Cultura & Società

Intervista di Alessia Mocci a Matteo Paoloni ed al suo Qualunque cosa accada

Intervista di Alessia Mocci a Matteo Paoloni ed al suo Qualunque cosa accada

Un nuovo giorno. Un’altra onda. Rumori, luci, verbosità mischiate. Un ritmo incalzante da seguire, più di frequente che ti insegue. Un altro giorno come tanti nella Grande Mela, così come dovunque. Sono arrivato

a scuola leggermente tardi stamattina. Mi sono svegliato appesantito, rallentato da sogni di cui non ho ricordo. In effetti non li ricordo quasi mai.”

Qualunque cosa accada – cronache di un’avventura newyorkese”, edito nel 2013 dalla casa editrice Watson Edizioni per la collana “Luci”, è un romanzo di Matteo Paoloni. Una storia moderna ambientata nel nostro secolo che vede come protagonista un giovane trentenne di nome Primo.

Il protagonista di “Qualunque cosa accada” non ha più nessun motivo per vivere in Italia, lo sconforto porta la sua mente a sognare e, nel sogno di libertà identifica un preciso continente ed una precisa città: l’America e New York. Così Primo intraprende un viaggio verso il Nuovo Mondo con quasi la certezza di stare bene, di stare meglio, ma non andrà in questo modo.

Non vi sveliamo le peripezie di Primo e vi lasciamo a qualche rivelazione dell’autore del libro Matteo Paoloni. Buona lettura!

A.M.: Alcuni libri provengono da anni di scrittura, altri invece nascono all’improvviso. Qual è il tuo caso?

Matteo Paoloni: Nel mio caso è stata una necessità. Per me la scrittura è un mezzo di interazione con tutto ciò che è al di fuori del mio essere. Scrivere per rapportarsi meglio con le cose che accadono, per poterle interpretare, per renderle reali in un certo senso, come se l’unico modo per rendere tangibile il mondo fosse attraverso la carta, nell’inchiostro. Al termine dei dodici mesi che ho trascorso a New York mi sono ritrovato con un buon numero di taccuini a disposizione in cui avevo riportato fedelmente tutto il marasma di emozioni provate, positive e negative, tutto il mondo che avevo attraversato fisicamente o anche solo immaginato. Farlo diventare un romanzo è stata una conseguenza inevitabile. Tuttavia se dicessi che si è trattato di un’azione non premeditata sarebbe una menzogna. È una sensazione molto particolare da spiegare. Diciamo che quando la scrittura è parte di te dall’età di undici anni, arrivato ai trenta, è come se respirassi parole, camminassi parole. Ogni frammento di conversazione che ascolti camminando in strada, ogni caratteristica che raccogli dai passanti, ogni dettaglio di un’atmosfera o di un’architettura, nella tua mente si sta già fondendo in una qualche descrizione che un giorno o l’altro farà parte di una storia entusiasmante che speri sarai in grado di condividere con il maggior numero di persone possibile. In breve l’idea del romanzo c’è stata fin dall’inizio, non appena ho messo piede sull’aereo che mi avrebbe portato nella Grande Mela, probabilmente ancora prima, non appena il viaggio è stato concepito. Il romanzo è stato quindi un’occasione per raccontare del perché per alcune persone scrivere può essere appunto una necessità e soprattutto del coraggio che implica la scelta di voler fare lo scrittore, che è appunto il sogno del protagonista, Primo. Ma la storia non è soltanto questo, quanto anche una possibilità per raffrontarsi con alcuni grandi temi quali religione, omosessualità, razzismo, ma anche disoccupazione, vecchiaia o il rapporto di coppia, talvolta in modo serio, talvolta più ironico. E poi c’è sempre New York City: ragazzi che spettacolo incredibile!

A.M.: “Qualunque cosa accada” presenta il sottotitolo “Cronaca di un’avventura newyorkese”. Lo ritieni una sorta di spiegazione ellittica del romanzo?

