Abruzzo. Osservatorio Gi Group Academy: la Riforma Fornero riduce la cattiva flessibilità, ma non diminuisce il costo del lavoro e non aumenta l’occupazione.

Osservatorio Gi Group Academy: la Riforma Fornero riduce la cattiva flessibilità, ma non diminuisce il costo del lavoro e non aumenta l’occupazione.

Gi Group Academy presenta i dati della prima rilevazione dell’Osservatorio Permanente sulla Riforma del Mercato del Lavoro promosso in collaborazione con Gi Group e OD&M Consulting con l’obiettivo di monitorare nel tempo gli effetti della Legge 92/2012 sulle imprese.

A sei mesi dall’entrata in vigore, la Riforma ha impattato per lo più sulla flessibilità in entrata, ma a parte il minor utilizzo di contratti di collaborazione, a progetto e Partite Iva, è emerso che tende anche a non introdurre competitività nel sistema, a non incentivare l’inserimento dei giovani e a non favorire rapporti di lavoro più stabili.

Milano, 18 marzo 2013 – Inserimento in azienda e flessibilità in entrata, contrattazione di secondo livello, flessibilità in uscita, politiche attive e ammortizzatori sociali; in quali ambiti la Riforma Fornero ha finora impattato maggiormente? In che modo sono cambiati i comportamenti e le scelte strategiche delle aziende in seguito all’entrata in vigore della Legge 92/2012?

Per rispondere a questi interrogativi e monitorare nel tempo gli effetti della Riforma al fine di supportare le imprese e segnalare al Ministero del Welfare eventuali correttivi, Gi Group Academy, la fondazione di Gi Group, la prima multinazionale italiana del lavoro, nata per promuovere e sostenere lo sviluppo e la diffusione della cultura del lavoro, ha avviato a fine 2012 la prima survey dell’Osservatorio Permanente sulla Riforma del Mercato del Lavoro, promosso in collaborazione con Gi Group e OD&M Consulting che fotografa gli effetti prodotti dalla nuova normativa e le opinioni di HR manager e imprenditori a sei mesi dalla sua entrata in vigore.

Di seguito le principali evidenze su specifici effetti che la Riforma tende a produrre emerse, a fine gennaio 2013, dalla prima rilevazione dell’Osservatorio Gi Group Academy:

  • Unico obiettivo raggiunto dalla Riforma è la riduzione degli abusi legati all’utilizzo improprio di forme contrattuali flessibili per il 54% delle aziende campione; a dare questo giudizio soprattutto le imprese dell’Industria e quelle di grandi dimensioni. In particolare, per chi ritiene che la Riforma sia stata influente sulle proprie scelte di gestione delle risorse umane, è diminuito il ricorso a contratti di collaborazione a progetto (51%) e Partite Iva (45%).
  • La Riforma non diminuisce il costo del lavoro per quasi tre imprese su quattro (73%) e non aumenta l’occupazione per due terzi delle imprese (66%).
  • Per il 59% dei rispondenti la Riforma non introduce competitività nel sistema.
  • Per un intervistato su due la Riforma non favorisce l’instaurazione di rapporti di lavoro più stabili, ma, al tempo stesso, non facilita i licenziamenti (52%).
  • La Riforma per il 54% delle aziende non aumenta l’inserimento dei giovani al lavoro.

“La riduzione delle forme improprie di flessibilità (Co. Co. Pro., Partite Iva, etc.) è indubbiamente il principale risultato che va riconosciuto alla Riforma. L’altra faccia della medaglia è che la Riforma ha introdotto elementi di limitazione sull’utilizzo di determinati strumenti senza aver concretamente indicato gli elementi  positivi e le alternative da utilizzare – commenta Stefano Colli-Lanzi, CEO di Gi Group e Presidente di Gi Group Academy-. Un esempio su tutti vale per la somministrazione: la Riforma non la nomina e la lascia

