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Italia. Da una riflessione storica sugli orrori del ‘ 900 di Tonia Orlando

Ap – Effemeridi

Da una riflessione storica sugli orrori del ‘ 900

di Tonia Orlando

Sono sotto un lampione in una piovigginosa serata di fine novembre ed è tutto così malinconico. Sotto l’ombrello che mi ripara dall’acqua, sono attratta da una targa, su un vecchio muro, all’imbocco di una delle tante stradine del centro storico della mia città.

”Via del ghetto” vi si legge. E’ una strada simile alle altre, di quelle che si intrecciano in giochi strani e nascondono il loro mistero. “Via del ghetto”, mi ripeto. Sono tante le strade intitolate così  nei nostri paesi , nelle nostre città, testimoni di una storia non lontana, che si perde nelle ansie e nelle banalità del tempo presente. Mi affascina questo segno, indizio di uno spaccato di storia che ci appartiene, che mi appartiene ed è come se per un attimo, la memoria volesse riprendersi il suo posto e riaffacciarsi solenne alla ricerca di verità nascoste, dimenticate.

Provo un brivido all’idea del “ghetto” che si trattò di un “delirio”, di un vero “delirio”, di una condizione spietata, inumana, folle, alla quale centinaia di migliaia di uomini, soltanto perché ebrei, furono condannati. Mi abbandono all’emozione e quasi staccandomi da me, mi raffiguro, all’interno di quei vicoli, delle stradine, dei piccoli portici, immagini, persone, dolori e desideri che visualizzo con la freddezza dell’intelligenza ed un entusiasmo che investe il cuore. La realtà della guerra mi appare in tutto il suo orrore e ad essere protagonisti della tragedia sono donne, bambini, adolescenti, uomini .Tutte vite spezzate.

L’incubo era iniziato nel 1935, con le leggi di Norimberga e dalla legislazione antiebraica introdotta in Italia nel 1938 per estendersi ovunque si estendeva il dominio tedesco. Dal giugno del 41 si metteva in atto il nuovo programma di sterminio che, da ottobre, avrebbe interessato tutto il territorio tedesco con l’avvio di deportazioni di massa.

Il 7 dicembre 1941, con il decreto “Notte e nebbia”, Hitler disponeva che fossero fatte sparire, senza lasciare traccia, tutte le persone ritenute ”pericolose”per il regime .

Quante storie  clandestine da quel momento, quanti nascondigli dietro armadi, sotto pavimenti, dietro pareti, sulle soffitte. Quante volte la Gestapo irruppe nelle scuole per portare via bambini semiti, quando gli ultimi mesi dell’occupazione tedesca si facevano più duri.

ll ghetto rimaneva la prima forma di quell’orrore che sarebbe cresciuto e avrebbe avuto il suo epilogo nei lager. Gli ebrei, perché qualcuno aveva deciso che dovessero essere sterminati in quanto razza pericolosa, furono murati nei ghetti. Dovevano rimanere chiusi in un circuito angusto e limitato, nella sporcizia, nella fame, nella disperazione, nell’abbandono. Valeva poco la vita di uno “sporco ebreo”, molto poco e “la stella di Davide” su un braccio,di colore giallo-oro, costituita da due triangoli intrecciati, accompagnata dalla scritta “Jude,” diventava il segno della diversità. Si avviavano le industrie dello sterminio e le operazioni dell’orrore si eseguivano genericamente, nel segreto più grande .

Iniziava l’annientamento fisico e morale di tante persone. Non si aveva il tempo di capire che cosa stesse accadendo e che cosa li aspettasse. Non potendo comprendere la situazione nella quale erano proiettate, le vittime assistevano agli avvenimenti come ad uno spettacolo, troppo assurdo per essere vero. Era il Ghetto, era la prima gigantesca esperienza biologica e sociale ,sorretta da una iniziale, angosciante preoccupazione che nessuno avrebbe mai placato.

Che ci faceva tanta umanità in quegli angoli angusti delle città, in quei triangoli grigi delimitati da muraglie dove il fetore nauseabondo inondava l’aria e le urla dei bambini, senza latte, senza pane, poveri innocenti che scontavano l’unica colpa di essere nati,si sarebbero flebilmente abbassate fino a spegnersi per sempre?

Dov’era il cielo, dov’era Dio in quelle notti senza luna e senza stelle?

