Cultura & Società

Italia. Continua sul quotidiano Il Giornale il dibattito aperto dal saggista Luca Nannipieri sulla cultura e sulla totale ininfluenza di ogni proposta avanzata a politici e parlamentari.

Continua sul quotidiano Il Giornale il dibattito aperto dal saggista Luca Nannipieri sulla cultura e sulla totale ininfluenza di ogni proposta avanzata a politici e parlamentari. Ieri è intervenuto Filippo Cavazzoni, direttore editoriale dell’Istituto Bruno Leoni. Oggi intervengono sul Giornale gli scrittori e giornalisti Bruno ArpaiaPietro Greco, autori del libro “La cultura si mangia!” (Guanda).
Nannipieri ha scritto: ” Il problema oggi è l’irrilevanza politica e civile di ogni proposta sulla cultura, più che la giustezza o meno della proposta stessa. Finché non combattiamo questo, anche assieme, riunendosi anche se da opposte visioni, ogni riflessione sulla cultura rimane un fiacco ‘dover essere’ che giace sui libri e che non ha incidenza nella realtà”.
Cavazzoni ha risposto: “L’articolo pubblicato ieri da Luca Nannipieri sposta i termini del dibattito: non chiediamoci cosa andrebbe fatto per il settore culturale, ma perché non si fa nulla. […] Il nostro patrimonio culturale è in stato di emergenza costante; invece di produrre stabilità, lo Stato è generatore di instabilità e incertezze. […] L’apparato pubblico è conservatore per definizione, mentre il mondo della cultura ha una marcata capacità lobbistica. […] La cultura come bene comune è diventato il nuovo slogan attraverso il quale alcuni cercano di perpetuare un’antica tradizione: vivere sulle spalle di tutti gli altri”.
ArpaiaGreco rispondono oggi: “[…]Dobbiamo fondare la nostra economia sulla conoscenza. E per farlo, dobbiamo cambiare la specializzazione produttiva del sistema paese. Perciò, il problema del vuoto in cui cadono le proposte di chi si occupa di cultura è parte del problema più generale dell’Italia: quello di un cambiamento di classe dirigente e di indirizzo politico che non può più essere rimandato. Finché in Italia dominerà l’ideologismo dello stato debole non ne usciremo […]”.
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