pressoché inalterata, laddove sarebbe stato necessario, a fronte delle giuste limitazioni introdotte su altre forme di flessibilità, indicarla concretamente, magari liberandola da alcuni vincoli normativi e incentivandone l’utilizzo. Per quanto riguarda la flessibilità in uscita, invece, c’è da dire che la Riforma è ”incompiuta”. Si è fermata a metà del guado mentre avrebbe dovuto andare fino in fondo, scardinando il concetto di inamovibilità del posto di lavoro che oggi, di fatto, crea un mercato duale in cui chi ha il posto è intoccabile, ma chi è fuori dal mercato non ha quasi nessuna speranza di entrarvi. Tutto ciò produce un sistema fortemente improduttivo e bloccato. Sbloccare la flessibilità in uscita è l’unico modo per ridare centralità al contratto a tempo indeterminato, che dovrebbe essere il modo “naturale” per inserire nuove risorse. E, si badi bene, questa è la stessa linea che ci propone l’OCSE con il suo rapporto Going for Growth 2013”.

Sempre a livello di sentiment, per il 50% delle imprese la Riforma non crea maggior inclusione delle donne né nuove opportunità di impiego per gli over 50 e per poco meno della metà dei rispondenti (46%) tende, anzi, a paralizzare le scelte di assunzione delle imprese.

In termini di impatto, invece, la Riforma, per 6 rispondenti su 10, ha inciso principalmente sulla gestione della flessibilità in ingresso e, sebbene in misura minore, anche sulla gestione dell’uscita delle persone dall’azienda (20%), peggiorandole, rispettivamente per il 55% e il 45% dei rispondenti, e rendendole anche più costose, rispettivamente per il 58% e il 46%.

In generale non risulta che la Riforma abbia modificato i livelli di utilizzo dei vari strumenti di gestione delle risorse umane, eccezione fatta per le associazioni in partecipazioni (diminuite nel 51% dei casi). Tuttavia, chi riconosce influenza o molta influenza alla Riforma rispetto alle proprie scelte aziendali ha dichiarato una diminuzione del ricorso a contratti di collaborazione a progetto (51%), Partite Iva (45%), contratti di inserimento (45%) e a tempo determinato (42%); mentre, è aumentato il ricorso ai contratti di apprendistato (per il 50%) e ai contratti di somministrazione a tempo determinato (per il 36%).

I contratti che a seguito della Riforma sono stati trasformati o abbandonati da almeno la metà del campione sono, invece, quelli di inserimento, associazione in partecipazione, lavoro intermittente, collaborazione a progetto.

Fra i contratti che sono stati trasformati il 76% è stato convertito in un’altra forma contrattuale flessibile e solo il 24% in contratti a tempo indeterminato. Fra le forme flessibili verso cui le imprese si sono dirette prevalgono i contratti a tempo determinato (19%), quelli in somministrazione a tempo determinato (17%), Partite Iva e collaborazioni a progetto (14%) e i contratti di apprendistato (12%).

Tra le altre aree di indagine – contrattazione di secondo livello, politiche attive e ammortizzatori sociali -, per le quali non risultano per ora peggioramenti o miglioramenti significativi né modifiche sui costi, non stupisce, in particolare, il fronte delle politiche attive, dove il legilslatore ha inserito finora solo un “suggerimento” alle parti, in sede di conciliazione, per concordare un progetto di supporto alla ricollocazione del lavoratore che ha perso il posto. Dai dati, pertanto, l’outplacement risulta la scelta aziendale rispetto alla quale la Riforma ha esercitato la minore influenza (26%) e, infatti, è ancora utilizzato in modo molto limitato (16%).