Matteo Paoloni: Credo che sia un modo efficace per riassumere il senso del mio racconto, ovvero un’avventura. Perché in fondo cos’è che ci affascina di un viaggio se non l’ignoto che ci aspetta in ogni istante che vivremo dalla partenza fino al momento del ritorno? È per questo che amo viaggiare, perché ogni volta riesco a scoprire qualcosa di me che in un contesto conosciuto non avrei modo di capire. Per me le persone sono come grandi puzzle e il desiderio di trovare quanti più pezzi possibili del mio sparsi chissà dove è un richiamo troppo forte. Quindi pronti con il prossimo biglietto: l’avventura continua!
A.M.: Quando nasce la tua passione per New York?

Matteo Paoloni:  New York è una di quelle passioni che ti ritrovi appiccicate addosso, volente o nolente. Nel nostro quotidiano di spettatori televisivi siamo abituati a vederla così spesso nei film o nelle serie tv o a sentirla menzionare al telegiornale che quando ti ci trovi di persona, almeno per me, è stato come ritornare in un luogo in cui hai vissuto ma che non vedevi da molto tempo. Poi chiaramente ci sono una miriade di luoghi completamente nuovi da scoprire, persone da incontrare, sapori da gustare, in breve tutto il repertorio esperienziale che rende questa città un luogo straordinario. Citando dal mio testo: New York è veramente la città del grado esponenziale, forse la più ambita in assoluto. I motivi che l’hanno resa tale sono disparati, ma la ragione vera, è qualcosa che non comprendi appieno fintanto che non la senti addosso: qui puoi dare sfogo ad ogni tuo più antico desiderio. Ogni cosa. Nel modo più assoluto. Un’enorme trappola per chi ha dovuto trattenere e magari reprimere le proprie emozioni per lungo tempo. Perché New York ti libera la molla e quello che ne esce, e soprattutto se sarai in grado di gestirlo, sarà un problema tuo.”

A.M.: “Qualunque cosa accada” è in prima persona, pensi che, in questo modo, il lettore possa maggiormente immedesimarsi?

Matteo Paoloni:  Come lettore ti dico che, si, la narrazione in prima persona mi permette una maggiore immedesimazione. Volendo invece ribaltare il punto di vista calandomi nel ruolo di scrittore e cercando di dare una motivazione a quanto sopra, la prima persona mi permette di essere più diretto ed incisivo. Quello che mi interessa mostrare sono le persone, i loro punti di vista, i loro più intimi pensieri, le loro sensazioni, e per farlo non gradisco il filtro di un narratore indiretto. Quello che voglio è dare al lettore il più ampio accesso possibile al patrimonio umano che il protagonista o i protagonisti della storia possono mettere a sua disposizione e per far questo ritengo che la prima persona sia il modo più efficace. Ciò non toglie che molti dei più grandi capolavori della letteratura mondiale siano scritti in una forma diversa dalla prima persona e sono, in effetti, le pietre miliari su cui si basa la scrittura moderna. Quindi che dire? Ad ognuno il suo.
A.M.: Pensi che oggi si debba fuggire dall’Italia? Se sì, perché?

Matteo Paoloni:  Ciò che penso è che in entrambi i casi la scelta sia da rispettare. Conoscono molte persone che hanno deciso di ricominciare daccapo in un altro luogo perché pensavano che l’Italia non avesse nulla da offrire. Allo stesso modo, conosco persone che non cambierebbero il nostro Paese con nessun altro, anche avendo la concreta possibilità di trasferirsi all’estero. Personalmente credo che il cambiamento radicale, perché non mi piace parlare di fuga, non sia una soluzione, ma una scelta: si può scegliere di rimanere, anche e soprattutto se la situazione con cui ci si deve confrontare non è affatto incoraggiante, e in questo caso decidere se diventare vittime del così detto “sistema” o dare il proprio contributo, o potremmo dire il buon esempio, per migliorare le cose; o si può scegliere di trasferirsi in un altro contesto, e anche qui, non è detto che la scelta sia sicura e il mio libro ne è una testimonianza. Primo, infatti, il protagonista, decide di partire per poter respirare nuovamente, per tirarsi fuori da una vita che sentiva non appartenergli più, ma quello che scopre suo malgrado è che ciò che c’è al di fuori dell’Italia, in questo caso New York City, non è necessariamente l’Eldorado, che ci sono innumerevoli difficoltà anche in contesti che siamo abituati a vederci presentare come il paradiso per eccellenza e magari persone che da quel paradiso vorrebbero scappare. E quando ci si ritrova nella stessa condizione solo in un posto diverso, ancora una volta, si tratta di scelte: rimanere e confrontarsi con quella realtà, partire di nuovo o magari tornare sui proprio passi, nel porto sicuro, in cui in qualche modo si riusciva a stare a galla. Questo, fra gli altri, è uno dei dilemmi che si troverà ad affrontare Primo.

