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Italia. LUOGHI D’ITALIA, UN VIAGGIO NELLA PROVINCIA DEL BELPAESE Amaseno: tra emigrazione, storia, religiosità e Genius loci

4 novembre 2013

LUOGHI D’ITALIA, UN VIAGGIO NELLA PROVINCIA DEL BELPAESE

Amaseno: tra emigrazione, storia, religiosità e Genius loci

di Tiziana Grassi e Goffredo Palmerini

AMASENO (Frosinone) – Nel viaggio fisico e interiore, materiale e psicologico, nei luoghi che custodiscono la storia della Grande Emigrazione italiana, scrigni d’uno straordinario patrimonio fatto di monumenti, tradizioni, culti, arte e culture, arriviamo ad Amaseno, il cui nome deriva dal fiume che placido scorre nell’ampia vallata delimitata dai monti Lepini e dagli Ausoni. Un fiume reso celebre dall’Eneide, il poema di Virgilio, che lo cita.  Antico borgo agricolo nel cuore della Ciociaria, in provincia di Frosinone, Amaseno si trova ad un centinaio di  chilometri da Roma. All’arrivo ci accoglie ed avvolge con l’abbraccio d’un paesaggio che rimanda al Genius loci ancora intatto, tutto da scoprire, nel dedalo di vicoli e piazzette, fino al Castello dei d’Angiò, da poco restaurato. Nella piazzetta del centro storico, raccolto dentro una cinta di mura turrite parzialmente ancora ben conservate, oltre a Luigi La Valle, maresciallo dei Carabinieri e preziosa memoria storica del luogo che ci farà da guida, ci dà a suo modo il benvenuto, incuriosito dai “forestieri”, il visionario artista del paese, Antonio Rotondi. Eccolo lì, l’artista amato da tutti, poeticamente bardato con le piume di pavone al vento come un cavaliere indomito. Già nel soma egli evoca, come d’altronde nel veemente tratto pittorico, il grande Ligabue. Antonio ci accoglie festosamente, saltellando con gioiose piroette in groppa al suo cavallo, amorevolmente sagomato e dipinto a cera su un umile cartone, mentre incede verso i riti della festa patronale di San Lorenzo Martire. Di San Lorenzo martire, ad Amaseno, nella Chiesa di Santa Maria Assunta – elegante esempio d’architettura gotico-cistercense del XII secolo, monumento nazionale – si conserva un’ampolla di sangue miracoloso. Non si sa con certezza come e quando la prodigiosa reliquia del Sangue di San Lorenzo martire sia arrivata in paese, ma il primo documento che ne rivela la presenza ad Amaseno è l’atto di consacrazione della chiesa, risalente al 1177, sancito in una preziosa pergamena custodita nella stessa Collegiata di Santa Maria Assunta.

Senso della Religiosità, del Ritorno e di un incontaminato Genius Loci

A contatto con la natura il contadino sente nitidamente – osserva lo studioso di storia locale Enrico Giannettache l’universo è disceso da una Paternità che non può essere identificata né con il caso né con il nulla. Per la sua cultura essenziale, il concetto della Trascendenza, cioè di un Essere supremo, creatore dell’universo, è un dato di una intuitività quasi automatica […]”.  Trascendenza, devozione, religiosità. Diverse sono le feste religiose che ad Amaseno si celebrano nel corso dell’anno. La più importante è appunto quella di San Lorenzo, patrono del paese. Qui, come in numerose località italiane, il 10 agosto d’ogni anno San Lorenzo viene celebrato con solenni festeggiamenti, che richiamano sul posto anche parecchi amasenesi, residenti in patria e all’estero, che tornano a rivedere il paese natale per trascorrere le ferie estive con parenti ed amici. Nella gioia del Ritorno, ritrovarsi dopo lunghi periodi di lontananza in remote terre d’emigrazione, forte è il desiderio di rivivere le suggestive celebrazioni devozionali e rendere omaggio alla prodigiosa Reliquia, esposta per l’intera giornata di festa alla collettiva e commossa venerazione. La sera della vigilia della festa, quando ogni anno si compie il Prodigio della Liquefazione, ha luogo una toccante processione con la statua del Santo Patrono, portato a spalla dai membri delle Confraternite lungo la via della Circonvallazione, tutta illuminata a festa. In quegli stessi giorni di mezz’agosto altre due feste ricorrono: l’Assunta, titolare della Collegiata, e San Rocco, titolare della chiesa omonima, che realizzano un’appendice di festa delle celebrazioni patronali.