“Alla luce di queste evidenze, – continua Colli-Lanzi – pensiamo che sia necessario agire su leve strutturali, ovvero: fare investimenti produttivi che vadano a lavorare sugli asset del Paese e che siano in grado di far ripartire l’occupazione, creando valore nel breve ma con un’ottica anche di medio-lungo periodo; spostare la tassazione dal lavoro ad altre fonti di reddito con una riduzione, anche cospicua, del cuneo fiscale, consentendo di migliorare la retribuzione netta delle persone. Inoltre, a livello di mercato del lavoro, riteniamo si debba agire su tre aspetti: incentivare l’apprendistato come contratto di inserimento, rendere l’outplacement obbligatorio, o quantomeno fortemente incentivato, per tutte le aziende che licenziano, e ridare centralità al contratto a tempo indeterminato, limitando solo a casi autentici il ricorso a forme di lavoro autonomo (Partite Iva e Co.Co.Pro., etc.) e demandando, invece, alle Agenzie per il Lavoro la buona flessibilità. Se è vero che le imprese di medio-grandi dimensioni segnalano, in oltre la metà dei casi, che la Riforma incentiva il ricorso alle APL, è vero altresì che tale ricorso dovrebbe essere incrementato ulteriormente, in quanto le agenzie possono e devono essere la giusta leva per gestire la flessibilità richiesta

dalle aziende e la sicurezza richiesta dai lavoratori, in una prospettiva non più di posto fisso a vita, ma di costante employability”.

Alla prima rilevazione online dell’Osservatorio Permanente sulla Riforma del Mercato del Lavoro (metà dicembre 2012 -fine gennaio 2013) hanno partecipato oltre 500 imprese rappresentate in prevalenza da HR manager e imprenditori appartenenti principalmente a PMI (69%); il campione è rappresentativo della realtà italiana per Settore (Industria, Commercio e Servizi) su tutto il territorio nazionale.

Si segnala che questa prima rilevazione dell’Osservatorio Gi Group Academy si è concentrata nel dettaglio dei provvedimenti relativi a inserimento in azienda, flessibilità in entrata, flessibilità in uscita e contrattazione di secondo livello mentre nelle successive rilevazioni approfondirà anche i singoli effetti su politiche attive e ammortizzatori sociali in base alle tempistiche di entrata in vigore dei singoli provvedimenti specifici su queste aree per le quali, pertanto, ha per ora rilevato solo prime sensazioni di miglioramento/peggioramento.

Alla survey sono seguiti i Focus group di approfondimento con le aziende che hanno aderito ai tavoli di lavoro. Contestualmente l’Osservatorio ha elaborato informazioni provenienti da diverse banche dati per darne una lettura originale alla luce della Riforma.

Tutte le attività dell’Osservatorio hanno la supervisione di un Comitato Scientifico, costituto da esponenti di spicco del mondo del lavoro che discutono le linee programmatiche e analizzano i risultati emersi dalle rilevazioni.

A questa prima rilevazione ne seguirà una seconda, a distanza di sei mesi che si chiuderà con un evento annuale di dibattito e discussione delle evidenze emerse.

Per tutti coloro che sono interessati ad approfondire l’iniziativa: www.osservatoriolavoro.it.

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Gi Group è la prima multinazionale italiana del lavoro, nonché una delle principali realtà, a livello mondiale, nei servizi dedicati allo sviluppo del mercato del lavoro. Il Gruppo è attivo nei seguenti campi: somministrazione, ricerca e selezione, executive search, outplacement, formazione e hr consulting.

All’inizio del 2007 Gi Group ha iniziato un percorso di internazionalizzazione che lo porta oggi ad operare in più di 20 paesi in Europa, America e Asia.

Alla fine del 2010 ha ottenuto un importante riconoscimento con l’ingresso in CIETT – la confederazione internazionale delle agenzie per il lavoro – in qualità di Global Corporate Member.

Nel 2012 ha avviato al lavoro 146.160 persone (52.200 FTE) e servito più di 15.000 aziende, con un fatturato complessivo di 1 miliardo e 86 milioni di Euro. Il gruppo si avvale di 485 filiali in tutto il mondo e può contare su circa 2.400 dipendenti di struttura.