Teramo. A 150 anni dalla nascita di Gabriele D’Annunzio CABIRIA (1914) di G. Pastrone didascalie lette da Mauro Di Girolamo

A 150 anni dalla nascita di Gabriele D’Annunzio

CABIRIA (1914) di G. Pastrone

didascalie lette da Mauro Di Girolamo

Venerdì 10 maggio Ore 21,00Sala San Carlo- Museo Archeologico

(Italia 1914); regia: Giovanni Pastrone; produzione: Giovanni Pastrone per Itala; sceneggiatura: Giovanni Pastrone; didascalie: Gabriele D’Annunzio; fotografia: Natale Chiusano, Augusto Battagliotti, Carlo Franzeri, Giovanni Tomatis, Vincent Dénizot; effetti speciali: Segundo de Chomón; scenografia: Giovanni Pastrone, Camillo Innocenti; musica: Ildebrando Pizzetti, Manlio Mazza- Interpreti:
Carolina Catena (Cabiria bambina), Lydia Quaranta (Cabiria), Umberto Mozzato (Fulvio Axilla), Bartolomeo Pagano (Maciste), Italia Almirante Manzini (Sofonisba),Gina Marangoni (Croessa)

Siamo a Catana (Catania) nel III secolo a.C. L’eruzione dell’Etna provoca la distruzione della città. La piccola Cabiria, figlia di Batto, trova scampo sulla spiaggia con la nutrice Croessa.

Film di ampie proporzioni, il più lungo fra quelli realizzati sino ad allora, annunciato come un’opera magistrale firmata da Gabriele D’Annunzio (che si limitò, in realtà, a scrivere le didascalie e a inventare il nome di qualche personaggio), presentato in prima mondiale a Torino, Milano e Roma con grande pubblicità e concorso di un pubblico colto e selezionato, Cabiria segna quello che possiamo chiamare l’apogeo non soltanto della casa di produzione Itala Film, di proprietà di Giovanni Pastrone (che curò la realizzazione del film, nascondendosi sotto pseudonimo), ma anche del cinema italiano muto. Nel senso che, al di là della grandiosità delle scenografie, della massa delle comparse, del tema affrontato, che aggiunge ai fatti storici non pochi elementi narrativi e drammaturgici di forte spettacolarità, è lo stile che domina la materia: i modi e le forme di una rappresentazione che si discosta dalle precedenti messinscene per puntare maggiormente sugli effetti spettacolari, con sapienti alternanze di piani, scioltezza di racconto, movimenti di macchina arditi (per quei tempi), intelligenti raccordi di montaggio. Non v’è dubbio che la storia si sviluppi secondo un tracciato che non si discosta granché dai modelli letterari e cinematografici ai quali si rifà. Romanzi e film popolari avevano già affrontato la materia con buoni risultati: la romanità, l’antichità in genere, aveva fornito non pochi spunti per narrazioni e rappresentazioni suggestive. Ma nel caso di Cabiria questi precedenti sembrano svanire, tale e tanta è la forza rappresentativa con cui Pastrone e i suoi collaboratori – fra cui un posto di rilievo occupa Segundo de Chomón – sono riusciti a conferire a un materiale di per sé non particolarmente nuovo. Il fatto è che, soprattutto nella prima parte del film e in particolare nell’ampia sequenza del tempio di Moloch e del sacrificio delle fanciulle, lo schermo pare per la prima volta arricchirsi di una dimensione tridimensionale inusitata. Per effetto certamente delle rare e discrete ‘carrellate’, che tendono a spingere in profondità lo sguardo dello spettatore e a conferire all’ambiente una terza dimensione; ma anche del taglio delle inquadrature, delle luci e delle ombre, della ‘fisicità’ dei personaggi. E se alcuni di essi, a cominciare da Fulvio Axilla, non escono dalle convenzioni interpretative del tempo, altri, in particolare Maciste, paiono davvero nuovi, per quel ‘realismo’ del tratto, dei movimenti, del comportamento, che costituirà uno dei caratteri salienti della recitazione cinematografica degli anni seguenti. A voler analizzare il film nei singoli episodi non è difficile riscontrarvi un eccesso di elementi eterogenei, un accumulo di situazioni non sempre necessarie all’intero sviluppo della storia o alla definizione dei personaggi e dei loro reciproci rapporti. (…). Ma l’insieme della rappresentazione, che si basa essenzialmente sulla successione dei fatti avventurosi, con tutte le implicazioni del caso, e sulla loro evidenza schermica (per il ‘realismo’ di cui si è detto), tende a mascherare i difetti, a sopravanzare i momenti di minore  tensione drammatica. Sicché, alla fine e nonostante talune lungaggini e ripetizioni, Cabiria conferma la sua natura e il suo valore di opera fondamentale per lo sviluppo del linguaggio cinematografico e per la ricerca di una nuova dimensione spettacolare. (Gianni Rondolino, Enciclopedia del Cinema, Treccani 2004)