La Storia

Amaseno è terra d’antico retaggio storico, dove l’amicizia si vive come dono. Forti i legami interpersonali, così come il senso dell’ospitalità, ieri come oggi. Sono ancora un punto fermo nell’indole degli amasenesi, come fossero arcaiche radici. L’origine di questa accogliente località non è facilmente databile, per la mancanza di documenti scritti e di reperti archeologici anteriori all’anno Mille. Quanti si sono cimentati nell’impresa d’una sistematica indagine storiografica, hanno piuttosto ragionato attraverso ipotesi più o meno attendibili, mentre Amaseno, con il suo passato affascinante quanto complesso, ancora attende la ricostruzione d’un tracciato storico filologicamente certo. Alcuni studiosi del secolo scorso, che s’interessarono alla storia della regione, ritennero che Amaseno sorgesse sull’antica Artena, la fortezza del popolo italico dei Volsci espugnata dai Romani nell’anno 404 a.C., secondo quanto riferisce il grande storico romano Tito Livio. Altri studiosi ne attribuirono le origini all’epoca medioevale. Altri verosimilmente assegnarono l’origine di Amaseno intorno all’VIII secolo, dopo la costituzione dello Stato Pontificio avvenuta nel 752, in quel periodo storico quando pure venne avviata, con l’opera preziosa dei monaci benedettini e cistercensi, la colonizzazione di molte terre incolte. Terra d’antica storia, dunque, ma ancora tutta da meglio delineare e valorizzare.

Le prime notizie documentate risalgono intorno al Mille. Il borgo si chiamava allora San Lorenzo, come pure la valle, così registrata nel Tabularium Cassinense alla data del 1025. Dagli Annales Ceccanenses si apprende che nel XII secolo Amaseno era feudo dei Conti di Ceccano. Ma la storia seguente racconta numerosi conflitti feudali su quella terra e le conseguenze delle contese tra papato e impero, sfociate nel 1165 nella distruzione del paese ad opera delle truppe imperiali di Federico Barbarossa. Contesa nei secoli da varie famiglie, Amaseno passa tra varie vicende e turbolenze dai Conti di Ceccano ai Colonna, dai Colonna ai Caetani non senza alterni conflitti, fino a quando, nel 1501, papa Alessandro VI non lo confisca per attribuirlo al nipote Rodrigo Borgia. Ma i Colonna, alla morte del pontefice, due anni dopo lo recuperano. E tuttavia non finiscono le contestazioni, tanto che il feudo viene poi da Paolo IV assegnato ai Carafa, scatenando la rivalsa dei Caetani che, nel 1556, sottopongono Amaseno al saccheggio. Solo nel 1562 papa Pio IV ne riconosce la titolarità ai principi Colonna, e tale rimarrà fino alla generale soppressione dei feudi, nel 1816. Da allora, non si annotano vicende rilevanti, se non durante la seconda Guerra mondiale. A partire dall’autunno del 1943, infatti, Amaseno subisce per vari mesi l’occupazione dei Tedeschi, con soprusi e angherie. Poi, nel maggio 1944, dopo lo sfondamento della linea Gustav a Cassino, si aggiungono le violenze dei cosiddetti Alleati, quando il paese subisce il fuoco dei cannoni e il saccheggio, cui è sottoposto l’abitato dalle truppe alleate per più giorni, tanto da costringere gli abitanti ad abbandonare le case e ad andare sui monti, in preda al terrore, alla fame e alla disperazione, in cerca di salvezza. 34 le vittime amasenesi e diversi feriti. Segni indelebili dei gravi danni materiali restano impressi sulla pietra di molti edifici del paese, a perpetua memoria della guerra e a condanna della violenza.

