Il Giornale, Cultura: a Nannipieri risponde Cavazzoni

Sul quotidiano Il Giornale il dibattito aperto ieri dal saggista Luca Nannipieri sulla pressoché totale ininfluenza di ogni proposta sulla cultura avanzata a politici e parlamentari viene discusso oggi da Filippo Cavazzoni, direttore editoriale dell’Istituto Bruno Leoni.
Nannipieri ieri ha scritto: “Il problema oggi è l’irrilevanza politica e civile di ogni proposta sulla cultura, più che la giustezza o meno della proposta stessa. Finché non combattiamo questo, anche assieme, riunendosi anche se da opposte visioni, ogni riflessione sulla cultura rimane un fiacco ‘dover essere’ che giace sui libri e che non ha incidenza nella realtà”.
Cavazzoni oggi risponde: “L’articolo pubblicato ieri da Luca Nannipieri sposta i termini del dibattito: non chiediamoci cosa andrebbe fatto per il settore culturale, ma perché non si fa nulla. Sono state formulate parecchie proposte, sono stati pubblicati libri, articoli, studi e appelli. Il dibattito è vivace e gli spazi di discussione non mancano. Ma perché tutte queste idee non si tramutano in riforme e nuove norme? […]
Il nostro patrimonio culturale è in stato di emergenza costante; invece di produrre stabilità, lo Stato è generatore di instabilità e incertezze. L’utilizzo di un decreto-legge per istituire il Ministero per i beni culturali e ambientali simboleggia bene tale condizione. Dal 1974, anno della sua nascita, il Ministero ha subito varie trasformazioni, che ne hanno modificato la struttura. La stessa normativa sui beni culturali viene limitata con frequenza, mentre regolamenti e linee guida si susseguono creando complessità invece che chiarezza.
[…] Incertezze, assenza di progettualità e inefficienze varie: tutto ciò connota il settore culturale nel nostro Paese. Oggi il Ministero per i beni culturali è percepito come un ministero di serie B: la sua guida comporta più oneri che onori, poche risorse da amministrare e tante grane da gestire. Chi volesse espandere il suo ruolo dovrebbe essere motivato da solidissime convinzioni.
Inoltre si tratta di un settore fortemente sindacalizzato e ideologizzato. Dove ogni timido tentativo di riforma volto a innovare e a togliere ingessature trova sbarramenti ostinati. L’apparato pubblico è conservatore per definizione, mentre il mondo della cultura ha una marcata capacità lobbistica: gode di ottima stampa e di grande sostegno nell’opinione pubblica. Da una parte i nostri intellettuali avanzano proposte incentrate su una maggior spesa pubblica, dall’altra ritengono che il proprio ruolo e il proprio settore non debbano essere remunerati in base ai servizi e ai beni offerti. La cultura come bene comune è diventato il nuovo slogan attraverso il quale alcuni cercano di perpetuare un’antica tradizione: vivere sulle spalle di tutti gli altri.