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ABRUZZOpress – N. 028 del 26 gennaio ’13                                                                                                                               Pag 2

Nei ghetti i camion arrivavano senza preavviso, rapidamente ne saltavano giù quattro di quelle soldataglie germaniche armate di tutto punto e si davano a colpire a destra e a manca nel loro perverso delirio.

Erano migliaia  gli esseri scacciati brutalmente dalle loro case, costretti a migrare senza sapere perché, né dove e “Kaput”, la maledetta parola alla quale seguiva un ampio gesto del braccio, era l’infame ordine.

Valigie accatastate in un disordine inquietante, derrate alimentari inesistenti,disperati tentativi di acquistare qualcosa da mettere sotto i denti barattando quell’oro che le donne avevano cucito nelle pieghe delle loro gonne, il ghetto era questo, una forma di iniziazione  in un percorso a senso unico, era un’andata senza ritorno, era una finta sistemazione di interi nuclei familiari in una orrida area di parcheggio da dove, se mai fossero sopravvissuti, avrebbero proseguito il loro viaggio verso destinazioni infernali di cui si sussurrava il nome e con terrore si immaginava l’epilogo.

Continuo nella mia ricerca della verità anche se mi rendo conto che è molto difficile perché si è trattato di un mondo parallelo che si snodava al fianco di un altro, accecato dal sospetto, dal pregiudizio, talmente esteso e connaturato nei paesi d’Europa da superare persino l’odio nei confronti dei nazisti. Tutto si consumava nell’indifferenza e nel silenzio. Nell’opinione pubblica europea non vi furono manifestazioni di dissenso o episodi di ribellione.

Una delle pochissime voci di protesta si ebbe nel ghetto di Varsavia, il 19 aprile 1942 quando gli ebrei che vi erano rinchiusi insorsero e furono protagonisti di un estremo e disperato moto di resistenza. Tentativi simili si ebbero anche in altri ghetti come quelli di Vilna e di Kovno, in Lituania. I pochi ebrei superstiti fuggirono unendosi ai partigiani nella lotta comune contro l’invasore tedesco.

La fine della guerra non fu meno dolorosa. Il 9 ottobre 1944, le potenze occidentali e l’Unione Sovietica, disegnavano la spartizione dell’intero territorio europeo. Una Europa liberata,quindi, ma ancora aperta a scenari di orrore e di inaudita violenza.

In Jugoslavia, la resistenza contro le forze di occupazione tedesche e italiane  era stata condotta dal Partito comunista, guidata dal maresciallo Tito. La sua lotta puntava ad indebolire i Serbi  che da parte loro erano sostenuti da Stalin il quale ostacolava il progetto  slavo di costruire una grande Federazione balcanica. Nel disegno di Tito la Macedonia e la Bulgaria sarebbero diventate membri della Federazione e a questa sarebbe stata annessa l’Albania.

Nel 1945 le truppe titine conquistarono la Venezia Giulia e si accanirono, in terribili violenze, con migliaia di militari e civili italiani gettati, ancora vivi, nelle “foibe”. In quelle grotte naturali di origine carsica, molto diffuse nella Venezia Giulia, nell’Istria e nella Dalmazia, quando i Tedeschi si ritirarono da quelle regioni, i partigiani, seguaci di Tito, attuarono una vera e propria pulizia etnica nei confronti dei nostri connazionali.

Quanti uomini furono gettati vivi in quelle gole oscure e lasciati morire di fame e di stenti, oppure per le ferite e le fratture riportate se non erano già periti per la caduta. Anche in questo caso, l’uomo aveva  smarrito il cuore, convinto che tutto fosse nelle sue mani, che le sorti della vita e della morte fossero follemente determinate dalla sua precisa intelligenza.

Quella civiltà europea che nei primi anni del ‘900 aveva espresso il desiderio di porsi come esempio luminoso per la civilizzazione di tutti i popoli, ora inorridiva di fronte alle immagini di quel “male” che lei stessa aveva generato, nel disprezzo per  la vita.

Quei corpi straziati, gli ammassi di scarpe, stracci, capelli, tutto diventava una estrema vergogna da cui prendere le distanze e dover allontanare, perché impossibile da sopportare, impossibile da guardare. Quanti superstiti hanno rimosso per anni quelle immagini, altri non ce l’hanno fatta e si sono lasciati andare in una seconda morte, perché vivere non era più per loro, non ne erano più capaci. E allora… che non accada mai più.!

T.O.

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