L’emigrazione da Amaseno, tra Ottocento e Novecento

Tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, soprattutto, ma anche nel secondo dopoguerra, vi fu da Amaseno una consistente emigrazione diretta particolarmente verso CanadaStati Uniti. E’ negli Usa che si conta il maggior numero d’emigrati amasenesi: dal 1900 al 1971 vi si trasferirono ben 846 lavoratori seguendo varie ondate. Nell’ultimo dopoguerra il flusso migratorio crebbe notevolmente, trovando nuovi sbocchi in America Latina e Nord Europa, ma ancor più in Canada. Negli anni a cavallo della metà del secolo scorso altre colonie d’emigrati amasenesi s’insediarono in Francia, Germania, Svizzera, Belgio, Inghilterra, Venezuela, Brasile e Argentina. I pionieri della “prima emigrazione” amasenese negli Stati Uniti – come nel destino comune a molti italiani emigrati all’estero – inesperti del luogo di destinazione, lontani dalle famiglie, senza conoscenza della lingua del Paese ospite, privi della copertura d’una previdenza sociale allora del tutto inesistente, affrontarono con un coraggio non comune e con un radicato senso di solidarietà la difficile situazione iniziale, connotata da tutte le problematiche tappe dell’ambientamento e del radicamento nell’altrove. Nella complessa costruzione di nuove territorialità in luoghi strutturalmente diversi da quelli d’origine, gli amasenesi organizzarono per propria iniziativa una specie di mutua assistenza che già nello statuto precorreva le moderne legislazioni mutualistiche e previdenziali. “Nasceva così in mezzo a loro – osserva ancora lo studioso Enrico Giannetta – nel 1906 a Chicago la “Società operaia di mutuo soccorso di Amaseno”, con l’intento d’assicurare ai soci l’assistenza in caso di malattia, infortunio, invalidità, disoccupazione, vecchiaia e di provvedere inoltre, in caso di morte, alle onoranze funebri e ai superstiti del defunto”.

Numerose sono le testimonianze di amasenesi che, “attraverso sangue, sudore e lacrime”, emigrarono nel mondo e che sono state raccolte in un denso volume di Alberico Magni dal titolo “Amaseno e l’Emigrazione. Testimonianze di molti nostri concittadini che di quella tragedia storica furono i veri protagonisti” (2008). Nella Prefazione al volume Gianni Blasi lucidamente sottolinea: “Solo i superficiali e i disinformati possono scambiare per retorica il ‘sole d’Italia’.  Quando da operai dell’edilizia si è provato l’inverno mordente di Chicago o, peggio ancora, di Montreal, concetti elementari come il caldo e il freddo assumono ben altra valenza, altro che retorica. Ma le asprezze fisiche e climatiche che emergono dalle testimonianze costituiscono solo un aspetto dell’emigrazione. Assai più durature e difficili da superare sono state le implicazioni psicologiche e culturali che hanno richiesto tempi molto più lunghi. Dure esperienze psicologiche e talvolta fisiche che non trovano una formulazione linguistica adeguata. Sta proprio in questa difficoltà di formulare compiutamente la complessità della propria esistenza – prosegue Blasi nella sua attenta analisi – il grande dramma culturale dell’emigrazione, dramma in cui l’aspetto linguistico costituisce solo uno dei tanti ambiti da dover affrontare. (…) Nella maggioranza dei casi si trattava di persone che non disponevano dei mezzi per capire e valutare a pieno la nuova realtà in cui tentavano di inserirsi. La lingua del Paese che li accoglieva era di per sé un muro da superare e che in ogni momento della giornata definiva la loro inadeguatezza e quand’anche fossero riusciti ad impadronirsene sia pure a loro modo, continuava a riaffermare la loro provenienza, i loro limiti, la loro posizione sociale”.

