti, dalla fotografia di Gianni Di Venanzo (Teramo 1920 – Roma 1966), che crea un clima opprimente attraverso l’uso di un bianco e nero fortemente contrastato, e dalla musica dalle sonorità metalliche di Piero Piccioni, Rosi trasforma il proprio film in una sorta di thriller politico. La sua messa in scena, lungi dall’essere una semplice ricostruzione documentaria, utilizza tutte le risorse dell’immaginario urbano. Napoli acquista così un’autonomia e una ricchezza figurativa capaci di trasformarla nell’emblema di tutte le metropoli occidentali colpite dal dramma della speculazione immobiliare. (treccani.it/enciclopedia del cinema)