Cultura & Società

“Un grande Papa, un grande Pontificato” l’omaggio del M° Guadagnuolo a Benedetto XVI

“Un grande Papa, un grande Pontificato” l’omaggio del M° Guadagnuolo a Benedetto XVI

Pubblichiamo l’omaggio dell’arte – la serie di ritratti dedicati a Papa Ratzinger realizzati dal pittore Francesco Guadagnuolo.

«Nel ricordo del fecondo Pontificato di Papa Benedetto XVI, che in circa otto anni, ha dato nuova forza ispiratrice e conduttrice – questa dedica è del Maestro Francesco Guadagnuolo che ha scritto in uno dei suoi ritratti al Papa, dopo aver avuto da subito la notizia che Benedetto XVI lasciava il soglio Pontificio Un grande Papa, un grande Pontificato, un grande testimone di fede. – continua nell’intervista l’artistaManifesto la mia particolare gratitudine per il Suo magistero petrino e per la Sua eccellente testimonianza di vita cristiana, sento di esprimere al Signore uno straordinario grazie! un vero dono di Dio per la Chiesa per questo eccezionale Pontificato, che ci lascia l’umile, grande, teologo Benedetto XVI di cui la storia avrà modo di rileggere e valutare nel tempo, e ci consentirà di apprendere, di amare e di intuire, quanto sia stato importante».

Offriamo parte del discorso tenuto dall’On.le Carla Mazzuca in occasione della presentazione della mostra Personale di Francesco Guadagnuolo “Omaggio a Benedetto XVI”, il 28 giugno 2005 a Palazzo Bologna – Senato della Repubblica, Roma. «…Come cattolica ho provato, guardando la serie di ritratti del Papa, innanzitutto forte ammirazione e poi gioia, perché vedere Benedetto XVI sorridente, in tutta la sua semplicità, in alcuni dei suoi momenti più felici come quello delle mani alzate, che è stato il primo gesto d’amore che ha fatto appena eletto affacciandosi alla loggia esterna della Basilica, mi emoziona enormemente. Guadagnuolo è riuscito a raffigurare la verità umana di Benedetto XVI, carica di energia espressiva, cogliendo nei ritratti al Papa l’interiorità dell’anima e lo sguardo proteso verso il mondo, in ascolto della volontà e della parola del Signore e delle speranze dell’umanità. Questi ritratti suscitano un coinvolgimento sentimentale, posso dire che l’arte del ritratto di Guadagnuolo diventa in questo caso una nuova realtà da vivere di emozioni in senso completo…».

Lo storico dell’arte Luigi Tallarico nel suo intervento, alla presentazione della mostra al Senato, afferma: «Il segno grafico quando affronta lo spazio bianco ha la “possibilità di realizzare un numero infinito di espressioni”, scriveva il Cennini nel Trattato della Pittura (1437?), sia che rappresenti una forma astratta che una figurazione oggettiva. In conseguenza il segno grafico funziona da sismografo del non visibile e nello stesso tempo da verificatore delle cose che sono percepite, se è vero che «essere, è essere percepito» (Berkeley). In realtà il segno grafico, che identifica la visione di Papa Ratzinger, obbedisce a questa dualità-unità espressiva, dal momento che Francesco Guadagnuolo, autore delle opere esposte nelle sale di Palazzo Bologna al Senato, individua i lineamenti dell’essere percepito e nel contempo evidenzia il carattere del soggetto significato, e questo perché nella pratica d’arte non va esclusa la segreta relazione che intercorre tra la rivelanza dei fatti e la visio intellectualis dell’autore, e non soltanto perché l’operatore artistico è un tutt’uno con le sue manifestazioni.

Se osserviamo, infatti, la tensione espressiva del suo segno, ci accorgiamo che per Guadagnuolo il «fare precede l’imitare» (cfr. Schelling e “Arte e illusioni” di Gombrich), in quanto l’espressione contiene già la forma come valore e che l’attività manuale è un completamento collegato alla sua indiscussa abilità di esercizio. Se osserviamo invece il segno sotto il profilo della rappresentatività caratteriale o della fisionomia del personaggio, non si può non tenere conto del difficile rapporto percettivo, tra visione e rappresentazione, affrontato dall’artista e a cui ben poco soccorre l’esame dell’abilità manuale. D’altra parte la complessa unità di reale-ideale del segno non è identificabile sotto il profilo di un’unica identità, fisionomica o ideologica, dal momento che ci troviamo di fronte ad un personaggio che è sotto gli occhi di tutti, oltretutto ad un simbolo che riassume una grazia di ordine spirituale e divino, e perciò sottoposti a dirette e soggettive interpretazioni.