Un altro aspetto peculiare del fenomeno migratorio italiano tra Ottocento e Novecento Alberico Magni lo coglie nella Partenza, quale archetipo legato al distacco, alla lacerazione dell’andare verso l’ignoto, alla lunga traversata dell’Oceano che, non a caso, alcuni studiosi hanno accostato al liquido amniotico, come dimensione legata alla nascita, o meglio alla ri-nascita verso il Nuovo Mondo, al momento in cui si percepiva nitidamente la propria condizione, il passaggio al nuovo status di migrante. “Le canzoni e la partenza, per troppo tempo considerati stereotipi o elementi da cartolina dell’emigrato. Per l’emigrato – si sottolinea nel volume di Alberico Magnila partenza era di fatto una morte perché lasciava il proprio mondo portandosi dietro quei pochi elementi che costituivano il proprio bagaglio di valori, ricordi e sentimenti. […] Certi eventi si colgono nella loro interezza solo quando si vivono in prima persona. Non risulterà quindi difficile capire il motivo per cui molti emigrati sono rimasti tenacemente aggrappati a tutti quegli elementi che rappresentavano il proprio, anche se scarno, patrimonio culturale. La ritualità delle feste patronali, il senso tradizionale della famiglia, il legame alle tradizioni culinarie e il rifiuto di assumere la cittadinanza del Paese che li ospitava, una palese limitazione delle proprie possibilità, rientrano tutti in questo contesto. Il momento della partenza, dunque: si pensi alla progressione del separarsi dalla propria casa, dai familiari, dagli amici, dal proprio territorio, era un continuo lacerarsi dentro anche se il peggio, la partenza dal porto, doveva ancora arrivare. Bene fa l’autore – osserva Blasi nella sua analisi fenomenologica – a sottolineare il mezzo di trasporto, la nave, che per la sua lentezza rendeva questo trapasso – parola emblematica per la semantica a cui rimanda – ancora più doloroso. Visto dalla nave, il congiunto sul molo era una persona, progressivamente diventava una sagoma tra tante, poi lentamente diventava un fazzoletto e poi un puntino bianco. Ribaltando la prospettiva, dal molo si assisteva alla medesima scomparsa lenta, troppo lenta e dolorosa. Si racconta che i familiari rimasti sul molo, dalla zona portuale di Napoli, corressero alla punta di Santa Lucia per guardare la nave fino a quando non scompariva dietro il promontorio di Posillipo. Questo stesso momento, però, anni dopo, quando le difficoltà erano state affrontate e superate, veniva e viene percepito come ‘una rinascita’ su cui si è innestato un nuovo percorso esistenziale nettamente distinto e separato dalla fase precedente. […] Solo in seguito, consolidata una certa agiatezza e raggiunta la consapevolezza dei diritti acquisiti in terra non più straniera, si ebbe la percezione certa che quel momento ormai lontano della partenza segnava un ‘prima’ e un ‘dopo’. Visto il fenomeno a distanza, l’etimologia dei sostantivi ‘partenza’ e ‘parto’ rappresenta una curiosità davvero singolare nell’esperienza degli emigrati”.

*****

Terra di emigrazione, custode del Sangue di San Lorenzo martire.

Le annotazioni di Don Italo Cardarilli, Parroco di Santa Maria Assunta.

«Tra i numerosi tesori di arte custoditi in questa splendida Chiesa di Santa Maria Assunta, realizzata secondo lo stile gotico-borgognone nel XII secolo e consacrata l’8 settembre 1177, è custodita un’ampolla in vetro che contiene una massa di colore bruno in genere rappresa. Nel documento pergamenaceo della Consacrazione della Chiesa, redatto in duplice copia, in lingua latina e in volgare – che riporta la cronaca di quell’evento e le persone presenti – si trova anche un elenco di reliquie presenti in quell’occasione. Ebbene tra queste insigni reliquie si legge in latino “De pinguedine sancti Laurentii Martyris”, e in volgare “Delle grassecze de santu laurentio martiru”. Il documento ci fornisce una notizia importante, e cioè che la Reliquia era presente nella Chiesa di Santa Maria nel 1177, tuttavia non sappiamo se era presente da quella data o già nella preesistente chiesa distrutta nel 1165, quando il Castrum Sancti Laurentii fu dato alle fiamme dall’esercito del Re di Sicilia su invito di Papa Alessandro III per riportare alla fedeltà pontificia coloro che avevano giurato sottomissione all’antipapa Pasquale III. Fino all’inizio del 1600 non si trovano particolari riferimenti a questa Reliquia. È solo sotto il pontificato di Paolo V (1605-1621) che si verifica un fatto prodigioso: nel giorno della festa del Santo, quella massa sanguigna si liquefa spontaneamente creando un certo scalpore. La notizia di questo fatto venne riferita al Papa che chiese di avere presso di sé alcune gocce di quel prezioso sangue.