A.M.: Quant’è la percentuale di Matteo Paoloni all’interno del romanzo?

Matteo Paoloni: Eccoci alla domanda da un milione di euro! Personalmente credo che un romanzo sia buono solo in proporzione a quanto lo scrittore sia riuscito a riversarci del proprio vissuto e questo chiaramente non vuol dire che si debba essere passati necessariamente attraverso le esperienze che si è voluto raccontare. Per spiegare ciò che intendo potrei dire che scrivere una storia è comparabile alla recitazione: l’attore non deve essere realmente un assassino o un cocainomane o un padre o una madre di famiglia per interpretare il ruolo che gli viene assegnato, il punto non è quello. Il punto è che se vuole essere credibile, se veramente vuole arrivare a toccare lo spettatore, nel nostro caso il lettore, deve essere disposto a mettere a nudo quelli che sono i suoi sentimenti, le sue emozioni, sono questi che riempiono le parole, che gli conferiscono spessore e sfumature. Nella scrittura non è molto diverso. Si può trattare qualunque argomento, anche qualcosa che non si è vissuto in prima persona, ma nel raccontarlo, si deve essere disposti a mettersi a nudo, altrimenti quello che ne risulterà non sarà altro che una fragile scultura di sabbia destinata a dissolversi con l’andare delle pagine, il lettore non lo inganni. O questo, o si deve essere degli scrittori talmente formidabili da riuscirci. Nel mio caso credo che delegherò la risposta ai miei lettori.

A.M.: Come ti stai trovando con la casa editrice Watson Edizioni? La consiglieresti?

Matteo Paoloni: Lavorare con la Watson è un vero piacere, e non solo perché sei parte attiva per tutto il processo che porterà il tuo lavoro alla pubblicazione, ma perché tutti coloro che fanno parte della “squadra” sono pronti a sostenerti, credendo fermamente in quelle che sono le tue potenzialità, a volte molto più di quanto tu sia in grado di riconoscere a te stesso. Quindi non mi limiterò solamente a consigliarla, ma sono pronto ad affermare che la Watson sarà sicuramente parte integrante della fioritura della nuova generazione di scrittori italiani.

A.M.: Hai in programma qualche presentazione estiva?

Matteo Paoloni:  Per il momento non ci sono date fissate, ma non si sa mai, con la Watson i progetti e le sorprese sono sempre dietro l’angolo! Per coloro che fossero interessati, Vi terremo aggiornati tramite le pagine facebook della stessa Watson Edizioni e quella dedicata al mio romanzo, denominata appunto come il libro: “Qualunque Cosa Accada”.

A.M.: Salutaci con una citazione…

Matteo Paoloni:  “Per quanto viaggiamo in tutto il mondo per trovare ciò che è bello, dobbiamo portarlo con noi oppure non lo troveremo.” (Ralph Waldo Emerson)

Written by Alessia Mocci

Addetta Stampa (alessia.mocci@hotmail.it)

Info

http://www.watsonedizioni.it/

https://www.facebook.com/matteo.paoloni.7

Fonte

http://oubliettemagazine.com/2013/07/18/intervista-di-alessia-mocci-a-matteo-paoloni-ed-al-suo-qualunque-cosa-accada/

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