Sennonché i diversi aspetti così identificati ci confermano che Guadagnuolo non ha sostenuto l’alterità dell’idea rispetto alla forma, del sentire rispetto al vedere, delle fattezze dell’Uomo Ratzinger o del carisma spirituale di Papa Benedetto XVI, ma – attraverso il linguaggio dell’arte – ha mantenuto la valenza del disegno e l’icasticità del segno, nell’unità di realtà e bellezza, di funzionalità e spiritualità. E questo perché secondo un concetto espresso da Plotino, la materia, di per sé informe, è capace di bellezza solo in quanto è partecipe della spiritualità: si dà così conferma che la sintesi conseguita dall’arte è non solo unificante degli opposti, ma motivo astraente rispetto alla mera oggettività materiale.

Ma se dopo quanto è stato detto, viene meno la condivisa consapevolezza che il segno di Francesco Guadagnuolo abbia unificato la fisionomia terrena di Joseph Ratzinger e insieme la potenzialità divina del Papa della Cristianità, allora all’artista non resta che ripetere lo sconforto esclamativo-interrogativo del pittore inglese Orpen, il quale – accusato della poca somiglianza del ritratto dell’arcivescovo di Canterbury – pare abbia detto: «Tra i tanti arcivescovi che mi hanno suggerito, quale dovevo dipingere?». Se così fosse, si dovrebbe dedurre che mentre le interpretazioni di un’opera interessano i riguardanti di tutti i tempi, dal momento che la finalità dell’arte è legata alla sua unità espressiva nel tempo, i segni identificativi di una fisionomia debbano invece riguardare soltanto i fruitori dei nostri giorni…

Sta di fatto che nel “Tondo Doni”, realizzato nel 1504, prima della grande prova pittorica della Sistina, Michelangelo abbia usato una inaspettata forma pietrosa e insieme deformata, nonché inconsueti colori vivacissimi e sonori, per cui – mentre il Longhi ha opinato che si trattasse addirittura di una “divina famiglia di giocolieri” – il Berenson ha invece rilevato, con riferimento alla positura dei divini personaggi, che la scatola cranica di San Giuseppe «con poco potrebbe urtare nel margine superiore della cornice, e risuonerebbe». In effetti, la ricerca fisionomica di un personaggio, sacro o profano, non è convincente solo in quanto somigliante al modello, molte volte di memoria, ma in quanto espresso in coerenza semantica con il linguaggio e il metodo di indagine usato dall’artista nel tempo. D’altronde resta valida la risposta che si dice abbia dato Michelangelo a chi aveva osservato che i ritratti medicei nella Sagrestia Nuova non erano molto somiglianti: «Cosa importerà tra un migliaio di anni come erano veramente questi uomini? ». (E. H. Gombrich).

Anche se Michelangelo era legittimamente consapevole che le sue creazioni avrebbero sfidato i secoli, resta accertato che l’opera di Guadagnuolo, indubbiamente legata ad eventi dei nostri giorni, subirà una continua e varia interpretazione a seconda che la figurazione venga vista attraverso i tratti fisionomici del ritratto o fuori della valenza percettiva del ritrattista, proprio per la diversità visiva dei vari riguardanti, mirata alla funzione estetica o a quella ideologica e perfino psicologica. Ne discende pertanto che il problema della verosimiglianza, riferita al diverso stato d’animo del ritrattista-ritrattato, a seconda che mostri l’aria di faccia del momento storico o le funzioni determinate dal ruolo, non ci deve distogliere dall’approfondimento dei caratteri espressivi, sottesi alla metodica d’arte di Guadagnuolo, che come abbiamo visto è portato alla resa, non solo dall’essenzialità e immediatezza del tratto distintivo, ma anche del sommerso caratteriale della fi-gura. D’altra parte l’artista ci conferma che il particolare approccio al personaggio risponde al modo di affrontare i conflitti odierni del sentire-vedere e del fare-imitare, mentre la semplicità spirituale e la complessità del pensiero, espresse dal ritrattato, non contraddicono – nella forma – l’acutezza e l’intensità dei segni: essi vengono espressi al di fuori di ogni esattezza ottica, proprio perché l’artista vuole indicare l’esattezza delle cose che non mostra, «dando così dimostrazione – diceva il Cennini – di quello che non è, sia».

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