La Liquefazione da allora si ripeté ogni anno nel giorno della festa del Santo Martire, tanto che Papa Clemente XIII, informato del fatto, il 2 aprile del 1759, con Bolla papale, definì quanto avveniva ad Amasenosegnalato prodigio”, concedendo alcuni privilegi alla stessa Collegiata e al Capitolo dei Canonici. Da allora, ogni anno il Prodigio si ripete, suscitando gratitudine e gioia nella comunità che sente San Lorenzo come un fratello che incoraggia nella fede verso il Cristo Salvatore. Rimanendo fedeli a quanto si osserva, questo fenomeno lascia stupiti sul processo di Liquefazione. Anzitutto va sottolineato che nessuno agita l’ampolla, per cui è da escludere che il contenuto sia una sostanza tissotropica, cioè una sostanza che, sollecitata, passa da uno stato ad un altro. Poi la Liquefazione avviene in genere in modo graduale, come nei giorni di festività del Santo, o alcune volte in modo repentino e veloce.

Quest’anno ho constatato che la Liquefazione ha avuto inizio il 31 luglio e ogni sera, aprendo il Reliquiario, si è potuta notare un’evoluzione del processo. In genere il massimo della Liquefazione avviene tra il nove e il dieci di agosto, per poi iniziare il processo inverso della solidificazione. Quando la sostanza è liquida, essa assume un bel colore rubino e presenta la massima trasparenza e mobilità; si distingue perfettamente il terriccio depositato sul fondo della fiala, come anche un brandello di pelle sospeso nella sostanza sanguigna e il grasso di colore giallo che galleggia in superficie. Il Prodigio è accresciuto dal fatto che l’ampolla non è perfettamente sigillata: questa infatti si presenta con una vistosa frattura del vetro sulla sommità che permette lo scambio gassoso tra l’interno e l’esterno della fiala. Da ciò consegue che la sostanza non è isolata e in ambiente asettico e pertanto, secondo le leggi scientifiche della natura, dovrebbe corrompersi o perlomeno alterarsi.

Dopo queste informazioni, utili per capire meglio il dono prezioso che conserviamo e quello accade tutti gli anni ad Amaseno, è con profonda gioia che posso dire che anche quest’anno si è ripetuto il Prodigio. È stata la prima volta che come responsabile di questa comunità cristiana ho vissuto in prima persona questo evento e devo dire che esso interpella e pone una serie di domande che riguardano soprattutto la vita spirituale. Quel sangue che man mano si scioglie divenendo rosso rubino, non subisce solo una trasformazione materiale, visibile con gli occhi, ma torna ad essere vivo e chiede conto, a ciascun fedele che lo guarda, della sua vita e di come la sta impiegando. Davanti a qual sangue che si liquefa, è necessario passare dalla curiosità alla responsabilità: contemplare quel Prodigio vuol dire, da credenti, interrogarsi sul senso che Cristo e la sua Parola hanno per me, per noi, sul significato della sua vita offerta per ciascuno di noi. San Lorenzo, e i martiri di ogni tempo, sono arrivati a donare la loro vita solo perché avevano compreso che questo atto non era un perdere, ma un guadagnare tutto; era il diventare seme di una Speranza efficace che avrebbe generato nuovi fratelli alla fede.

