Sport

USA. I due volti della Indy 500 di Lino Manocchia

Speciale sulla corsa automobilistica più eccitante del mondo
I due volti della Indy 500
INDIANAPOLIS, 20.5.2013 –Compiamo un salto arretrato trentennale onde dare unosguardo alla 500 miglia di Indianapolis, la “Fata Morgana” dei piloti di mezzo mondo, venuti per la classica gara del Memorial Day, la corsa piu’ eccitante del globo,sfidando la fortuna, il pericolo ed anche una triste fama, in quanto molti piloti son caduti sulla pista stregata dellaIndiana.Era una manifestazione ricca, infiorata di milioni, osservata durante glianni da una  diecina di  milioni di spettatori  di  tutta la terra
Il prestigioso trofeo d’argento dove sono incisi tutti i volti e nomi dei vincitori a Indianapolis che gridavano la loro passione, il loro momento di isterismo.
“A Indy si fa veramente la storia delle quattro ruote” disse Jimmy Clark, lo scozzese volante che nel 1965 vinceva la grande sfida dinanzi a piloti come Mario Andretti, Parnelli Jones A.J. Foyt, Al Unser, Loyd Ruby.

L’anno successivo il connazionale Graham Hill, percorrendo a velocita’ di gran lunga inferiore a quella raggiunta da Clark immortalava il proprio nome sulla colossale Coppa d’argento dello speedway.

Correre ad Indianapolis e’ tutta un’altra cosa – ci diceva tempo fa Andretti – sfrecciare sul rettilineo a 240 miglia all’ora,abbordare le curve elevate a 175 miglia, infilarsi nel gruppo dall’alto di una curva , e’ una cosa che nessun circuito,nessuna gara motorizzata puo’ donare”.

Mario Andretti,”big foot”, come lo qualifico’ Jimmy Clark a suo tempo, appese il casco conservando un grande sogno segreto: Vincere la seconda volta la 500 miglia che aveva superato, nel 1956, guidando una magnifica vettura costruita da Andy Granatelli detto  “Mister 500”.

Purtroppo una serie di contrattempi incresciosi creati dall’incapace  “zar” dello Speedway, Tony George, una guerra fredda inscenata contro il magnate di Chicago, Jerry Forsayte, che aveva creato anche la serie ( Champcar, ndr.) . La sorte del Colosseo d’acciaio diventava nebulosa negativa bisognosa di un polso deciso, specie dopo le patetiche ricerche, con la candelina miracolosa, onde raccapezzare  i 33 concorrenti per la gara.

Il primo tempo del filmato s’arresta qui per ospitare un capitolo negativo, assurdo, fatto di liti interne, cambi di posizioni e regolamenti non attuati, proprio col giungere del centesimo anniversario del catino che risente della perdita di interesse, forza d’attrazione della massa pagante e l’assenza quasi totale dei tifosi alle prove di qualifica; ma finalmente un cervello dello speedway s’e’ svegliato suggerendo alla padrona  signora Hulman (moglie del creatore dello speedway Tony Hulman ) di sconfessare il lungo baccanale rombante fatto di festival, serate di alta moda, maritonette, pranzi luculliani, carri allegorici e via di questo passo, a discapito delle prove di qualifiche che  si protraevano sino alla  stanchezza.

La decisione? Tutto quel tempo sciupato viene ridotto a tre sole giornate operative.Quando siamo entrati nel Colosseo d’acciaio, per seguire una fetta di qualifiche,abbiamo provato un tuffo al cuore osservando il “gigante” vuoto, e quelle sediefredde  che facevano tanta pieta’. Soltanto il rombo delle macchine dilagava nel catino confondendosi con i colori carnevaleschi e sagome aerodinamiche ovviamente non elettrizzanti, malgrado gli sforzi della casa costruttrice Dallara. Che vergogna osservare la qualifica  passata all’insegna di mancanza di folla, mentre i soliti PR ritengono  che domenica si potranno contare oltre 250 mila fan dimenticando che le prove, un tempo, richiamavano più gente della corsa stessa.

Girovagando per i pit si provava la sensazione di trovarsi in un  mondo abitato da ultra-terrestri  giunti per la prima volta nel regno della velocita’, tecnologia, competizione, sogni di gloria e di milioni. Una situazione incresciosa venuta peggiorando durante i miei 44 anni di presenze, spesso in compagnia di mio nipote Adriano, ottimo fotografo per settimanali italiani (nella foto con Lino Manocchia. Clicca qui per leggere altro).

Alle prove  erano presenti 4 “driver”, fiduciose di farcela nella classica gara lunga 500 miglia, ovvero 200 giri dell’ovale di 2.5 miglia.

“Intanto partiamo – ha detto coraggiosamente l’inglesina  Pippa Mann pur partendo dalla 30ma piazza – Noi lotteremo a cuore aperto, attendeteci al traguardo e brinderemo insieme” .

Alla prima sessione di qualifica il semi sconosciuto, Ed Carpenter, figliastro dell’ex duce di Indy, T. George conquistava la pole position, sul colombiano Carlos Munoz, per un 400esimo di secondo, seguito a ruota  dal venezuelano E.J. Viso, poi Marco Andretti, nipote di Mario, e quindi A.J. Almendinger, un tempo pilota del team “Indeck” del magnate Forsythe.

Deludente il  risultato di assi come  Franchitti (17mo) e  Dixon(16mo) del team Ganassi  e Will Power, campione della serie,  che vantano un palmares zeppo di vittorie. Vano, altresi’, il tentativo  dei 14 “rookie” alle prime armi con Indy, senza dei quali la  corsa non sarebbe stata disputata… per mancanza di piloti .

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