Credo che il vero senso del Prodigio sia da leggersi nella prospettiva del dono: è solo così che si comprende la gratuità e la grandezza del segno che possediamo. San Lorenzo ci vuole bene e, ancora una volta, ci offre un segno della sua amicizia, invitandoci a una condotta di vita sempre più conforme al Vangelo. Contemplare il suo Sangue non è solo essere testimoni di un fatto straordinario, ma implica una conversione interiore a Cristo e un’attenzione sempre più evangelica verso chi è nella necessità. San Lorenzo è il diacono della Chiesa e il servitore dei poveri, egli ci spinge a vivere Cristo nella vita sacramentale e a divenire solidali con chi vive nel bisogno, come ci ricorda Papa Francesco. Il Sangue di San Lorenzo si scioglie per incoraggiarci a far sciogliere i nostri cuori, passando dall’egoismo alla vera Carità. Spesso chiediamo grazie a San Lorenzo, ma fermiamoci un istante e ascoltiamo cosa lui ci chiede. Egli ci chiede di aprire il cuore e di volgerci a Dio con amore lasciandoci infiammare dallo Spirito e abbattendo il muro dell’egoismo per divenire significativi nei luoghi in cui operiamo».

Il culto dei Santi nelle terre di emigrazione. Devozione e appartenenza nell’altrove.

Ancora Don Italo Cardarilli ci guida in un ampliante percorso geografico e spirituale: «Anche Amaseno, come molti luoghi italiani, è stata terra di emigrazione nel secolo passato. Molti concittadini hanno lasciato affetti, case, per andare a cercare un po’ di fortuna all’estero. Hanno lasciato tutto, ma hanno portato con loro quello che di più prezioso possedevano: i loro Santi, i riti di sempre, capaci di custodire e mantenere viva la loro appartenenza alla propria terra. Gli emigranti che partivano erano pieni di speranza che serviva a colmare i vuoti che si lasciavano alle spalle; erano capaci di perdere tutto, ma non la loro fede, segno di una radice comune che li legava strettamente gli uni agli altri e alle proprie origini. Il culto dei Santi protettori li rassicuravano sul futuro incerto; e quando avevano provveduto a stabilizzarsi, provvedevano a riprodurre in terra straniera le stesse usanze e tradizioni del paese di origine. Un legame ancestrale che faceva da ponte tra la nuova terra e la vecchia patria di origine. È così che non si è mai affievolito il legame tra gli emigranti e coloro che sono rimasti in paese, e chi poteva cercava – e ancora cerca – di tornare in paese proprio in occasione delle feste patronali. Anche gli amasenesi, emigrando in America, hanno portato con loro la devozione a San Lorenzo, e anche se nel giorno della sua festa i cuori palpitano nella malinconia di non poterlo festeggiare nella terra natìa, tuttavia l’immagine del Santo tra di loro li conforta e li raduna insieme. Quel Sangue del Martire venerato ad Amaseno unisce vicini e lontani nella comune devozione.

Il fenomeno della religiosità popolare vissuta nelle terre di emigrazione è davvero interessante: i Santi “importati” dalle terre di origine aiutano a conservare una certa identità sociale e a cementare i rapporti reciproci tra le diverse comunità. Si tende a ‘ricopiare’ la festa così come la si celebrava in paese: si fanno copie perfette delle immagini dei Santi della terra-madre; si ripetono gesti e riti antichi e spesso si manda un contributo economico in paese per rendere visibile il legame tra gli emigrati e i cittadini residenti. A proposito di questa partecipazione economica degli emigrati all’estero, era usanza fino a qualche anno fa di leggere davanti alla folla dei fedeli, alla fine della processione, i nomi degli offerenti proprio a indicare la loro vicinanza in quel particolare momento.  Qualche anno fa sono stato a Toronto dove vivono alcune comunità italiane oriunde della Ciociaria ed è stato emotivamente forte vedere le celebrazioni per i loro Santi che conservavano il sapore delle feste di paese: hanno riprodotto le immagini per sentirsi una cosa sola con i cittadini del paese di origine, hanno insegnato ai figli le tradizioni delle origini e hanno inculcato ai figli la devozione per i Santi patroni. E’ un grande patrimonio culturale che passa attraverso le generazioni. Credo che nonostante la globalizzazione, ci siano delle realtà che restano identitarie di un popolo e per questo vanno difese e alimentate. Il culto dei Santi forse resta una di queste realtà che continua a unire terre lontane e a far sentire le persone unite anche se distanti migliaia di chilometri. Ma ci sono legami così profondi, come quelli che uniscono gli amasenesi, che vanno ben oltre il tempo e lo spazio».

Legami che vanno oltre il tempo e lo spazio: la testimonianza di Guerrino Blasi.

E’ interessante qui riportare la testimonianza di Guerrino Blasi, emigrato a Parigi, sul rapporto che egli intrattiene con Amaseno. «Sono andato via da Amaseno a 21 anni, era il 1972. La destinazione doveva essere il Canada, esattamente Niagara, dove viveva un ceppo della mia famiglia. Passai da Parigi a salutare mia madre, Silvana Blasi, famosa vedette delle Folies Bergère, attrice di teatro che, insieme a mio padre, Bruno Berri, ha lavorato con grandi attori come Vittorio Gassman, Renato Rascel, Raimondo Vianello, Ugo Tognazzi, Alberto Sordi. Mia madre volle darmi la possibilità di conoscere l’affascinante mondo dello spettacolo, un mondo che fino ad allora avevo conosciuto solo attraverso la stampa! Con lei toccai, respirai quel clima così seducente, stimolante, brioso. Parigi mi prese! E decisi di restare lì, senza proseguire il mio viaggio migratorio verso il Canada. A Parigi iniziai a lavorare come agente di viaggio, e grazie a questo lavoro potei conoscere tutto il mondo. Da allora è passata una vita, ma Amaseno rimane sempre il mio baricentro interiore, il luogo in cui mi sento “a casa”, il luogo dell’infanzia e dei ricordi felici, il luogo dove da 40 anni torno almeno 3 volte all’anno. Amaseno il luogo che amo, che sento di più, pur non essendo nato qui.

Sono nato a Roma, ma mia madre, dopo la mia nascita, dovette andare a Parigi per lavoro. Si prese amorevolmente cura di me una balia, una nutrice meravigliosa, “mamma Gentilina”, una di quelle “balie ciociare” che allattavano e spesso crescevano i figli degli altri, un uso molto frequente in passato, un vero lavoro, che spesso è servito a tante donne per sopravvivere anche nei Paesi di emigrazione. E’ grazie a lei che venni piccolissimo ad Amaseno, e qui trascorsi l’infanzia, l’adolescenza, la giovinezza. Il mio legame profondo con questo luogo nasce dunque da molto lontano, da un’infanzia molto piacevole che ricordo con tenerezza, anche se all’epoca si mangiava poco e male, ma si viveva felici. Noi eravamo felici per quel clima amichevole che si respirava, ricordo che noi da ragazzi non tornavamo mai a casa a pranzare perché c’era sempre la famiglia di un amico che ci ospitava, e questo ha creato legami molto forti, che diventano fondamenta. Noi eravamo felici per la generosità della gente, che a tutt’oggi non è mai venuta meno. Poi le strade si sono divise, alcuni amici sono emigrati in Germania, altri in Svizzera o in Canada, ma è sempre una grande emozione ritrovarsi qui d’estate, immancabilmente, ogni anno. Ma è altrettanto emozionante ritrovare gli amici che sono rimasti al paese, che sono i veri amici di sempre.

La nostalgia accompagna sempre tutti noi, sia chi è restato e ha visto tanti emigrare, sia chi è partito, tutti la proviamo. Ma è nostalgia anche per i vuoti, per un altro tipo di distacchi … perché ogni volta che torno ad Amaseno c’è sempre qualche anziano che ci ha lasciato, qualche anziano che quand’ero piccolo mi ha accolto con affetto alla sua tavola. Oggi non ci sono più, ed è una ferita. Ma c’est la vie!, anche se è molto triste, e per certi versi spaesante, perché non è facile abituarsi al venir meno dei punti di riferimento che hanno accompagnato e plasmato il nostro modo di essere. Io ho viaggiato per lavoro in tutto il mondo, ma Amaseno mi ha sempre richiamato per le tradizioni che non ho più trovato altrove. Sono consapevole di vivere un profondo senso dell’italianità che ritrovo all’estero tra i tanti oriundi, tra coloro che difendono quelle poche tracce di lingua nativa che hanno ricevuto in famiglia. Ne ho incontrati molti nei miei viaggi in Argentina, a Bariloche, alle Bahamas, ed ogni volta che vedo una “pizzeria Vesuvio”, o l’eco di qualche parola pronunciata in italiano, è sempre un sobbalzo. Il senso di appartenenza fa parte di noi che siamo emigrati, soprattutto tra la gente del Centro Sud, che viviamo in modo molto forte il “sogno del paese”.

Oggi che sono prossimo alla pensione mi pongo spesso la domanda se lasciare Parigi e tornare a vivere stabilmente qui ad Amaseno. Da qualche anno vivo questo conflitto tra me e me. Sicuramente quando avrò sistemato i miei figli a Parigi con un lavoro più stabile, penserò a questa eventualità. Forse sceglierò una soluzione intermedia, che mi permetta di stare alcuni mesi in Francia e molti mesi ad Amaseno. Chi è emigrato vive questo dualismo interiore tra i luoghi che ti hanno cresciuto e i luoghi in cui sei diventato uomo. Intanto mi accontento di restare in contatto con tutti i miei compaesani attraverso la Rete; è molto importante mantenere vivi questi legami attraverso internet, attraverso il sito www.amaseno.it, che permette di farci sentire legati con il paese nonostante le distanze. Ed è bello la sera, dopo una giornata di lavoro, sedersi alla scrivania e, grazie a internet, poter vedere, e condividere, le foto dei propri compaesani che si sposano, che organizzano feste di compleanno, che si ritrovano. E’ importante, per me che sono a Parigi, ma anche per tanti amasenesi che sono ancora più lontani, oltreoceano, poterci sentire comunque una comunità, e rivedere gente conosciuta tanto tempo fa. E’ un ritrovarsi, al di là del tempo e dello spazio che certo non potranno mai riuscire a sciogliere i legami e le radici di una vita. Che è tutto lo straordinario patrimonio umano e interiore che Amaseno ci ha dato».

Le ricchezze e le sorprese della provincia italiana

Finisce qui questa tappa del nostro viaggio nella sterminata terra di provincia italiana, il più delle volte sconosciuta ai più, per l’infausta ventura di restar fuori dai circuiti turistici che le agenzie italiane ed ancor più straniere s’affannano a costruire sulle tappe solite: Roma, Firenze, Venezia, Napoli e così via. Straordinario il Belpaese, non solo per quanto sa incantevolmente mostrare con la Basilica di San Pietro e il Colosseo, con il Duomo e Palazzo Vecchio, con la Basilica di San Marco e il Ponte di Rialto, con il Maschio Angioino e Castel Sant’Elmo, ma anche con quanto custodisce in preziosità architettoniche, opere d’arte, tradizioni locali e singolarità, nella sua provincia più profonda. Un immenso baule di tesori e bellezze, un crogiuolo di culture, tradizioni e costumi che affondano le radici nella storia millenaria del nostro Paese. Questo, a piene mani, si coglie appena decidiamo d’andare “fuori porta”, lasciandoci intrigare dalla curiosità di conoscere l’ignoto della provincia d’Italia, piuttosto che la consuetudine delle capitali del turismo. Questo di Amaseno è un esempio illuminante di quanto celi il Belpaese, così seducente quando lo scopriamo. E, come Amaseno, una miriade di piccoli centri della nostra provincia, dalla cui conoscenza possiamo ricavare de visu la consapevolezza di quale immenso patrimonio d’arte, storia e cultura sia depositaria l’Italia, conservandone quasi i due terzi dell’intero pianeta. Un patrimonio straordinario sul quale, purtroppo, non abbiamo ancora la sapienza d’investire come la più grande e incommensurabile opportunità del nostro sviluppo, come il maggior cespite per la nostra economia. Il racconto di questo viaggio nella provincia sconosciuta, ad Amaseno, è un piccolo tassello utile almeno ad alimentare la curiosità di conoscere, la seduzione del bello “ignoto”, l’avventura nei luoghi – magari a quattro passi dalla nostra città – che possono riservarci sorprendenti sorprese di bellezze e di valori d’arte. Buon viaggio, allora, nella grande provincia italiana.

Per chi volesse saperne di più sulla Venerazione del Sangue di San Lorenzo in Amaseno: www.sanlorenzoamaseno.it

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